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Sogno lisergico
Non per entrare nel merito della certezza (intesa come convinzione assoluta e irremovibile), ma credo che non sia altro se non il bisogno derivato da una serie complessa di paranoie. Per stare tranquillo dovrei liberarmi di questo bisogno, per poter vedere ed accettare quel che sarà, senza che necessariamente deluda o soddisfi una serie d’aspettative ad essa correlate. Dovrei basarmi sull’esperienza immediata, sulle piccole cose, su quel poco che realmente c’è dato di conoscere, come questi venti euro. La mia unica certezza è che ho venti euro in tasca. (breve parentesi per dire quanto le certezze siano appunto relative. Venti euro per qualcuno rappresentano il nulla, a seconda della provenienza geografica, il contesto familiare e quello sociale; per altri sono più che una certezza, una speranza. Venti euro possono risolvere una vita con un biglietto della lotteria, un gratta e vinci, una bottiglia di vino e un pacchetto di sigarette). Così, con le mie certezze in tasca, non appena uscito di casa, incontrai Pietro
“Ho l’acido! Occhio però, è lisergico. Ti farai un sacco di risate ma avrai anche delle allucinazioni e costa solo quindici euro.”
Non potevo permettermelo, non potevo spendere la quasi totalità dei miei averi per un cartoncino, ma poi il pensiero che con venti euro non sarei andato molto più lontano di cinque, decisi di affrontare quest’esperienza. Pietro mi ha raccomandato di fare attenzione, di non prenderlo intero, ma di prenderne piccole quantità fino a raggiungere lo stadio desiderato.
Sono un ignorante in quest ambito però, per cui senza pensarci due volte lo presi tutto e buona notte.
Questo, altro non è che il frutto di quell’esperienza. Un’ esperienza in cui tutto era reale e tutto il contrario, tutto era sogno e tutto realtà, non sono mai stato così lucido da fuori e così fuori da lucido. Così ripetendo i gesti della mia quotidianità, mi ero avventurato nella visione elastica delle dimensioni e tutto sembrava andare per il meglio, quando una donna mi ha chiesto il motivo per cui, non essendo un bellissimo, avessi così tante "cagnette" intorno.
"Guarda che si tratta di un equivoco. In realtà non esiste una ragione per questa cosa. è tutta un illusione".
"Ma se fanno come le pazze!"
"Te lo giuro, sono solo coincidenze".
Poi rivolgendosi al suo amico (che nel frattempo comincia a guardarmi in cagnesco)
"Questo ragazzo ha delle doti nascoste non lo credi anche tu?" - poi verso me - "Stanotte vieni a casa mia così appuriamo il tutto: "
"Guarda, se proprio vuoi, vengo, ma non crearti troppe aspettative. Non ho paura, sono certo che le deluderei"
L'amico: "Bravi ragazzi, veramente bravi. E io che faccio?"
allora io: "Beh se vuoi, puoi guardare!"
Fortunatamente ha desistito a questa proposta. quindi dopo aver raccontato una barzelletta esilarante (per effetto del lsd credo), andiamo a casa di Clementina.
Scusa se ti racconto questi dettagli, ma devo arrivare al dunque e non posso tralasciarne.
La situazione in se, la trovo molto noiosa. Non amo aver a che fare con le donne in quello stato (menchemeno con gli uomini), comunque ho un orgoglio e una dignità tutta al testosterone da difendere, gestire.
Casa sua era bellissima, curata sotto ogni punto di vista, dalla scelta dell’arredamento in falso stile rustico, all'ordine e la pulizia. Non c'era assolutamente nulla, neanche il minimo dettaglio fuori posto. Poi lei, quarantenne, conosce il fatto suo, conosce quali sono i dettagli che fanno presa sugli uomini. Mi fa accomodare in salone e in ginocchio, sul tappeto, mi si avvicina e mi toglie le scarpe, poi mi chiede d'attenderla. Va in cucina e torna con una brocca di vino e due bicchieri.
