La ragazza era brutta.
I capelli sporchi le cadevano sulle spalle senza forma, unti; aveva gli occhi rotondi, dal taglio un po' asimmetrico, sgradevole e neppure simpatico; aveva vestiti volgari troppo piccoli per la sua taglia, con scritte e disegni sbiaditi come succede dopo troppi lavaggi.
Aveva le movenze goffe di chi non ha imparato come e dove stare e riesce ad essere d’intralcio sempre e comunque, anche dove non passa nessuno.
Infine, come fosse una caricatura, uno degli incisivi le era caduto e le mancava completamente, lasciando un buco scuro nel sorriso sgraziato.
Sedeva vicina ad un ragazzo, anche lui era brutto.
Uno di quelli che in ogni liceo del mondo sono candidati allo scherno e alle botte dei bulli: ricoperto d'acne e magrissimo, con le spalle cadenti e i piedi troppo grandi dentro i sandali di gomma, era uno di quelli che fanno i compiti ma non sono i primi della classe e nelle foto d’istituto sono in ultima fila con gli occhi chiusi. Quelli che hanno perennemente gli occhiali rotti e mai nulla di divertente da raccontare il lunedì mattina.
Si sorridevano senza parlare, e si tenevano la mano.
Senza quasi toccarsele, si sfioravano le dita.
All’improvviso avrei voluto restassero a lungo così, felici, senza curarsi d'altro oltre le loro dita che si sfioravano e la voglia di baciarsi.
Irreali, quasi incantati.
Quasi dovessero esistere lì in eterno, come accennati, intoccabili schizzi dimenticati dal pittore, perfetti ed immobili.
Due immagini in un quadro con la grazia di un altro mondo e la gioia che la vita vera non regala quasi mai, rara bellezza come un profumo delicato ed inatteso, che non si può dimenticare.
Come temessero di respirare
svegliandosi a vicenda