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4 - Il Sogno: Gabriella
Era un bel problema, questo “sogno” frequentava l’autobus da circa due mesi, ogni volta che saliva aveva borsone più libri alla mano, quindi era una studentessa, ma di cosa e soprattutto chi era in realtà? L’occasione non tardò ad arrivare. Un grigio e cupo mercoledì di fine Novembre mi aiutò a conoscerla finalmente. Quella sera dovevo ripartire con la corsa delle 19 e, poiché ero un po’ in anticipo ho pensato: “perché non fare un giretto in stazione per qualche spesa al drugstore e in libreria? E lì, proprio lì che l’ho beccata. L’ho vista da fuori e così ho avuto una ragione in più per entrare. Quando mi sono avvicinato stava nel reparto libri da cucina. E io, mi avvicino:
- vedo che sei una buongustaia! Le ricette di Suor Germana sono le mie preferite. Allora quando la prepariamo questa pasta all’erbette dei monaci benedettini??
Lei mi guarda, prima sorride, poi si fa seria:
- ma a quest’ora l’autista non deve trovarsi già sull’autobus ad aspettare i passeggeri?
Non capivo se era una battuta o se era seria. Però quanto era bella, anche quando era seria. Va bè l’incontro è finito con una stretta di mano (almeno quella!).
- Piacere sono Marco, ho fatto una battuta stupida?
- La prossima volta prendi il libro e regalamelo! Io sono Gabriella (lo sapevo, già lo sapevo…!).
Quindi niente, il fascino della divisa non contava per gli autisti, o semplicemente su di me non funzionava. Come primo approccio era stato quasi un disastro, ma almeno c’era stato.
Gabriella non studiava, frequentava uno stage professionale all’aeroporto di Ciampino, viveva a Roma durante la settimana e spesso tornava dai suoi in Abruzzo. Così con il passare del tempo, quella stretta di mano si era pian piano trasformata. Quelle volte che non guidavo sedevamo insieme e, con l’aiuto di Guido si era creata una sorta di complicità e amicizia fra noi tre. Spesso prima di ripartire, la sera io e lei andavamo al bar della Tiburtina per un caffè. E lì Gabriella smettava i panni della stagista e si rilassava, ma soprattutto si sfogava. Quello che stava seguendo all’aeroporto, all’inizio sembrava un’ottima occasione, ma col passare del tempo si era rivelata una delle solite politiche aziendali: massimo sfruttamento sulle spalle di giovani pieni di speranze. Gabriella era sempre più cosciente di questa situazione e giorno dopo giorno cresceva la sua insofferenza. Io, la rincuoravo, la sollevavo, l’ascoltavo. E poi giorno dopo giorno mi piaceva sempre di più. Gabriella è un vulcano, non pensavo fosse così: è una che combatte contro i mulini a vento. Guido l’aveva esaminata bene e mi diceva: “se non tela fai scappare vedrai…”
Le buie e fredde giornate invernali nel frattempo sfrecciavano, il cielo era pesante e sempre a rischio pioggia. Quando pioveva a Roma era impossibile non rimanere bloccati nel traffico, sia che dovevamo “lasciarla”, ma soprattutto se dovevamo arrivare. I passeggeri diventavano isterici. Io facevo del mio meglio, ma un autobus con la pioggia ed effetto planning in agguato (specie sotto i ponti) può diventare molto incontrollabile. Poi però una volta arrivati la meteorologia da nemica diventava “alleata”. Mi trasmetteva una così grande malinconia e a tratti anche tristezza, la pioggia.
Più pioveva più mi sentivo solo, abbandonato.
- Che fai vieni al bar?
Giovanni andava, non insisteva, aveva notato che ultimamente volevo stare per fatti miei e mi lasciava stare. Ecco, solo nel bus parcheggiato. Piove, temperatura esterna sei gradi. Ok è il momento di leggere, prendo il libro che sto leggendo ormai da cinque mesi e comincio. Finalmente mi prende e mi immedesimo nella storia: si narra di due amici cresciuti insieme e poi separati dalle loro stesse vite. Insomma la lettura mi assorbe completamente che non mi rendo conto più del tempo. Fuori la pioggia ha ceduto ad una fitta nebbiolina e le lancette del mio orologio sono avanzate di due ore e mezza. Fra un’ora si riparte, penso fra me e me: stasera avrei preferito la corsa delle ventuno. Mentre il mio cervello gira con la seconda e, un po’ di sonnolenza vuole impossessarsi di me, qualcuno bussa al finestrino. È Gabriella!