"Questo vino lo prendo direttamente ad Avola".
Penso che sia una persecuzione 'sto cazzo di nero d'avola, penso che sia un vino alla moda, che tutti adesso bevono il nero d'avola come fosse una cosa chic, quando fino a cinque anni fa non sapevano neanche ad Avola cosa fosse il nero d'Avola. Adesso fanno il nero d'avola e lo si beve ovunque, come fosse il vino che tutti aspettavano, come se ad Avola fino ad oggi, dall'origine dei tempi non avessero fatto altro che il nero. Ad Avola, secondo me, al pensiero che tutti bevano quella porcheria si fanno delle gran risate che si spaccano le budella.
Comunque sorvolo sull'argomento per evitare d'innescare una nuova discussione come con Sandro e Federica, anche perchè in un certo senso, forse mi sono fatto suggestionare un po' anch'io dalle teorie di Sandro. Poi era come se sentissi il bisogno di trovare qualcosa che non andasse, in quella situazione. A poco a poco, infatti, avanzava, insinuandosi tra i denti, scorrendo sulla lingua, sfiorando l'ugola, scivolando lentamente attraverso la gola, fino a giungere in picchiata nello stomaco la convinzione che era stato uno sbaglio quello di assecondare la curiosità di Clementina, che non mi piace nemmeno. Allora per prendere un po' di tempo le dico che ho bisogno di usare il bagno e vado.
Apro il rubinetto dell'acqua fredda e mi guardo allo specchio cercando una scusa valida per dirle che devo andare via, che non posso restare con lei stanotte, che mi aspettano a casa, che avevo promesso a mio padre che l'avrei accompagnato a Pezzolo, il suo paese natio, l'indomani mattina. Si trattava di una scusa inverosimile però, infatti, guardando il riflesso del mio volto nello specchio, un alone rosso fuoco contornava i miei occhi, fino alla fronte, e giù sulle guance e non si tratta di una cosa passeggera, sono fuorissimo, le mie pupille sono dilatatissime, poi non si trattava di uno di quegli specchi della casa degli specchi, di quelli che deformano le figure. Non era lo specchio a rendermi un personaggio d'un quadro di Picasso. È l'acido a distorcere la mia figura (spero), o è grazie all'acido che finalmente riesco a vedermi come realmente sono. Insomma, passo circa un quarto d'ora in bagno che a un certo punto mi rendo conto che non ricordo neanche più dove sono e perchè sto facendo questi pensieri. Allora esco e riconosco casa di Clementina. Ero ancora lì. Ma lei non c'è più. Penso che sia andata via, magari ha capito che sono proprio fuori di me ed è uscita per cercarsi un'altro. Wow, forse ero salvo.
Tornai in salone e non c'era, quindi fu la volta della cucina ma non era neanche lì, nello studio, la stanza della musica. Non c'era traccia di Cleme. L'ultima camera era la camera da letto. Esito un po' prima di prendere il coraggio a due mani ed entro:
"Che fai, temporeggi?"
"No, ho solo bevuto un altro po' di vino. Senti Cleme io non credo proprio che sia il caso..."
Si alza ed è nuda. S'avvicina e inizia a baciarmi. Sul collo, poi inizia a leccarmi la faccia e la sua lingua è bagnatissima. La respingo e le dico:
"Guarda che stavo andando via Cleme. Anzi, ciao."
Lei scoppia a ridere e mi chiede dove abbia intenzione d'andare senza le scarpe.
"Ridammi le mie scarpe Clementina. Ho da fare, devo andare via."
"Non credo proprio che tu andrai da nessuna parte."
"No davvero devo andare."
Mi sbottona i pantaloni e me li tira via.
