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Il Fabbro
Il mio passato è un cancello al centro di dune monotone e sabbiose,
in un deserto arido come i sentimenti che allignavano,
simili all'edera velenosa, nel mio cuore.
Dune di sabbia finissima, lavorata dai secoli,
modellata in guisa di monumenti osceni,
rena nella quale camminavo in tondo,
come colui che brancola nel buio di una lurida sentina,
ricettacolo di miserie umane.
Nastri interminabili di chilometri dei quali nulla restava al mio passaggio,
poiché ogni impronta che il mio claudicante passo
imprimeva sull'impalpabile terreno
veniva prontamente ricoperta dalla polvere,
sollevata dal torrido vento che in quelle lande spira in rabbide folate,
quasi fosse l'alito putrescente del Demonio.
Un unico cancello sulle cui guglie aguzze,
il mio spirito corrotto, unitamente al corpo martoriato,
il nichilismo mio ha issato e trafitto,
come l'averla il verme crocifigge sugli spinosi rovi.
L'astro del giorno al suo levarsi, similmente all'occhio rovente di Moloc,
rendeva incandescente le lance metalliche su cui ero infisso,
decuplicando così il mio dolore.
Negli oscuri gangli del mio cervello sfatto,
palude alcolica brulicante di germi infetti,
si annidava un rimasuglio di surreale lucidità reattiva,
e io domandavo, senza aver risposta:
"Avrà mai dunque fine questa atroce Notte,
illuminata dai roghi alimentati dal liquido Veleno,
di cui faccio uso soverchio?
Arroventata dal fiammeggiante disco di un sole alieno,
divoratore di Uomini e coscienze."
A tutti è concessa un'occasione, ed io seppi che era giunto il turno mio
quando un Uomo vestito come un fabbro si avvicinò armato di uno sguardo dolce,
e di una sibilante fiamma che scaturiva da un cannello ardente.
Le Sue impronte restavano al passaggio, il vento non osava cancellarle,
ciò mi parve cosa buona.
Sostò nei pressi del cancello e pose un'unica domanda:
"Vuoi essere libero o seguitare così, finché sarai cibo per i corvi?"
Per tutta risposta io tesi la mano,
nell'antico gesto di colui che chiede aiuto,
ero incapace di articolare verbo.
Lui capì che ormai ero allo stremo e alacremente cominciò il lavoro
in un fantasmagorico sfavillare di purpuree scintille.
Su ogni sbarra, che si piegava al volere del Sacro Fuoco Purificatore,
era inciso un nome:
Invidia, Tracotanza, Suberbia, Odio, Accidia
e altri ancora, certo le sbarre erano molte.
Ma quando anche l'ultima cadde,
a terra non restarono che poche scorie fumiganti,
ed io fui libero di cercare la Strada che, passo dopo passo,
mi portò fuori da quelle lande desolate ed arse.
Ancora Oggi percorro il Sentiero che si snoda per verdi Valli,
il cinguettio dei torrenti e il dolce strormire delle fronde
danno sollievo all'animo mio che a volte pare smarrirsi,
mi rinfrancano nell'affrontare il Cammino
che ancora mi resta per terminare il Viaggio per unirmi,
se di ciò io sarò degno,
al Fabbro che mi aiutò a segare le sbarre
ed affrancare così lo spirito coperto di catene.
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