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La voce del vento
E poi mi sono seduto, nel vento, a gambe incrociate nella posizione yoga del loto ad ascoltare la storia che il vento mi raccontava. Una storia che arrivava da lontano.
Immobile ed insensibile a tutti gli stimoli esterni, dimentico del mio corpo e del resto del mondo che vorticava vicino eppure lontano, stavo con gli occhi chiusi e le orecchie tese verso la voce suadente e sussurrante che avevo nella testa.
La storia era quella di Huang Li Min, contadina di uno sperduto, piccolo villaggio di contadini in un angolo della sterminata Cina; Huang Li Min che viveva stentatamente del poco che le dava il piccolo orto di fianco alla misera capanna che divideva con il marito dispotico e cattivo; Huang Li Min che ogni giorno, dal’alba al tramonto, lavorava nel proprio orto ed in quello di altri per portare a casa quel poco che riusciva trovare da mettere in pentola mentre il marito se ne stava a bersi tutto quello che riusciva o a ciondolare tra l’amaca e la stuoia che utilizzavano come letto.
Erano ormai anni che andava avanti così, lei a lavorare mentre lui non faceva null’altro che lamentarsi per la cena, per la poca voglia di fare all’amore di sua moglie, del suo aspetto, della povertà casa, della sfortuna di essere nato povero, della cattiveria dei suoi compaesani, di tutto.
Giorno dopo giorno, anno dopo anno, nella mente di Huang si faceva largo un pensiero, il pensiero di liberarsi di quel marito che le avvelenava la vita.
E comincia così la storia, con Huang Li Min che, stanca di quella vita di stenti e di quel marito accidioso e tanghero prende finalmente una decisione, quella notte lo sgozza come un capretto. Poi, con calma e precisione lo taglia a pezzi, piccoli pezzi e lo mette in una grande pentola, tutto escluse parti come testa, pelle, mani, piedi, il poco grasso che trovava dimora sul suo corpo ed un pezzetto che ha deciso di tenere come souvenir; poi insaporisce il tutto per bene con spezie ed il giorno dopo lo serve ad una festa a cui invita tutti gli abitanti del villaggio con contorno di salse, verdure cotte al vapore e riso bianco.
Al pranzo partecipano tutti, dal più povero agli anziani, offerta dalla famiglia per festeggiare la presa di possesso, grazie ad un’inaspettata eredità, di una piccola rivendita di sale nella capitale; rivendita di sale gestita dal marito che avrebbe permesso alla famiglia di migliorare considerevolmente le stente condizioni in cui erano sino ad allora vissuti.
L’idea della rivendita di sale le era venuta qualche giorno prima, per caso, vedendo passare l’ambulante che dalla via del sale arrivava in tutti i villaggi per vendere, a caro prezzo, quella preziosa sostanza; pensandoci su aveva deciso che poteva essere un’ottima idea per motivare l’assenza del marito ed anche per motivare eventuali miglioramenti nella sua condizione.
Gli invitati fanno decisamente onore al banchetto, tutto quanto servito in tavola dall’indaffaratissima Huang viene entusiasticamente consumato fino all’ultimo boccone, e non c’è da stupirsi visto che in quei villaggi la carne è una rarità che non si mangia spesso, la dieta è infatti costituita quasi completamente da verdure e riso. Solo Huang non tocca cibo con la scusa di rispettare i principi dell’ospitalità rifiutando, gentilmente ma decisamente, l’aiuto delle altre donne.
Tanta generosità stupisce e tocca il cuore di tutti, i Li Ming sono se non la famiglia più povera del villaggio sicuramente una delle più povere e gli abitanti che godevano di condizioni di vita migliori li avevano sempre trattati con una certa spocchia e la presunzione di sentirsi migliori; soprattutto a causa dell’inetto marito che non veniva nemmeno invitato a partecipare alle riunioni del villaggio, riunioni periodiche a cui partecipavano praticamente tutti.
Ovviamente se i convitati sapessero quale è la provenienza della deliziosa carne che hanno nei piatti sarebbero senza ombra di dubbio molto meno prodighi nelle esclamazioni di gioia e nei complimenti alla graziosa cuoca ma nulla turba l’immondo pasto, viene consumato tutto sino all’ultimo boccone, le ossa ripulite per bene e persino il dolce al sanguinaccio accettato e finito con gioia. Alla fine dell’intensa giornata però, accomiatatosi l’ultimo commensale, a Huang restano ancora diversi lavori da ultimare, deve lavare e riporre le stoviglie, smontare la veranda allestita quella mattina a fianco alla capanna per ospitare gli invitati ma, soprattutto, deve ancora far sparire alcune parti del consorte, quelle che non aveva potuto far consumare ai suoi concittadini.