Il mio affare sembrava un desaparecido cubano, un guerrigliero talebano che pur di non farsi beccare diventa polvere a contatto con la polvere, acqua immersa dentro altra acqua. Una specie di mafioso, un piccolo Bernardo Provenzano, Totò Riina, Il capo dei capi, insomma non aveva nessuna intenzione di consegnarsi, nè di pentirsi di questa decisione. Mi spinge sul letto e continua a baciarmi e a poco a poco, questo atteggiamento inizia ad avere il suo effetto. Alzo gl'occhi e smetto di resisterle, solo cerco di pensare ad altro, guardo il soffitto e noto che si avvicina e si allontana. La sua lingua è voluttuosa, mi dice che ho un buon sapore. Io non la bacio neppure solo guardo quel cazzo di soffitto bianco e nonostante non abbia più neanche gl'occhiali (ah! Non ti avevo detto che porto degli occhiali blu scuri (blu è il mio colore preferito come l'85% degl'uomini credo di aver letto da qualche parte)sempre), vedo la porosità della vernice. Poi pian pianino mentre Cleme continua a succhiarmi come fossi un gelato confezionato (più un ghiacciolo secondo me), da quelle piccole fessurine sul soffitto, da quegl'infinitesimi forellini della vernice, m'accorgo che stanno venendo fuori dei ragni. Un esercito di ragni, armato fino al collo, che si direziona verso di me.
"Clementina... Cleme..." sussurro.
"Ti piace questo eh?"
"No Cleme, cerca di mantenere la calma. Sta succedendo qualcosa di veramente strano!"
"Ah, non preoccuparti. Non sei il primo. Io comunque sto bene così... Abbi fiducia in me e vedrai che il tuo coso risorgerà".
"Cosa cazzo stai dicendo Cleme? Non mi riferisco a questo!"
"Cos'hai allora?"
"C'è un invasione di ragni in casa tua!"
Clementina si alza di scatto e inizia ad urlare "Dove... Dove sono?"
Era tutto invaso dai ragni, li avevo addosso, li sentivo che mi camminavano lungo le gambe, sulla pancia, sul petto. Passeggiavano sulla mia faccia ed iniziavano ad entrarmi dentro il naso. Ero proprio fottuto. Dovevo assolutamente fuggire da lì. iniziai a chiedere perdono a dio, gesù e tutti i santi. Clementina accende la luce e tutto svanisce.
"Hai preso un acido vero?"
"No! Non farei mai nulla del genere!"
Mi si avvicina e mi guarda dentro gl'occhi. Sento che il suo sguardo è in grado di vedere attraverso la mia iride e mi sento più nudo di prima.
"Si! Hai preso un acido! Forse è davvero il caso che vada via!"
"Ma, è notte fonda. Dove posso andare?"
"Ma quale notte fonda sono le undici del mattino. È la domenica delle palme. Perchè non vai in chiesa a farti benedire?"
"Ok, ok! Vado via. Ma tu ti pentirai di questo lo sai no? Sono un grande scrittore io. Quando diventerò qualcuno rimpiangerai questo atteggiamento."
"Si, si, sei Aldus Huxley, però adesso vattene!"
E così, dichiarando resa su tutti i fronti, sono venuto via da quella situazione incresciosa, pensando che sarei andato a casa, avrei controllato la mia e-mail ed avrei raccontato di questa esperienza al mio pensiero più bello. Avrei detto tutto a Costanza, chiedendole perdono per averla tradita, giurandole che non sarebbe successo mai più, che non mi sarei più cacciato in una situazione del genere. Apro quindi la porta di casa e invece di essere a casa mia sono al ritrovo Casaramona, un bar del viale principale di Messina. Avevo fatto tutt'altra strada. Mi siedo ad un tavolo ed ordino un Glen Grant. lo bevo tutto d'un sorso, m'appoggio sullo schienale del divano e chiudo gl'occhi. Adesso vengo assalito da quella che non può essere definita in nessun altro modo se non la sindrome del super8, infatti, i miei occhi vedono come scorrere una pellicola nera che emette dei flash simili a quelli emessi da una pellicola di un vecchio super8 per l'appunto. Riapro gl'occhi e tornano i ragni. Per strada la gente sventola le proprie palme da cui fuoriescono miriadi e miriadi di ragni e come se non bastasse sento i loro discorsi nitidamente, quasi parlassero tutti con me. soffrono queste persone. Soffrono per qualunque cosa. Non sopportano i loro genitori, i figli, i politici, i gendarmi, la chiesa, dio. Sono allo stremo delle proprie forze. La domenica delle palme è l'ultimo giorno della vita.
