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Colori
Rosso
Allontanò il pennello dalla tela e rimase a guardare soddisfatta il risultato finale.
Si accorse che durante le ultime pennellate aveva quasi smesso di respirare, completamente soffocata dalle emozioni che da lei fluivano sulla tela, imprigionandosi in forme vaghe, dai contorni poco chiari a un occhio non sensibile, ma colme di messaggi che a stento una mente razionale può comprendere, che solo raramente un uomo riesce a trasmettere, ma che i colori sanno fare propri con meravigliosa semplicità.
Si allontanò di alcuni passi e si accorse che la testa le girava un poco. Rimanere troppo vicino a così grandi emozioni poteva disorientare. Soprattutto a chi come lei era abituata a vivere intensamente, con trasporto, la propria emotività.
I suoi quadri non erano semplicemente dipinti. Erano istinto, sensazioni, percezioni vaghe. E vaghi sembravano a un osservatore esterno che a stento riusciva a penetrare le maglie di quegli intrecci quasi monocromatici. Una persona qualunque avrebbe visto una tela macchiata qua e là da mille sfumature di rosso. Avrebbe cercato delle figure distinte, si sarebbe guardato intorno alla ricerca di qualche oggetto pressappoco somigliante. Avrebbe storto la bocca, mordendosi un labbro. E lo avrebbe dimenticato.
A lei non importava. Lei li aveva dipinti e allo stesso modo sapeva leggerli.
«Davvero molto bello.» La voce dell'uomo la fece sobbalzare. Si voltò di scatto e fece un piccolo passo indietro. Era un ragazzo dall'aspetto semplice, quasi anonimo, ma allo stesso tempo con un certo fascino. Occhi scuri; capelli castani, tagliati corti, pettinati con un po' di gel; pantaloni color panna e una camicia nera portata lunga sulle gambe, con gli ultimi bottoni aperti e le maniche ripiegate. Uno come tanti, semplicemente. Sorrise e si avvicinò a lei, ancora un po' sulle sue.
«Scusa. Ti ho spaventata.» Lei sorrise e fece segno di no, poi gettò una sguardo alla tela.
«Dici davvero?»
«Non mento mai.» La sua voce era calda, rassicurante e senza una cadenza particolare. Si scoprì imbarazzata dal complimento. Era la prima volta che qualcuno giudicava bello un suo lavoro.
«Posso farti una domanda?» Fece un passo avanti e si porto a pochi centimetri dalla tela. Lei annuì.
«Perché il rosso?» Non si aspettava una domanda simile. Ne aveva immaginate di altre, ma il perché della scelta del colore l'aveva scartata a priori. Alzò le spalle, si girò per guardarlo e gli sorrise, arricciando un po' il naso.
«Perché oggi mi sentivo da rosso» fu la risposta che gli salì spontanea. Immaginò che lui non capisse e si preparò ad una sua richiesta di spiegazione, che però non venne.
Lui sorrise e cominciò a camminare avanti e indietro, sempre con lo sguardo fisso sulla tela. Lei era impressionata dall'attenzione che quello sconosciuto dimostrava per il suo lavoro e si allontanò di qualche passo, come per non disturbare le sue mute riflessioni.
Passarono alcuni minuti senza che nessuno dei due parlasse. Il quadro non era ancora terminato e lei stringeva ancora in mano il pennello macchiato di rosso, ma in quel momento non aveva più fretta di continuare. Di solito i suoi quadri erano composizioni realizzate di getto, che non lasciavano spazio a pause o riflessioni. Quella volta, e non riusciva a spiegarselo, sapeva che poteva attendere.
Terminata la lunga analisi il ragazzo si voltò di nuovo a guardarla.
«Il rosso» disse, la voce bassa, quasi un sussurro. «Cosa vedi tu nel rosso?» La domanda era molto strana, ma lei non se ne stupì. Guardò il suo dipinto e cercò le parole adatte per descrivere quello che i pennelli tanto sapientemente avevano detto su tela.