È notte ormai quando i resti del marito finiscono in un pentolone insieme a molta cenere e all’acqua, li bolliranno lentamente sino al mattino poi la ancora la notte successiva e quella successiva ancora sino ad ottenere quella sostanza densa e vischiosa che comunemente viene chiamata colla.
La colla è un bene molto prezioso in quei villaggi, i resti animali necessari per produrla non si trovano facilmente e quindi, anche da piccole quantità si può ricavare un buon guadagno; Huang però non la può certo vendere nel suo villaggio, gli abitanti si insospettirebbero, e quindi, con la scusa di visitare il marito recatosi nella lontana capitale si assenta per diversi giorni, giorni durante i quali visita molti villaggi sperduti come il suo nelle campagne povere e desolate della Cina per vendere in piccolissimi barattoli quella redditizia merce.
Alla fine del suo giro, durato comunque quasi un mese, del marito non rimane che il piccolo souvenir che aveva deciso di tenere, il suo pene, trattato con sali da imbalsamatore, essiccato e conciato come cuoio. Aveva deciso di tenerlo per ricordo, in onore dell’alta considerazione avuta dal proprietario per quell’insignificante pezzo di carne e per tutte le volte che aveva dovuto sopportarne la consistenza dentro di sé, volente o nolente, ma ultimamente sempre nolente.
Era il suo portafortuna, che teneva sempre con se, in una tasca dell’abito, e quando era sovrappensiero addirittura si trovava a gingillarsi con quello strano pezzo di cuoio.
La vendita della colla consente a Huang di racimolare denaro, molto più di quanto ne abbia mai avuto nella sua vita, denaro di cui motiva il guadagno con la rivendita di sale e denaro che utilizza al meglio; in parte, piccola parte, per rendere migliore la sua capanna e per acquistare qualche abito ma soprattutto denaro che investe in oculati prestiti agli abitanti sia del suo villaggio che di quelli vicino bisognosi di liquidi indispensabili ad acquistare attrezzi da lavoro o beni.
Così facendo, in un periodo lungo poco più che due anni, Huang è di fatto la donna più ricca della Provincia, la più amata e rispettata grazie ai bassi interessi che chiede sui prestiti e così facendo oltre ad arricchirsi lei permette di migliorare le condizioni di vita nel villaggio permettendo a coloro che lo richiedevano di avere denaro per acquistare attrezzi da lavoro, animali da soma o aprire una bottega. Se in vita il marito si era dimostrato un inutile figlio di buona donna da morto aveva portato bene a molti e di questo Huang va molto fiera. Per la seconda volta nella sua esistenza è felice, la prima è stata mentre faceva a pezzi il marito, ha finalmente una casa e non più una capanna, un bel pezzo di terra che viene coltivata sotto il suo sguardo attento da due giovanotti che paga a giornata e che, quando ne sente nascere la necessità, appagano lei dalla lontananza di quel marito di cui nessuno sente la mancanza ormai impegnato nella rivendita di sale.
Sono passati ormai cinque anni dalla notte dell’omicidio e tutto procede al meglio per Huang, il suo reddito è in costante aumento, il villaggio è più grande e più ricco e nessuno si chiede cosa sia lo strano ninnolo con cui di tanto in tanto la vedono giocherellare; tutto procede quindi al meglio ma la notte del quinto anniversario si alza uno strano vento, caldo fuori stagione, caldo, e carico di suoni che sembrano parole, un vento che ha una storia da raccontare alle orecchie di Huang che si siede ed ascolta.
La storia è quella di Luciano, un uomo che vive in un paese lontano e di cui lei non ha mai sentito parlare, l’Italia, la storia è quella di un uomo che per mestiere alleva maiali.
Luciano fa l’allevatore, vive in una casa attigua al grande capannone dove svolge con discreto profitto e molta fatica la sua attività; nel capannone alleva diverse centinaia di maiali che poi vende ai produttori di carni suine ed insaccati, insieme a lui la moglie che invece si tiene quanto più possibile alla larga lasciando a lui tutto il lavoro.