Li vedo camminare per strada in una direzione univoca invocando osanna nell'alto dei cieli. Un uomo tiene in braccio suo figlio e lo erudisce nella devozione alla chiesa.
Tu non conosci Messina, hai detto di essere stata a Marzamemi e di averne apprezzato la naturalità, eppure che ci creda o no, anche da queste parti esiste quel morbo chiamato società. Si tratta di una forma tutta particolare di società. A Messina infatti la società è sinonimo di lobotomia. Nessuno combatte per nulla, tranne per interessi individuali, nessuno si scandalizza più di nulla. Non ci si scandalizza se non rinnovano il contratto di lavoro ai netturbini e la città rimane stracolma d'immondizia, non ci si scandalizza se provi a muoverti con la tua auto e le strade sono occupate da altre auto parcheggiate tranquillamente in tripla fila. Una volta se succedeva una rissa, sembrava che fosse qualcosa che riguardasse un po' tutti. Dopo un po' la gente iniziò a fuggire in questo genere d'occasioni. Adesso ci si limita ad osservare e parteggiare per una fazione o per l'altra. Messina è sempre stata la cassaforte della mafia, la gente è addomesticata a sopportare i soprusi e se proprio non ce la fai, puoi distrarti con tutti i tipi di droghe esistenti sul mercato. Io ne conosco parecchie, ad eccezione dell'eroina da cui non sono mai stato affascinato, avendo perso parecchi amici per colpa sua. Ma non è questo il punto. Il punto è che l'unica cosa che non puoi fare a Messina, perchè saresti biasimata da chiunque è bestemmiare. Non che la trovi una cosa fine, però non vedo il motivo per cui non si possa fare. La bestemmia è un insieme di parole e le parole fanno sicuramente meno male della corruzione, la violenza, il bullismo, la cattiveria gratuita, l'egoismo. Io di tanto in tanto bestemmio per non dimenticare d'essere vivo, per dimostrare, foss'anche solo a me stesso, che mantengo ancora la capacità d'incazzarmi contro ogni forma di potere costituito imposto. Quattro sono le chiese, posizionate nei punti strategici della città, che la dominano. E io le odio. Odio essere considerato una pecora di un gregge agl'ordini d'un pastore pedofilo e ignorante. La prima rivoluzione che andrebbe portata a compimento, per sconfiggere la mentalità mafiosa, l'immobilismo tipico della sicilianità, sarebbe una rivoluzione delle coscienze contro lo strapotere della chiesa. Ma forse sto trascendendo. Insomma la domenica delle palme ero uno solo e completamente fuso che girovago come uno spettro invasato per le strade della mia città. Dovevo andare al mare e lasciarmi tutto alle spalle. Così come il pifferaio magico, percorro la strada del porto col mio seguito di ragni cortigiani alle spalle e attraverso in questo stato di visionaria lucidità, la storia. Cammino lungo la palazzata fascista e penso che in antichità quella serie di palazzi a ridosso del porto, fungevano da mura della città, una vera e propria recinzione di cemento armato. Dopo il 1908, anno del terremoto e maremoto che distrussero definitivamente la storia di messina, il duce ne fece costruire una nuova (palazzata), in orrendo stile vittoriano. Percorro la litoranea leggendo che l'idea del dovere è un ideale di forza, o che 3000 anni di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine d'oltralpe, e penso che credere, obbedire e combattere, sono tre cose di cui non me ne fotte proprio nulla.