- Sei in anticipo stasera?
- Si oggi a causa di un blocco sui terminali, abbiamo chiuso un’ora prima le attività, ma che fai solo sul bus? Dai scendi! Ho voglia di una cioccolata.
È l’occasione, non lo so, ma la situazione da scuola tipo “siamo usciti un’ora prima perché mancava il prof. di matematica come se mi suggeriva qualcosa…
Sono sceso dal bus e ci siamo diretti verso la stazione, lì vicino avevano da poco aperto una nuova caffetteria. Gabriella ed io camminavamo vicini, lei continuava a parlarmi della sua giornata lavorativa e io so solo che mi piaceva tremendamente, guardavo le sue labbra, i suoi occhi, il suo collo, il suo seno. Siamo entrati nel locale, un bel calduccio ci ha accolto. Portava un cappotto marrone ed una maglia verdone a collo alto. Senza il giaccone, la forma del suo seno era ancora più delineata. Due cioccolate con panna e quindici minuti di chiacchiere. Era fantastica, era fantastico come ci stavo bene insieme. Siamo usciti, il freddo ci ha assalito. Un passo, poi mi sono fermato e rivolto verso di lei.
- Marco che c’è?
Le ho preso la mano, mi sono avvicinato e l’ho baciata. Ma così un bacio a fior di labbra, un bacio rubato, inaspettato. L’ho fatto, ho sbagliato, lo so non dovevo, m l’ho fatto.
Lei? Si è fermata a guardarmi un istante. Poi ha ripreso a camminare verso il bus, in silenzio.
A questo punto la storia ha una svolta. Be non era più come prima, avevo rovinato tutto? La nostra “amicizia”?
Le volte successive che l’ho rivista erano diverse, qualcosa era cambiato. Mi era un po’ indifferente e io non sapevo bene come comportarmi. L’impressione che avevo è che in fondo il suo essere non doveva poi essere così forte, così duro. Lo so! Quanto lo sapevo, era sbagliato mischiare lavoro e vita privata. Era diventato quasi un disastro: avevo in mente sempre lei i suoi occhi e le sue labbra erano diventate un’immagine costante nei miei viaggi sul bus. Alla fine non c’è l’ho fatto e tempo due settimane l’ho riavvicinata. Non era arrabbiata per quello che era successo, ma comunque era un po’ strana:
- ciao
- ciao
- Ti và di parlare un minuto? Mi dispiace se ho fatto qualcosa di male nei tuoi confronti.
- No, non fa niente, forse ho reagito male io…
- MARCO CI SONO I BAGAGLI DA SISTEMARE!
- Ci possiamo vedere sabato mattina? A me piacerebbe moltissimo.
Dal suo maglione grigio a collo alto, scuote la testa, alza le spalle. Non lo sa? Non vuole?
- MARCO! (Giovanni che strazio!)
- Ok, ciao devo andare.
Partiamo, l’autobus non è affollato come nel fine settimana. Roma Est, Tivoli, Tagliacozzo e via via tutti gli altri caselli, le montagne, le luci dei paesi arroccati in mezzo all’Appennino. Certe volte questo lo paragono ad un viaggio itinerante: dalle quasi sponde del Tirreno alle quasi sponde dell’Adriatico, dalla metropoli dell’antichità attraversando la natura, fino alla tranquilla cittadina. Tutte queste riflessioni fino ad arrivare all’area di servizio. Pausa 10 minuti. Scendono tutti dal bus. Giovanni è uno dei primi, Guido passa e mi strizza l’occhio. In quel gesto sembra dire “vai! E vai!”. Rimaniamo soli. La guardo dallo specchietto. Ha gli occhi chiusi, forse dorme o semplicemente si è persa nella musica delle sue cuffiette. Allora mi prende un’idea, strappo una pagina dall’agendina e scrivo: “Marco si è innamorato di te. Lo conosci Marco? No, non è quello lì che stà più avanti e che porta il bus. Marco è un’altra persona, la vuoi conoscere?”. L’ho ripiegato, mi sono avvicinato, dormiva. Ho preso il bigliettino e gliel’ho poggiato sulle mani e via di nuovo al posto di guida. Siamo arrivati a Lanciano, all’ultima fermata è scesa, quando è passata vicino a me per scendere ci siamo guardati, ha fatto un cenno con la testa e sottovoce mi ha detto: “Sabato alle 10 all’autostazione”.
