Le lettere erano emerse da un mare nero. Piccole lettere viola, in stampatello, incise su una superficie triangolare. “Sicuramente sì” era stato il verdetto. Schietto, deciso, senza margine di dubbio. Ed era rimasta così, seduta sul letto a fissare quella palla nera, poco più grande del suo cuore. Se ne stava immobile ad osservare il suo destino, la sua ultima decisione, la sua fine.
La stanza si trovava all'ultimo piano di un vecchio palazzo ottocentesco. Era larga e luminosa, a causa dell'enorme porta finestra in vetro sottile e bronzo che dava sul piccolo terrazzo.
Quel pomeriggio di fine primavera era scappato via veloce, portandosi dietro le tonalità più chiare del sole. Lasciando una grossa palla arancione decisa a tuffarsi sulla linea ondulata dell'orizzonte.
Una luce intensa e surreale riusciva comunque ad entrare nella grande stanza spoglia, illuminando il letto basso, le coperte di seta rosse e il viso della ragazza. E la palla 8 che teneva stretta tra le mani.
“Affidare tutto quello che ho ad uno stupido giocattolo” stava pensando “come mi sono ridotta così?” ed in quel mentre una lacrima le era scesa dall'angolo interno dell'occhio sinistro andando a posarsi sul suo vestito intero, entrandone a far parte. Era allo stesso tempo una lacrima di tristezza e felicità. Tristezza perchè era una decisione difficile, tragica da prendere il cui risultato avrebbe cancellato qualcosa di importante. Felice a causa del sollievo dato, appunto, dalla conclusione di tutto. La consapevolezza di non dover più stare a pensare alla soluzione migliore, al passato, al presente e, soprattutto, al futuro.
Poi, togliendo la mano destra da quella sfera in plastica lucida, si era asciugata il viso, aveva chiuso gli occhi e piegato la testa verso il soffitto e, più in alto, verso il cielo. Forse ancor più in alto, fino ad incontrare dio o chi ne fa le veci.
Aveva iniziato a tremare, mentre brividi freddi e caldi si rincorrevano lungo tutto il corpo. In fine aveva mollato la presa e la palla, come a rallentatore, era caduta a terra emettendo un ultimo lamento. Una piccola crepa era riuscita a nascere lungo l'oblò di plastica trasparente e quel liquido, come sangue, aveva trovato la sua via verso l'uscita, verso la luce, verso la libertà.
Si era alzata in piedi, con lo sguardo assente, dirigendosi a passi lenti e delicati verso la grande finestra. I piedi nudi si fondevano, ad ogni passo, con il pavimento di mattonelle ed il suo vestito ondeggiava, come se un vento misterioso la circondasse.
Arrivata davanti al vetro vi appoggiò una mano, guardando i polpastrelli schiacciarsi al contatto con la fredda maniglia. Uscì fuori camminando sempre più lentamente come per allungare all'infinito quell'ultimo, unico istante.
Intanto l'astro color arancia continuava a scendere, sempre più basso e triste, lasciando spazio all'oscurità.
Salì in piedi sul vecchio cornicione scrostato e guardò di sotto. C'era un silenzio sovrannaturale, nessuna macchina scoppiettava lungo la via, nessuna persona parlava o usciva a fare la spesa. Sembrava come se tutti si fossero rintanati nelle proprie case sapendo che qualcosa di terribile stesse per accadere. Anche i piccioni, che erano soliti svolazzare di tetto in tetto, erano spariti.
Il suo vestito, colpito da un vento ormai fresco e forte, sfarfallava lasciando intravedere quelle mutandine che solo pochi eletti avevano avuto l'onore di osservare in un'intera vita. E le sue labbra, così rosse come non erano state mai, riuscirono a distendersi in un bellissimo, vero sorriso.