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La Giornata del ricordo
2000 sesterzi, Ponzio. Quell’uomo, quello schiavo, per Zeus mi è costato tanto, devi aiutarmi. È il precettore dei miei figli, mia moglie Claudia ci tiene.
No! Valerio, non posso. Questi giudei lo vogliono morto e non posso mettermi contro di loro. Ne va degli equilibri di questa regione. La provincia è inquieta e l’ Augusto in persona, mi ha chiesto di evitare problemi, di tenerli quieti, di non creare pretesto per torbidi e scontri. La politica Valerio e la pax romana.
Quello sciocco del tuo schiavo, che si fa prendere dalle guardie di Erode, e con cosa poi? È andato a rubare nel Tempio, i codici della loro religione., non era solo tra l’altro, alcuni dei complici sono fuggiti nel deserto, in direzione del mar Morto. Il Sinedrio, e Kaifa in persona mi ha chiesto di condannarlo insieme a quell’altro, quel pazzo, quel Jesus, il nazareno che dice d’essere il loro Re.
No! non posso aiutarti questa volta. Smettila di pensarci, affiderai l’istruzione dei tuoi figli, a qualche altro schiavo, ce ne sono tanti schiavi greci, in questi giorni, che possono insegnare grammatica ai tuoi giovani “pesciolini” Orata. Adesso vai Furio Valerio, che ho da fare cose più importanti. La parola di Roma, ricorda ma qui bisogna agire, ascoltando anche i loro consigli.
Questa è una provincia difficile, mai doma, e malgrado le nostre forze, son sempre pronti allo scontro. Si strinsero le mani, e Valerio uscì dal palazzo del governatore, salutando l’ amico di altre battaglie, ormai amico della famiglia.
Avevano combattuto insieme, con grande onore, nella 5° legione Alauda, in Germania e poi in Galazia e in Mesia, salvandosi vicendevolmente la vita. No Pilato non poteva aiutarlo, non questa volta e non in questo caso e per uno schiavo greco che credeva di pagarsi la libertà con un furto. Andava ancora bene che suo padre a Capri non ne venisse a conoscenza.
Uno schiavo della famiglia Orata, che commette un crimine poteva diventare motivo di scandalo e questo Valerio non voleva accadesse, non poteva permettersi che venissero affisse battute e pettegolezzi, sui rogiti, affissi sui Rostra, dove dai tempi del divino Caio Giulio venivano comunicati le decisioni del Senato, le leggi dei Questori e dei Tribuni, gli aggiornamenti familiari dei Censori, i processi nei vari Tribunali, le giornate del ringraziamento, i giorni di festa decisi dai Pontifex, e anche pettegolezzi, cambiamenti di stato, una serie di notizie curiose, che facevano poi il giro di bocca in bocca, tra le classi romane. Erano ormai diventate una ghiottoneria del passa parola cittadino. Potevano distruggere una reputazione.
La sua famiglia dipendeva dalle commesse e dalle forniture alla marina Legia Imperialis, nella base di Miseno. Troppo imbarazzante, suo padre aveva fatto tanto per entrare nelle grazie dell’Augusto e così in Senato in suo anno, dopo essere stato tribuno militare ad Azio. E pure Valerio stava rispettando il proprio cursus honorem, come ogni buon cittadino romano.
La famiglia romana, la legge romana. Eh si Furio Valerio Orata, rampollo di una famiglia di Cavalieri, pubblicani per conto dell’ imperium di Ottaviano Cesare divae Augusto, in questa terra arsa di Gerusalemme.
Palestina, presidiata con 2 legioni, due robuste legioni romane, a difendere la provincia e spremere dazi e tasse a questi Giudei. Valerio doveva stare in guardia, e non esporsi a pubblica indecenza, anche se lo schiavo era costato tanto e quel "mentula", valeva altrettanto. Il greco che sarebbe stato crocefisso, conosceva di grammatica e retorica e parlava facilmente, aramaico, latino, greco e siriano.
Sarebbe stato difficile anche dirlo a sua moglie Claudia, ormai stanca di questa città polverosa e puzzolente e che aveva nell’attico, un consigliere un amico che la divertiva raccontandogli storie dei suoi viaggi e fiabe greche ai figli.
Valerio ormai stava solo aspettando di tornare a Roma, pochi mesi ancora e avrebbe lasciato questa terra brulla e riarsa dal sole, e questi ebrei con il loro Jehovah terribile e totalizzante, e le loro kefiah colorate, il loro pane azìmo e il grano condito piccante.
Si, pensava il giovane cavaliere, il prossimo anno sarò in Italia, e con la marina da guerra, qualcosa di più avrebbe fatto, togliendosi da questa terra di Palestina. Magari una spedizione in Britannia, verso il mare Oceano, ad impiantare un allevamento di pesce, fortuna e vanto della famiglia.
Improvvisamente, il buio. Un vento improvviso, lo sbattere di imposte, il volo di stracci e di ceste, e un’ inquieto silenzio. In quel momento si accorse, che per strada non c’era nessuno.
Stava riprendendosi, dopo l’incontro col Governatore, era così assorto nei propri pensieri, che non si era accorto dello svuotamento e del silenzio di questa parte di città. Gerusalemme in quei giorni era un tumulto di genti, non solo i soliti mercanti dell’Asia ele innumerevoli kippìe che per tutto il giorno salmodiavano litanie al loro unico dio.
Il processo a quel Jesus, aveva portato in città, tutte le tribù, quante erano quelle di Palestina e carovane di Persiani e beduini siriani, e di commercianti egizi.