Non erano passati molti anni dal matrimonio quando Luciano si è reso conto che quella donna non faceva per lui, lei era pretenziosa quanto lui frugale, soffriva di profonde crisi di nevrastenia da marito incapace di darle quello stile di vita che pensava di meritare e che invece pensava solo a quelle bestie, lo odiava profondamente quel marito senza ambizioni e detestava ancora di più i suoi porci. Lei voleva altro dalla vita che passare le sue giornate ad ascoltare i ributtanti grugniti emessi senza posa da quelle luride, grasse creature; trascorreva intere notti insonni a digrignare i denti in silenzio e sentendo nella sua testa puzza di porco e rumore di porco odiandoli ed odiando Luciano ogni giorno sempre di più. Durante i primi anni di matrimonio aveva cercato di convincerlo a vendere tutto e trasferirsi in città dove avrebbero potuto iniziare una nuova e meno fetida attività ma ogni volta lui adduceva la solita odiata scusa: “ sono un allevatore di maiali, cos’altro potrei fare?”
Così lei aveva resistito al caro prezzo di detestare sempre di più lui ed i suoi amati animali, a nulla erano valsi i tentativi di lui di modernizzare l’attività, aveva isolato la casa acusticamente ed aveva installato impianti per la purificazione dell’aria per non farle sentire odori e rumori, aveva automatizzato molte parti del lavoro per avere tempo da trascorrere insieme ma, in cambio di tutti i suoi sforzi e sacrifici lei era diventata man mano sempre più arrabbiata e propensa a far andare liberamente la sua lingua tagliente ed avvelenata. Lo costringe a farsi la doccia sino a tre?" quattro volte al giorno accusandolo di emanare l’odore dei porci che alleva ma nonostante ciò ormai è da molto che ha voluto una stanza da letto tutta per lei e non giace con il marito, rifiuta con sdegno di lasciarsi anche solo sfiorare da lui e no ha che parole di disprezzo per il marito.
Lui sopporta paziente tutto, dormire da solo, non ricevere mai un bacio od una carezza e, soprattutto, la sua linguaccia velenosa; la mancanza di colore umano gli riempie il cuore di tristezza, ma il momento peggiore sono i pasti; consumati con lui in silenzio e lei che offre il peggio del suo repertorio di vessazioni, con il cibo preparato con odio ha persino un sapore cattivo, di guasto. Se osa criticare una pietanza riceve altre parole dure ed una volta che si è permesso di farle notare che lo zafferano non gli è mai piaciuto si è visto rispondere con un sorriso maligno che allora ne avrebbe ricevuto in abbondanza, e così ha fatto, per trentacinque infiniti giorni sulla sua tavola c’è stato solo zafferano e lui è stato costretto, suo malgrado, ad inghiottirlo a denti stretti.
La vita di Luciano si svolgeva in un ambiente domestico fatto di parole cattive condite con odio, disprezzo ed inviti a lavarsi che, diceva lei:” puzzi di sterco, sembra di mangiare con una di quelle tue luride bestiacce!”. Siccome a casa non ci poteva stare trascorre sempre più tempo con le bestie, invidiandone la pace, la possibilità di mangiare a sazietà, di dormire in pace senza nessuno che ti sveglia nel cuore della notte maledicendo te, Dio ed il destino che l’ha costretta a giacere in una mangiatoia per porci attorniata da porci e con quel marito che è praticamente un porco; invidia i loro amori fugaci, le scrofe che allattano i piccoli e si ritrova a pensare che anche lui lo vorrebbe un figlio, che anche lui vorrebbe qualcuno da amare e che ti ama, che non è giusto essere trattato in quel modo. Luciano è un uomo dall’animo buono e gentile ma con il passare del tempo si ritrova ad osservare affascinato la velocità con cui vengono svuotate le mangiatoie non appena riempite, adora, praticamente, l’ineffabile maestria di quegli animali nel far scomparire dentro i loro capaci stomaci tutto ciò che gli da ed uno strano pensiero si affaccia sempre più spesso alla sua mente.