Quello che vorrei adesso è solo passare un po' di tempo con un' anima affine, qualcuno con cui riesca a comunicare di quello che mi passa per la testa.
Fortunatamente esiste il mare!
Il mare che è sempre lì e non lo smuove nessuno. Lui si che ha il potere di avvicinarsi ed allontanarsi dalla costa e tutto ciò è reale, non come il soffitto a casa di Cleme. Il mare, si, che sta sempre lì e che con la gente che ci vive vicino si comporta in maniera del tutto familiare. Hai mai avuto la sensazione di avere in casa degli oggetti che stanno lì dove li hai appoggiati e che, con un opera di metamorfosi, tendono a diventare parte dell'ambiente, in un certo senso perdendo la propria identità, il loro ruolo? Beh col mare è così. Se non ci vivi assieme, il tuo sguardo, quand'hai l'occasione di vederlo, viene attratto dalla sua lucentezza, il bagliore mattutino, quando riflette i raggi del sole, la sua cristallina purezza, il suo fascino notturno. Ma se vivi con lui, alla fine non ci fai più caso e magari dopo un inverno di lavoro, al sopraggiungere di una nuova estate ti incoraggi col pensiero che puoi andare al mare anche se in realtà l'hai sempre avuto a portata di mano. Il mare ch'è sempre lì, ma te ne rendi conto solo quando non lo puoi vedere più.
Quindi faccio qualche passo lungo la spiaggia e m'arrendo. M'arrendo ai ragni e alle pellicole, alla disapprovazione di di dio e del suo seguito, mi arrendo alla stanchezza e mi lascio sprofondare di peso sulla sabbia. Le tensioni svaniscono e avviene un passaggio che sempre avviene all'interno d'un sogno lisergico. Vedo Cristo e vedo Giuda ed in un certo senso rappresentano due facce dlla stessa moneta. Sta sopraggiungendo la purificazione. Chiudo gl'occhi e m'impongo d'accettare tutto ciò che sarà, d'ora in poi. I ragni mi si posizionano attotno. Nulla mi può squotere, non ho più paura di niente, neppure del sopraggiungere di un boato che scuote la mia coscienza. La terra sotto il mio corpo inizia a muoversi in scossoni sempre più convinti e la sabbia inizia a cercare un nuovo equilibrio nella collaborazione di tutti i granelli. Non apro gl'occhi neanche quando l'odore acre della polvere che invade l'ambiente circostante, arriva alle mie narici. Si tratta di un terremoto, accompagnato dall'assordante rumore dei palazzi che si sgretolano, dalle urla della gente, dai rumori intestini del mondo che cerca un nuovo assentto. Non apro gl'occhi, ma mi do la colpa di tutto ciò e, nella mia mente, piango. Piango perchè penso che sia colpa mia. La colpa di essermela presa con Cristo e con suo padre, di non avere stima per la gente del posto, per aver preso l'acido ed aver lasciato sola Clementina (beh, per questo, in effetti, non mi sento molto in colpa). Ma non mi muovo, non apro nemmeno gl'occhi. Sono in riva al mare e so che tra un po' arriverà un'onda a trascinarmi con se. Attendo l'onda e m'addormento circondato dalla desolazione della morte. E sogno, dentro al sogno, dentro al sogno... Sogno la signora e il suo cane. Sogno che trovano il mio corpo esanime e lo portano via per darne degna sepoltura. Sogno Costanza e me l'immagino bellissima, "pallidamente", flebilmente e al tempo stesso, prosperosamente bellissima. Sogno Costanza con la sfrenata curiosità di lei ragazzina, alla scoperta del sesso, con l'aria d'una bambina e la malizia d'una donna. Sogno di me che risorgo e la porto con me.
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