Nella stanza in fondo al corridoio di questa casa, la mia casa, mi sono nascosto troppe volte. Le pareti sono spoglie, il colore non è più un colore. Al centro del piccolo tavolo c'è una radio, una radio a pile. Non prende più stazioni, ma trasmette solo fruscio. La luce è assente, non c'è luce e la finestra non si apre da almeno dieci anni. Le pareti sudano, sudano gioie, dolori, ansie, emozioni e finanche immagini. Scorrono lente e sbiadite tutto il giorno. Non c'è un proiettore, non c'è nulla. È l'uso del tempo che crea le cadenze. Niente minuti, niente ore ne giorni. Il tempo è uno, perché misurarlo? La stanza a volte dorme, non suda. Basta accendere la radio e ascoltare il suo fruscio per svegliarla. Oltre a me, nessun altro è mai stato tra queste mura. L'ingresso è riservato. Uscendo dalla stanza chiudo la porta e mi volto. Mia moglie mi ha detto: «su questa parete prima o poi appenderò un quadro.»