Da quel momento è partito un conto alla rovescia mentale, era Mercoledì, non l’avrei più rivista sul bus per quella settimana e Sabato sembrava tra 10 anni.
Ok, basta devo concentrarmi sul lavoro, sulle faccende di casa, sulla spesa, sulle lavatrici e su quel poco tempo che rimaneva della mia vita privata / casalinga. Sapevo? Non sapevo quello che volevo, non lo so. Fatto stà che Gabriella mi piaceva, mi incuriosiva, mi girava e rigirava in testa. Sabato mattina sono uscito presto da casa. Meglio fare subito la spesa per la settimana così poi sono tranquillo, il tempo era sempre alleato nella malinconia dei giorni. Tanto per cambiare pioveva, non potevo chiedere di più a un Febbraio, che cosa potevo chiedergli? Innanzitutto di non lasciarmi appiedato con la macchina ferma al centro commerciale. Non doveva succedere, erano le 9 e 40 e la macchina non ne voleva sapere di ripartire. Così dopo dieci minuti di tentativi vani, ho lasciato tutto lì dentro compreso la rabbia e ho iniziato a correre sotto l’acqua. Ero Rocky, ero un guerriero? Ero uno stupido agl’occhi di quelli che mi vedevano. Chissà cosa ero agl’occhi di Gabriella quando da dentro la sua UNO mi ha visto arrivare fradicio dopo 10 minuti di ritardo. Ero ingiustificabile. Per fortuna però la cosa più importante non l’avevo dimenticata e così prima di entrare in macchina dal finestrino le ho dato quello che le avevo portato.
- Tienilo, aspetta poi lo apriamo insieme.
Così sono entrato in macchina.
- Scusa per il ritardo.
- Marco lo sai perché ho accettato? Non voglio che ci rimani male, ma per il momento non voglio stare con qualcuno. Non voglio illuderti, non voglio soffrire, non voglio star male. Mentre parlava non mi guardava, aveva il viso serio.
A questo punto cosa dovevo fare? Cosa dovevo dire? L’unica cosa spontanea che mi accadde fu una lacrima. Lentamente scese. In quel minuto e mezzo di silenzio ho capito che la sua solitudine era molto più profonda, molto più intensa di quello che potevo credere. Ho tirato un sospiro.
- Ti và di fare un giro?
Quando finalmente si è girata per rispondermi ha visto il mio viso e ha detto:
- Andiamo.
Partiamo con la macchina e inizia un po’ a raccontare un po’ a tornare indietro nel suo passato. Come era facile intuire aveva alle spalle una vecchia storia di anni andata male. Come erano lontani quei discorsi alla caffetteria alla Tiburtina, quando si infervorava a parlare dei soprusi che regolarmente riceveva a lavoro. Adesso avevo capito di avere di fianco a me una ragazza fragile, un po’ instabile, ormai insicura. Chissà dove mi avrebbe portato.
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- Ehi Bro! di certo nn poteva mancare la mia critica! ti volevo fare i miei più sinceri complimenti! 6 veramente bravo, crativo e attento alla forma. Il testo nel complesso è lineare, scorrevole e interesante! Complimenti a Marco per l'atto di coraggio... però come ogni cosa anche questo amore presenta già i suoi primi problemi... voglio proprio vedere cosa si inventerà Marco! Come al solito 6 sempre bravo a stupirmi.. continua così!!
il tuo Bro!
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