«Rosso » iniziò, traendo un lungo sospiro. «Non so, sicuramente la passione.» si voltò a guardarlo e lui annuiva, serio, apparentemente molto interessato a sentire le sue idee. La ragazza storse la bocca, come se il binomio rosso/passione in qualche modo le stonasse.
«La passione» mormorò lui. «La rabbia è figlia della passione?» chiese, alzando un po' il tono della voce. Lei scosse la testa.
«Ma no! No» disse subito e lui sgranò gli occhi. La ragazza sembrò perplessa e tornò a guardare il suo dipinto, che ora anche ai suoi occhi sembrava meno intelligibile.
«Rabbia. Passione.» Per alcuni secondi non parlò, assorta nella lettura del suo dipinto. «Bè, forse sì» e si voltò di nuovo verso di lui, che non riusciva a nascondere un lieve sorriso. «Ci si arrabbia per ciò a cui si tiene veramente, quindi potrei dire di sì, la rabbia è figlia della passione.» Annuì, soddisfatta del suo ragionamento.
«Ma è sempre così?» replicò subito lui. La ragazza tornò subito pensierosa. Provò a ricordare alcune delle volte che si era lasciata andare alla rabbia e già, non era stato sempre un meccanismo frutto di una passione. A volte si era alterata per delle scemenze.
«No» disse e lui la guardò perplesso.
«No, cosa?» le chiese.
«Non è sempre figlia della passione. La rabbia intendo» Il ragazzo annuì «A volte è illogica, stupida» Lui sembrava soddisfatto e anche lei lo era. In pochi minuti, spinta ad analizzare quel suo quadrò rosso, era arrivata a dare alcune definizioni che in quel momento la facevano riflettere. La rabbia era spesso immotivata e futile. Già, avrebbe dovuto ricordarselo in seguito.
Il ragazzo ora sorrideva e con un cenno prese ad allontanarsi.
«Ehi, ma dove vai.» Gli disse lei, seguendolo per alcuni passi.
«Ora devo andare» fu la sua semplice risposta. Lei si fermò e rimase a guardarlo mentre si allontanava.
«Non mi dici neanche il tuo nome?» gli urlò. Lui si voltò sempre sorridente.
«È importante?» disse il ragazzo. Lei alzò le spalle, non sapendo cosa rispondere. Lui tornò a voltarsi e sparì.
Verde
«Oggi ti senti da verde?» La voce del ragazzo non la sorprese. Quasi se lo aspettava. Il giorno prima era sparito così, lasciando troppe sensazioni e discorsi in sospeso. Gli annuì e tornò a prestare attenzione alla tela davanti a lei, tutta tinta di un delicato verde molto tenue e acquoso.
«Ti piace?» Questa volta fu lei a chiedere il suo parere. La scena si ripeté molto simile al giorno prima. Fece un passo indietro e lui si avvicinò alla tela. Rimase alcuni minuti in silenzio. Lei lo guardava curiosa, attendendo con simulata pazienza.
«Cosa rappresenta per te il verde?» le chiese, evitando di rispondere alla sua domanda. Lei ci pensò alcuni istanti, poi, come era solita fare alzò le spalle e si concentrò sulla tela, cercando di assorbirne le emozioni.
«Non saprei» disse, al voce esprimeva bene tutta la sua incertezza. «Se proprio devo scegliermela via della non originalità ti direi la Speranza.» Abbozzò un sorriso e guidò lo sguardo verso di lui, che annuì serafico. Lei lesse un po' d'incertezza nel suo sguardo e perplessa tornò a guardare il dipinto.
«Cosa c'è che non ti convince?» disse, di nuovo rivolta a lui.
«Prova a risponderti da sola» fu la sua risposta secca. Lei si concentrò sul dipinto ancora alcuni minuti, poi scosse la testa e con un po' d'impazienza negli occhi tornò a guardarlo.
