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Il Biglietto
È da un giorno che ha questo bigliettino in mano e dovrà pur rispondere. È già la terza volta che ne riceve dai ragazzi. Dichiarazioni d’amore con frasi mielose e un po’ artefatte, che però gli autori proclamano partire direttamente dal cuore. Lei non sente una grande partecipazione verso questo ragazzino, non è proprio il suo tipo. Però ha deciso. Gli dirà di sì. Inizia una corrispondenza settimanale di lettere che passano tra più mani. L’emozione è più nell’inviarle e nel saperle ricevute che dal contenuto più o meno scontato. Si vedono due volte, si scambiano poche parole e alla fine di giugno, durante gli esami lui le dà un bacio. Non si rivedono, non si scrivono per molti mesi, non si sentono. Lei torna a Maratea per il magistrale e lui a Salerno per il quarto ginnasio. La loro storia non è finita ma sembra essersi esaurita. È difficile contattarsi. Si perdono. Lei diventa donna, è alta, bionda, con un sorriso accattivante, con la sua fossetta sul mento. A scuola oramai ha una schiera di ammiratori e pretendenti, che a fatica, riesce a tenere lontani con rifiuti gentili. Arriva il suo uomo, quello in qualche modo sognato. È è più grande di lei di quasi dieci anni, ma è bello, le dà una certa sicurezza. Poi vuole mettere le cose in chiaro, tutto alla luce del sole. Lei ha solo 18 anni ma comunque lo sposerebbe come lui chiede, rinunciando ai suoi studi.
È il 15 giugno del 69, anche nelle scuole del sud è arrivata la contestazione studentesca, nelle fabbriche del Paese cominciano i primi scioperi, nel mondo si parla invece della prossima conquista della luna. Va ad una festa di ex compagni di scuola. Ci va solo con delle amiche. Lì rivede il ragazzo delle medie, quello dei bigliettini, delle parole fugaci nella coda della fila, di quel bacio timido e tremante. Sembra un altro, più sicuro, determinato, un viso d’angelo, uno sguardo luminoso, e poi è ancora un ragazzo. Ballano tutta la sera, le confida i suoi progetti, vuole finire il liceo, poi l’università, giurisprudenza, vorrebbe fare il magistrato. E lei? Perché non fa il corso integrativo così da potersi iscrivere a medicina, il suo sogno rivelato nei suoi scritti? Decidono di risentirsi, usano uno stratagemma. Le avrebbe inviato le lettere a casa dell’amica e telefonato il sabato di ogni due settimane al posto pubblico, alle 3 di pomeriggio. Non le viene facile, ma rompe il fidanzamento con il suo uomo, litigando con la madre e la sorella. Questi non si rassegna e, come un bambino, la implora a restare con lui. Lei è invece determinata. Si iscrive al corso integrativo e poi a Medicina a Bari, sì a Bari e non a Napoli, insieme al suo ragazzo della medie. Lei in un collegio universitario in via de Rossi, lui alla Casa dello Studente, in via Crescenzi. A due passi. Dopo le lezioni sempre insieme, a sera a mensa, poi nella stanza, moltissime notti. Cinque anni di favole, di un amore struggente e passionale, di risate, ma anche di voler affermare ognuno il proprio io, di mettersi davanti e di paure per gli esami e di tanto studio. Lui si laurea, a lei mancano ancora meno di due anni. Il padre di lei decide che oramai forse è meglio che si sposino. Lui ha fatto già diversi concorsi pubblici e ne ha vinto uno, da cancelliere. Deve prendere servizio il 10 dicembre del ’76. Si sposano a Maratea il 30 settembre. D’altra parte questo paese non è noto anche per le sue 44 chiese? Scelgono quella di Fiumicello, Maria SS. di Portosalvo. Sono solo in 30 e così il costo del Santa Venere pare essere più sopportabile per la loro festa nuziale. Nel rione di Montereale, il padre si impegna a pagare l’affitto di un appartamento ammobiliato per i primi sei mesi. Lui lavora e vuole ancora studiare, lei studia e sta più a Bari che a casa. I litigi e le ripicche riescono a sopraffare la loro passione. Avevano deciso di non avere figli per qualche anno. Alla fine del ’77 arriva Luca, a marzo lei diventa medico.
Hanno raggiunto il loro sogno ma la loro storia d’amore sembra già finita. Si trasferiscono a Pavia, lui fa ormai il magistrato e lei comincia a lavorare al Policlinico san Nicola. Orari impossibili, corse per il bambino che resta sempre solo, all’asilo, con la baby sitter, alla sera cercano di uscire solo per rivedersi, ma è inutile. Lui alla fine non nasconde neppure la sua relazione. Esce alle 7 e ritorna la sera tardi. Lei sola in quel reparto pediatria si consola visitando i figli degli altri e qualche breve storia fugace con dei colleghi più giovani non la ripagano.
Sono passati 30 anni, il figlio Luca sta quasi 6 mesi in India e sei mesi in comunità, Marta è una grafica pubblicitaria, vive a Milano, nella zona dei Navigli, in un mini appartamento e sono tre mesi che non la vede.
Lei è ora lì, seminuda seduta davanti la vasca da bagno. Fa correre l’acqua calda. In mano una bottiglia di whisky e un tubetto di Roipnol. Oramai ne prende tre, anche quattro, la sera. Trenta pastiglie… poi un sorso… poi un taglio piccolo piccolo e… poi nella vasca. Si sarebbe addormentata senza sentire alcun dolore. Entra dentro, si siede con il braccio fuori e le si frappone davanti una vecchia immagine, quel suo primo bigliettino di 40 anni prima e lei che lo riscrive, in modo cortese “ sono troppo piccola, non mi sento ancora pronta e poi mia sorella potrebbe controllare le nostre lettere… mi dispiace... possiamo essere amici” .
Poi le appare l’immagine di quel suo uomo, che le aveva garantito una vita sicura: “ non ti farò lavorare, puoi smettere di studiare, ci penso io a mantenere la famiglia” e aveva immaginato la sua vita tranquilla tra Lauria, Rivello e Maratea, vicino alla “sua” famiglia, sempre lei a decidere le piccole e le grandi scelte della vita e a rimpiangere le sue aspirazioni represse.
Era tardi e… il sonno interruppe i suoi pensieri.
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- Grazie Giancarlo del tuo commento. Penso che tu abbia ragione su tutto, o quasi. Nel senso che l'emozione vorrebbe esserci. Sì, diciamo che è la cronaca di una vita in una cartella. È incredibile:non sono uno che scrive e ho lasciato questo racconto più di un anno fa; è incredibile come abbia potuto avere più di 1600 lettori. Chi sono? Cosa dicono? Perchè lo hanno letto? Chissà se lo ha fatto l'unica persona che avrebbe dovuto leggerlo. Saluti Marco Lauria
- Cosa dire? Per essere scritto bene, è scritto bene, e non si discute. Lo stile asciutto, stringato ed essenziale che nulla concede al lirismo rendono questo pezzo più simile a un articolo di cronaca che a un racconto in prosa. Il che, intendiamoci, non è un male.
Ma forse è anche il suo maggior (unico?) limite. Sembra, e sottolineo il sembra, che ci sia poca partecipazione, che ci si limiti a "raccontare" e non a "mostrare".
E poi un'ultima cosa, il racconto è tutto al presente, perchè l'ultimo periodo è al passato remoto? Stona un po' alla lettura.
Nel complesso è sufficiente.
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