Una folla incredibile di poveri e malati, riempiva le strade. Una folla quale non si vedeva dai giorni delle feste sacre, quando dal tempio di Salomone venivano distribuite, bevande e cibi ad una genìa immensa che si accalcava nella spianata del grande tempio.
Ma adesso questo silenzio rotto solo dall’ululato del vento e il buio improvviso, allarmarono Valerio che avvolgendosi nell’ampio mantello si affrettò a raggiungere la propria casa. Si accorse della folla, mentre raggiungeva il lato est, verso la porta dell’estate, e giudicando la moltitudine, decise di salire su di un muro di scorrimento, che univa le mura dell’antica città.
In lontananza si vedevano le tre croci, amaramente considerò che una era quella del suo schiavo greco, una croce qualunque, simbolo tristemente famoso, che accompagnava il potere di Roma.
E nel buio strano di un pomeriggio che era iniziato sotto il sole cocente, una delle croci sembrava lampeggiare. Sapeva Valerio che le esecuzioni romane erano atroci, la crocifissione poi era cosa tremenda, e non avevano la grazia del fuoco liberatore, o del colpo dato alla base del cranio, per risparmiare peggiore agonia.
Il condannato alla crocifissione, veniva prima fustigato e dopo aver ricevuto ingiuria dai soliti sadici al seguito di carnefici zelanti, subiva la rottura della gambe, e moriva con duro supplizio, cadendo il corpo esausto sulle ossa fratturate. Nessuna pietà di fuoco liberatorio; di norma in tre giorni tutto era finito.
I familiari potevano richiedere il corpo del congiunto, a meno che non fosse un condannato politico o perché l’ autorità militare voleva dare un esempio, in quel caso il corpo restava appeso fin quando gli uccelli: cornacchie, corvi, avvoltoi, non avessero concluso il loro terrificante banchetto. Certamente nella croce di centro era appeso quel Nazareno che si diceva il Messia, figlio di un Dio.
Mah, pensò Valerio, un altro uomo strano che dice di essere il prescelto, scosse la testa ricordando come in questa terra arida, ogni giorno qualcuno dicesse di essere l’eletto.
Però, pensò il giovane, questo uomo qui, è quello più convincente, ricordava di averlo sentito parlare in riva del Giordano.
Si accorse Valerio, d’ essersi avvicinato al dosso dove erano piantate le tre croci, e si ritrovò meravigliato, a cercare di guardarlo negli occhi, quegli occhi stranamente accesi, così evidenti nel volto esangue e sporco di quel povero cristo appeso, e stranamente inchiodato.
Non aveva ricordo, che i romani usassero dei chiodi per crocifiggere i condannati a morte, si vede che il cordame era a più alto prezzo del ferro, in questo momento.
Sorrise a se stesso della sua considerazione commerciale, come a togliersi di dosso quanto sapeva di dolore, la giustizia. Lui era un soldato, è diverso il male di uno scontro in battaglia.
Era comunque, proprio il figlio di suo padre, il commerciante che aveva fatto denari, immettendo sul mercato, quello strano pesce piatto saporito, a cui il nonno Quinto aveva dato il proprio nome.
Un brevetto legale! Ricordava come suo padre parlasse del nonno e di come questi si fosse battuto, per aver riconosciuto dalle leggi romane, quel diritto acquisito, della scoperta e dalla commercializzazione di un pesce sconosciuto in quegli anni; come avesse fatto la propria fortuna legando il proprio nome nell’ appoggiare il dittatore, il grande Lucio Cornelio Silla. Era stata questa scoperta del padre di suo padre, che lo faceva il rampollo di una grande e ricca famiglia romana. Tutto per un pescato e lui oggi ne godeva i frutti.
Un cupo rumore, come tuono, un lampo improvviso, la folla che impaurita s’inginocchia, si adagia per terra, come a cercare protezione.
Dalla croce centrale, quell’uomo lacero e sofferente, sollevando la testa urla qualcosa, all’indirizzo del cielo.
Valerio guardò in alto, anche lui come altri, e rimase atterrito, sembrava che il cielo plumbeo, avesse aperto un pertugio di luce, e da quello squarcio nel cielo scaturisse una lama di fuoco, ad illuminare il viso morente di quell’uomo. Non aveva mai assistito ad un evento dal cielo così presente.
Il cielo sembrava gli parlasse, si sembrava parlasse a quel corpo scosso dal dolore, ma illuminato dal sole. E quel corpo sfatto, sorrise.
Sorrideva? Si sorrideva! Valerio vide bene, nel colpo fatale della morte, quell’uomo che dicevano buono, sorrideva e chiamava Padre la porzione di cielo che illuminava il suo viso.
Fu un attimo, il vento si fece più forte, dalla terra salì un cupo brontolio, un ultimo potente tuono, e dal cielo, come saetta scagliata dalle mani di Giove, il sole sembrò brillare più intensamente scaturendo da quel l’unico pertugio illuminante.
E fu il silenzio, un grande doloroso silenzio.
Valerio non avrebbe mai scordato quel silenzio che seguì la morte di Jesus.
Fu un silenzio che gli parve durare giorni, Passò giorni inquieti e seppe che il Tempio aveva subito dei danni, e per anni ricordò quel giorno di Giudea e quel silenzio, che servì a farne maturare lo spirito e la consapevolezza.
Dopo molti anni, dopo gravi e alterne fortune, la famiglia Orata fu una delle prime famiglie che durante il Principato di Tiberio Claudio Nerone, fu gettata nell’arena del Campo Marzio in Roma, martire agli albori del Cristianesimo secolare.
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