«La Speranza, tu mi dici» si avvicinò alla tela e passò un dito sopra l'ultima fresca pennellata, sporcandosi con la tenue tinta verde che doveva rappresentare la Speranza. Avvicinò il dito al viso di lei, visibilmente irritata.
«Questo ti sembra un verde speranza?» le chiese. Lei per qualche secondo non ebbe la forza per rispondere e tornò a fissare la tela, cercando parole che in verità non aveva.
«Un po' tenue come speranza, non trovi?» disse ancora il ragazzo. Lei continuava a guardare il suo dipinto incompleto e cominciò a dubitare che lui avesse ragione. Dov'era l'errore, nella scelta del colore e nel suo cuore? Dov'era?
«Pensaci» disse lui, come se volesse darle tempo per rispondere a quella domanda inespressa. Lei lo guardò un po' stupita e come il giorno prima, lo vide allontanarsi. Questa volta non cercò di fermarlo, ma rimase con lo sguardo perso nel tenue verde del suo dipinto.
Nero
Lo vide avvicinarsi, ma fece finta di non vederlo e lo trascurò mentre lui la fissava dare gli ultimi ritocchi al suo quadro. Sopportò la sua presenza senza parlare e per alcuni momenti riuscì anche a pensare che lui non ci fosse.
«Il nero» disse lui alla fine, rompendo un silenzio che si protraeva da troppi minuti. Lei annuì, ma non rispose. Lui le girò intorno e prese a camminare avanti e indietro, come aveva fatto il giorno prima e quello prima ancora, tenendo lo sguardo fisso sulla cupa tela di lei. Avrebbe voluto sorridergli, ma quel giorno non gli riusciva.
Con la rossa passione, con la tenue verde speranza, sì. Col tetro nero di quel giorno, non gli riusciva.
Dopo alcuni minuti lei non riuscì più a sopportare quella situazione e come aveva già fatto in precedenza, fece qualche passo indietro e permise a lui di avvicinarsi per meglio osservare il dipinto.
Lui rimase abbastanza sorpreso da quella nuova messa in scena di sensazioni tramite i colori. Come i quadri che lo avevano preceduto anche questo era di un solo colore. Ai lati del dipinto il nero era però più diluito, quasi trasparente. Al centro era un macchia scura, nera come la notte, e infondeva timore come la
«Ti piace?» come il giorno prima lei chiese un parere. Questa volta lui annuì e tornò a guardarla.
«Sono venuto bene» disse lui, abbassando lo sguardo. Fu lei ad annuire questa volta.
«L'ho capito subito» cominciò lei «ma all'inizio ho voluto fingere che non fosse vero.» Lui non riusciva più a guardarla negli occhi e si voltò di lato.
«A volte sono stupido e inutile come la rabbia» disse lui. «Ricordi? Ne parlavamo proprio due giorni fa» lei sorrise, ricordando quel giorno e ridendo della sua ingenua felicità nel primo momento di quell'incontro.
«Hai capito subito, me ne sono reso conto il giorno dopo» mormorò.
«La mia tenue speranza» disse lei e lo vide annuire. Insieme gettarono lo sguardo sull'ultimo quadro. Lei indicò il centro nero e non disse nulla, ma era evidente cosa fosse, poi col dito indicò i contorni sfumati, quasi trasparenti e lo guardò fisso negli occhi.
«Sei stato gentile. Hai reso tutto più delicato, speciale.» Lui scosse la testa. Era felice di quelle parole, ma lo stesso non riuscivano a risollevarlo.
«Mi hai fatto compagnia e non ti era dovuto. Lo apprezzo.» Lui finalmente si le si avvicinò e la prese per una mano. La abbracciò teneramente e con le labbra sfiorò la sua bocca. Un brivido freddo scese lungo la schiena di lei che chiuse gli occhi, abbandonandosi a quell'abbraccio. Lui passò l'altro braccio sotto le sue ginocchia e la tirò su, guardò per l'ultima volta il dipinto alle sue spalle, e senza sorridere la portò con sé.
Racconto incluso nell'antologia "Tre semplici sconosciuti":
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