racconti » Racconti sulla nostalgia » 1-un pomeriggio in areoporto-
1-un pomeriggio in areoporto-
Sono seduto sulla poltrona dell'aeroporto. Sono le cinque di una domenica pomeriggio nuvolosa e triste. Mi capita spesso di venire qui da solo, mi piace vedere la gente che viaggia; c'è chi parte, chi arriva, chi aspetta l'abbraccio di una persona cara in ritorno e poi ci sono io.
Con me non ho nulla per viaggiare, niente biglietto, niente valigia, niente soldi, solo la voglia di partire, tanta voglia, ma dove? Sul tabellone delle partenze non c'è tanta scelta, comunque le destinazioni sono abbastanza interessanti. Tra le mie preferite ci sono Londra Stansted, Barcellona Girona e New York JFK.
Manca poco meno di un'ora alla partenza di un volo per Londra. Vicino al banco del check-in si affrettano i ritardatari per mostrare la loro carta di imbarco. Proprio adesso sta arrivando una giovane coppia inglese con un bambino. Sembrano sereni soddisfatti, felici, staranno forse tornando a casa loro dopo una lunga estate passata al mare, forse dai loro parenti. Quello che dovrebbe essere il marito indossa una t-shirt celeste con un paio di pantaloncini avana e infradito ai piedi. Mi vengono i brividi solo a vederlo conciato in quel modo visto che io sono ricoperto da giacca con tanto di maglia di lana. Guardandoli mi chiedo che lavoro fanno, perché sono qui. Dal loro aspetto si può scorgere l'immagine di una classica famiglia inglese, con una vita tranquilla nella periferia di Londra ed un lavoro modesto. Mi piacerebbe stare insieme a loro, far parte della loro armonia, partire, volare via. Ma a Londra non ci sono mai stato! Dove vado? E poi non so una parola di inglese, le uniche cose che so, le ho imparate alla scuole elementari.
Ricordo che la maestra ci insegnava l'inglese con delle marionette con il nome dei frutti, e tra queste, la mia preferita era il pomodoro: tomato. Per il resto il mio livello è abbastanza basso, non saprei comprarmi neanche una bottiglietta di acqua. Comunque sia, Londra è una città bellissima. Me ne ha sempre parlato mio fratello. Mi raccontava di una città con tante opportunità, luci, colori, persone. Adoravo ascoltare le sue esperienze le sue avventure. Per me era come sognare, viaggiare veramente, ma la realtà è diversa. Non ho mai viaggiato in vita mia, non conosco l'inglese e per di più ho paura di volare. Non sono un tipo molto coraggioso, mi manca la sicurezza. Ho un muro davanti me che non sono mai riuscito a superare.
Guardavo lo schermo con le partenze e gli arrivi con la voglia di partire, scappare, fuggire, ma nel momento in cui ero quasi convinto tornavo indietro, rinunciavo a tutto. Era un decisione troppo grande, troppo rischiosa. Lasciare tutto, mollare gli studi e partire, questo era il mio sogno. Erano ormai 3 anni che frequentavo l'università con scarsi risultati. Non avevo grandi amici, i miei genitori mi pressavano continuamente, volevano che finissi gli studi il più presto possibile per vedermi in giacca e cravatta. Volevano il mio futuro, volevano vedermi realizzato.
La realtà purtroppo è un'altra. La mia realtà è un'altra.
Qui a Pescara mi sento stretto. Sono uscito dall'aeroporto che erano le sette e mezza. Mi sono avvicinato alla protezione in ferro che divide la strada dalla pista di partenza e atterraggio. L'aereo per Londra stava partendo, era fermo, stava scaldando i motori. Al suo interno tante persone tante vite, tanti desideri, tante paure, tante ambizioni. Tra queste c'era anche la mia, chissà però dov'era seduta. Magari vicino al finestrino.
L'aereo inizia la sua corsa, prende sempre più velocità e si alza in volo, raggiunge il cielo, diventa un puntino fino a perdersi. Io invece sono a terra. Immerso nella mia cruda realtà. Si è fatto tardi il cielo è ormai diventato scuro. Invece di prendere l'autobus decido di prendermi un po' di tempo per me. Ero stanco ma avevo voglia di camminare. Con me mi ci sono i Kings of Convenience che mi accompagnano con Misread. Mi sento malinconico triste. Ho voglia di parlare con qualcuno ma con chi? Non ho un bel rapporto con i miei coinquilini: Mario e Luigi. Sono due persone tranquille ma troppo superficiali. Pensano solo al pallone alle donne e alla Playstation. Non hanno sogni, ambizioni, desideri. Per loro basta una scopata il sabato, la partitella al calcetto durante la settimana e lo stadio la Domenica. Oltre non vanno, bruciano e basta. Mi chiedo tutt'ora che ci faccio ancora con loro. Dalla borsa prendo le chiavi e apro il portone. Sono precisamente le otto e mi trovo a casa. Che faccio? Mi cambio ed esco? Non se ne parla proprio! Ho bisogno di tempo per me. Poso la roba in camera e corro dritto in cucina. Adoro quando sono solo in caso, sento il profumo della libertà, posso fare ciò che voglio. Quella era una delle sere in cui avevo bisogno di pensare di avere un contatto con me stesso, di ascoltarmi. Decido allora di farmi una doccia rilassante. Il bagno non è dei più lussuosi, c'è solo l'occorrente. Morivo dalla voglia di farmi un bel bagno, di quelli che sprofondi nell'acqua calda e rimani a mollo per mezz'ora, purtroppo non navigo nell'oro e mi sono dovuto accontentare di una doccia calda.
Adesso che avevo scaricato la tensione a livello fisico non potevo fare a meno di gustarmi una bella tisana. Mi fa ricordare di quando facevo le superiori e aspettavo il mio caro bro che finiva di lavorare dalla fabbrica alle 10. Quando tornava mi veniva a chiamare in cameretta e mi diceva di preparare tutto; ero contento, felice di trascorrere un po' di tempo con lui, rubargli un po' delle sue preziose attenzioni. Correvo subito in cucina e mentre che lui si sistemava e posava la roba in camera, io con religioso silenzio per non svegliare i miei preparavo tutto. Ero sempre curioso di sapere com'era uscita la tisana, cercavo sempre di fare del mio meglio non volevo deluderlo. Quando poi tutto era pronto mentre sorseggiavamo la tisana bollente, a volte parlavamo oppure stavamo semplicemente in silenzio. Quel silenzio a distanza di anni risuona ancora nelle mie sere da solo, e questa è una di quelle in cui ne ho bisogno. Penso a me, alla mia famiglia, alle mie decisioni, al giorno in cui ho scelto. Si era fatto tardi ed era arrivata l'ora di andare a dormire. Ormai stordito dai ricordi, dai pensieri e dalla tisana mi dirigo lentamente in camera come se accarezzato dal tepore del sonno.
Accendo la luce e il mio sguardo cade improvvisamente sul calendario.
Vedo un grande cerchio rosso sul numero 21 del calendario e leggo "esame di analisi". Avendo perso la concezione di spazio e tempo cerco di fare un po' di conti e, improvvisamente mi accorgo che oggi è 17!!!! L'esame era vicino che fare? La tisana di colpo aveva perso tutto il suo effetto inibitorio, i neuroni correvano impazziti nel mio cervello. A quel punto non mi restava che risvegliarmi. Corro in cucina e preparo un termos di caffé da 1 litro e mezzo, mi aspettava una lunga notte.
12
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0