All’inizio pensa che sia solo voglia di vendetta e si lascia cullare dal sogno di metterla in atto, di attirare la detestata consorte nel capannone con una scusa qualunque e poi, con somma gioia, di gettarla nel recinto per lasciare che i maiali la sbranino, immagina la scena, le urla e le maledizioni della donna e ne gode dentro di se; ogni giorno arricchisce il sogno con nuovi particolari e piccoli cambiamenti per renderlo più saporito, la denuda, le inferte piccole ferite per incentivare i suoi vendicatori al pasto e quasi le sente le urla di dolore mentre viene dilaniata brano a brano dalle centinaia di bocche affamate da una giornata senza cibo, gode nello stare a guardare la scena e ne trae quasi un piacere sessuale. Ma sa che ciò non avverrà mai, sa benissimo quale ripugnanza abbia la donna nei confronti del capannone e quindi sa altrettanto bene che per nessuna ragione al mondo entrerebbe mai li dentro, la accarezza anche l’idea di portarcela con la forza ma la donna non è gracile e potrebbe non essere semplice trascinarla in preda ad una crisi di panico e repulsione fin dentro e quindi accantona l’idea anche un po’ spaventato di essere sceso in tali dettagli.
Ed intanto i giorni passano tristi e la moglie diventa sempre più malevola, la sua lingua sempre più avvelenata come le ore trascorse in sua compagnia, ed intanto i giorni passano e l’idea di liberarsi di quella donna si fa più urgente, Luciano sa che ne va della sua sanità mentale, se ne deve liberare ad ogni costo altrimenti rischia di impazzire.
Lei naturalmente non immagina quali strani pensieri attraversino l’immaginario del marito, è talmente convinta che sia un inetto imbecille che non si accorge nemmeno di stare tirando troppo la corda; forse, se sapesse che lui immagina di prenderla e spogliarla con la forza, picchiandola per renderla più arrendevole e cospargerla di zucchero a velo come una torta prima di portarla di peso nel recinto con lei che sbatte come un pesce preso all’amo, forse se sapesse con quale gusto sogna di ascoltare le sue suppliche davanti all’orrore di essere divorata viva diventare maledizioni e poi solo urla di dolore ed agonia, se vedesse con i suoi occhi il sorriso riapparire finalmente su quel volto che ormai non vede più, se vedesse l’eccitazione sessuale che gli provocano quelle fantasie terrebbe un poco a freno l’odio, e quel poco potrebbe anche bastare ma lei non sa, lei non immagina ed il suo destino, giorno dopo giorno è sempre più segnato.
Finalmente una notte Luciano è folgorato, incenerito dalla chiara rivelazione di ciò che deve fare e come farlo, è tutto chiaro, gesti, azioni, completo sino ad ogni marginale dettaglio; trascorre la notte a pensarci su ma non trova falle nel suo piano, la notte seguente agirà.
Quel giorno è il più lungo della sua vita, aspetta con ansia crescente che venga la notte, la notte benedetta che segnerà la fine della sua lunga tortura, aspetta diventa sempre più impaziente, alle quattro del pomeriggio ormai è quasi convinto che quella giornata non sarebbe mai giunta al termine e lui sarebbe rimasto per sempre prigioniero di quel mezzo crepuscolo con l’unica compagnia di quella lingua maledetta e maldicente ma il giorno finisce.
Durante la cena non sente nemmeno i soliti insulti e le solite lamentele, mangia senza percepire nessun sapore nel cibo, lo fa meccanicamente con il pensiero proiettato alle ore seguenti, alle magnifiche ora seguenti.
Nel cuore della notte alza ed in punta di piedi raggiunge la stanza dove riposa la sua gorgone, si ferma per un istante sulla porta in ascolto di eventuali segni che gli dicano che lei è sveglia ma sente solo il respiro pesante del sonno ed allora entra, aspira l’odore rancido della donna addormentata, ne guarda l’odiata sagoma nell’oscurità e pregusta per un istante il seguito poi, con grande attenzione e persino un po’ d’amore le stringe la gola tra le forti mani di lavoratore.
Sentendosi toccata lei si sveglia subito ma subito è già troppo tardi, il corpo di lui è pesante, le braccia robuste, con le ginocchia piantate sulle sue braccia le impedisce qualsiasi movimento e l’intontimento del sonno le sottrae l’energia che le servirebbe per liberarsi, si dibatte ma non riesce a far mollare la presa a Luciano che invece sta godendo negli spasmi mentre sente la vita abbandonare il suo corpo; qualche minuto e poi è tutto finito, lei giace morta con gli occhi strabuzzati ed il volto livido, lui no ha un solo graffio. Il lavoro però non è che all’inizio, ora arriva la parte forse più difficile, la trascina nel capanno dove ha le macchine per preparare il cibo ai maiali e la fa a pezzi con una sega ed un coltello, sa bene come farlo e l’operazione non gli richiede più tempo del previsto, poi passa i pezzi delle giuste dimensioni nel tritatutto industriale ed infine nell’impastatrice insieme con il mangime vegetale che di solito da alle bestie; di lei non rimane praticamente nulla, solo un piccolo souvenir non finisce nell’impasto.
