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Il viaggio
Mi rigiro un’altra volta, le coperte mi abbracciano come fossero animate, radici abbarbicate al mio corpo. Il respiro s’accorcia. Sotto le palpebre chiuse, le pupille vibrano intermittenti secondo un ritmo sconosciuto. È un momento che conosco. Lento mi raggiunge il sogno, sempre lo stesso.
In autostrada, ignoro il traffico intenso del sabato notte. Ho gli occhi puntati sul mezzo che mi precede, lo sto seguendo da un paio d’ore senza mai lasciarmi distanziare. È un’ambulanza.
È un’ambulanza, e trasporta mio padre. Accanto a lui, affogata dall’angoscia, c’è seduta mia madre, il suo viso mostra una rigida tranquillità da offrire a mio padre nella barella lì accanto.
Ogni tanto, dal vetro posteriore, vedo un braccio alzarsi ad accennare un saluto: pare un ramo mosso dal vento, è un gesto distratto che mia madre fa’ per rassicurarci, tutto bene ragazzi, state tranquilli….
Ma non va tutto bene, chiusa nel suo cuore a doppia mandata c’è la verità che per lungo tempo ha tentato di nascondere. Pietoso sforzo per risparmiare ai propri figli la sofferenza.
Malgrado il pieno agosto, la sera ormai inoltrata rinfresca l’aria. Rabbrividisco, il presentimento di ciò che accadrà è un pesante abbraccio.
Sono trascorsi pochi mesi, veloci e lenti al tempo stesso, dal giorno in cui un medico ha formulato la sua diagnosi. Mesi trascorsi a rilento tra visite, terapie, illusioni. Giorni infiniti pieni di sgomento e paura, in un continuo alternarsi di speranza e disperazione. Veloce è stato invece l’arrivo dell’estate, e della fine del ciclo di cure.
“E ora?” Ci siamo chiesti cercando di capire quale fosse il seguito, quale il prossimo evento da affrontare.
“Ora non resta che aspettare qualche tempo e poi magari ripetere la cura” era l’inverosimile risposta a cui ho voluto credere con ostinata convinzione.
La verità era un’altra, chiara ed evidente ma non per me. Poco tempo ancora, per lui. Qualche mese, forse solo settimane.
Ecco calare la maschera di cera sul volto di mia madre, unica muta consapevole dell’inevitabile epilogo.
“Andiamo al mare?” propone mio padre rincuorato dalle parole che?"filtrate- il medico gli ha rivolto. E andiamo al mare, va bene, acconsente mia madre che in valigia, oltre agli abiti estivi, mette anche il suo segreto.
Mio padre. In una lotteria milionaria non avrebbe mai vinto, in quella del destino avverso è il primo estratto.
Al mare, il tracollo. Ricovero, ospedale, telefonate, rassicurazioni, ossigeno, altre telefonate, angoscia, fino alla decisione di riportarlo a casa, in un ospedale migliore, più grande, più attrezzato.
Rincorro l’ambulanza, ormai manca poco all’arrivo. I cartelli degli svincoli sfilano ordinati, un debole suono testimonia la presenza della radio accesa. Una canzone malinconica mi riporta a poche ore prima, allo sguardo di mia madre: non capisco la disperazione che ho letto nei suoi occhi, penso che sia per la stanchezza o per il peso degli ultimi mesi. Continuo a mentire a me stessa, continuo a negare l’evidenza, continuo ad illudermi.
La disperazione nei suoi occhi è invece reale, deriva dal foglio che, piegato malamente, ha nella borsa. Poco prima di uscire dall’ospedale le hanno consegnato gli esiti delle ultime analisi fatte a mio padre. Non è necessaria una laurea per poterli interpretare: tutti i valori hanno accanto un asterisco.
Intorno a me solo autostrada, i miei occhi fissi sui colori nero e arancio, le scritte ed i numeri dell’ambulanza, il suo lampeggiante che s’accende e si spegne, i fari, il traffico che continuo ad ignorare.
La mia speranza è come la luce di quel lampeggiante, che lungo la strada nasce e muore ad intervalli regolari.
All’arrivo la vita mi azzanna, in un singolo istante mi ferisce con inaudita violenza, con un’eco che non si spegnerà più. In ospedale ci accoglie una dottoressa, la sua voce sommessa e distaccata dice “credo vi rendiate conto che non c’è più nulla che possiamo fare…..è questione di poco….”
La notizia genera sgomento, ma non in mia madre: già lo sapeva. Lo sapeva da qualche mese, da quando i medici del reparto di oncologia le hanno rivelato che i tentativi effettuati non sono serviti.
Nel silenzio ha custodito la verità, per regalare a mio padre l’ultima illusione.
L’ultima manciata di ore è il racconto di un incubo infinitamente triste, difficile al punto di non poter essere raccontato. L’incubo che spesso vado a rievocare, per provare ad affrontarlo nel tentativo di sciogliere la morsa che mi stringe il cuore.
Pensi che il tempo ti aiuterà ad andare oltre, in realtà esso ti illuderà di farlo, nascondendo il fardello in un angolo remoto pronto a farlo riaffiorare beffardo e vile all’improvviso.
Fa parte del gioco a cui siamo chiamati, nostro malgrado, a partecipare. Non ne conosciamo tutte le regole, e forse non ne conosciamo nessuna.
Il conoscerle non servirebbe comunque, il destino bara e scrive la parola fine dove meglio crede.
Nella mia storia, quando la notte si fa da parte per lasciare il posto all’alba.
È il tredici di agosto.
È il giorno che la sorte ha scelto per indicare a mio padre la strada per l’altrove.
Ma è anche il giorno della coincidenza più inverosimile, è il giorno in cui i miei genitori avrebbero festeggiato quarant’anni di matrimonio.
Fuori, arrogante e fuori luogo, è salito alto nel cielo un sole imperioso a ricordarci che è estate, ed il loro anniversario.
Intanto l’ambulanza corre, mi precede su quell’autostrada, ed io continuo a seguirla smarrita nel buio di una notte d’agosto.
Non sono più riuscita, da allora, ad accodarmi ad una di esse. Se talvolta mi capita, appena possibile aziono la freccia e supero, illudendomi di superare, con lei, il mio grande dolore.
Sarebbe bello riuscire a farlo.
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0 recensioni:
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- Al contrario Adele, ho invece apprezzato che tu abbia colto l'origine del racconto: è in effetti un pezzo della mia vita. Grazie per avermi commentato, alla prossima! ross
- eh si, cara Adele... una pagina di diario.
Grazie per avermi letto, ross
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