Finisce giusto all’ora in cui deve dare da mangiare ai suoi grassi protetti e quindi dispone in modo che il cibo arrivi nelle mangiatoie, ha solo il piccolo timore che il veleno contenuto in quella donna possa fare del male ai maiali ma poi, vedendo con quale appetito viene divorato il pranzo si tranquillizza, in dieci minuti ogni traccia scompare e lui, per la prima volta dopo molto anni è felice, felice ed affamato, quindi torna in casa e si prepara una robusta colazione, dopo la notte insonne ha bisogno di energie per affrontare una giornata di lavoro.
Il pomeriggio denuncia la scomparsa della moglie alle autorità, vengono svolte delle indagini ma alla fine il tutto si risolve con un nulla di fatto e nessuno più lo va a disturbare per chiedergli nulla.
A lui rimangono tanti brutti ricordi e quel piccolo souvenir che aveva conservato, la sua lingua, proprio la parte di lei che più aveva odiato, trattata come cuoio la teneva sempre in tasca agganciata ad una catenella d’argento, era il suo portafortuna e certe volte si ritrovava a giocherellarci, specie quando sapeva di essere solo o quando era sovrappensiero.
Per Luciano sembra che tutto vada per il meglio, gli affari prosperano come non mai a causa dell’aumentata richiesta di carne suina dovuta alla mucca pazza, ha dovuto costruire un secondo capannone ed ora ha anche due lavoranti, due ragazzi che lo aiutano nei lavori più pesanti e si sta rifacendo una vita insieme ad una giovane vedova incontrata in una sala da ballo; aspetta solo che passino i cinque anni perché la moglie sia dichiarata ufficialmente morta e poi sposerà quella donna che gli sta scaldando il letto ed il cuore da qualche tempo, una donna che lo ama, una donna gentile che anziché odiare il suo lavoro è grata dei doni che quel lavoro porta loro.
Luciano è un uomo fondamentalmente felice ed appagato, non ci pensa quasi più all’incubo della sua vita precedente, è se non ricco benestante, ha al suo fianco una donna meravigliosa che non gli fa mancare nulla ed il ritorno a casa per i pasti è una festa, ha finalmente una moglie con cui stanno pensando di aver un figlio nonostante non siano più tanto giovani nessuno dei due, ma questa notte un vento forte e caldo si alza all’improvviso, questa notte è il sesto anniversario del suo uxoricidio e quel vento carico di suoni che sembrano parole ha una storia da raccontare, una storia che lui non può fare altro che ascoltare.
La storia è quella di Huang Li Min e del suo souvenir, la storia è quella di come uno dei due giovanotti che le coltivano il campo e le scaldano di tanto in tanto il letto l’abbia vista giocherellare con quel piccolo pezzo di cuoio e, incuriosito, si sia prefisso di vederlo meglio la prossima volta che ne avesse avuto la possibilità; e la possibilità gli si presenta dopo qualche giorno, quando lei gli fa capire che quella notte avrebbe gradito la sua compagnia.
E quella notte, mentre Huang dorme del sonno profondo dell’amante appagato il giovane si alza senza fare rumore e va a guardare il ninnolo che lei tiene nella tasca. Come lo ha in mano riconosce immediatamente cosa è; il giorno dopo denuncia il fatto all’ispettore di polizia locale il quale scopre molto in fretta che quella della rivendita di sale era una storia e che il marito in realtà era scomparso si, ma ucciso dalla moglie. Ed anche se tutta la tremenda verità non la scoprirà mai nessuno tanto basta per far si che la ricca Huang Li Min finisca sotto processo e condannata all’impiccagione.
Nel sentire la storia del vento Luciano ricorda che il giorno prima uno dei suoi lavoranti era entrato all’improvviso nell’ufficio che aveva ricavato in un angolo del capannone mentre giocava con il suo souvenir per domandargli qualcosa, ricorda che con tutta probabilità aveva anche avuto occasione di vederlo prima che lui lo rimettesse in tasca e ricorda lo sguardo stupito che aveva quando era uscito.
Nel sentire la storia di Huang Luciano ricorda tutto ma ormai è tardi, il vento ormai non porta più parole ma il suono stridulo delle sirene della polizia che arrivano.
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