Il mare accarezzava i suoi sogni, che viaggiavano ancor più lontano dei suoi pensieri. Volgeva lo sguardo all’orizzonte nero, gustando una luna troppo contrastante col suo umore. La scogliera a strapiombo sul mare era fredda, non la vedeva, riusciva solo a percepirla al tatto, era tutto nero ciò che la circondava, si sentiva avvolta in un abbraccio gelido. Non sarebbe stata la prima volta che sentiva sua quella sensazione di perenne freddezza, il suo cuore più duro di un diamante non brillava per le sue mille sfaccettature. Opaca la notte, opaca la sua mente, opaco il suo cuore. Solo la luna brillava. Stiracchiò un braccio, si sdraiò ascoltando ancora le onde. Una taciturna calma, solo il frangersi del mare sulla roccia nera. Aspettava, una parola, un volto, una carezza. Aspettava, un pensiero caldo, un amore ancorante. Aspettava. Ogni desiderio moriva come il moto lento del mare, si spegneva come le stelle al mattino, eppure era notte. Lo aveva avuto, era suo, ma non poteva esserlo. Lo aveva amato, forse l’amava, ma non poteva farlo. Urlò nella notte, quel poco di rabbia che ancora tratteneva tra le mani, come sabbia le scivolava via, l’ultimo appiglio alla vita, volava, sparso dal vento gelido. Anche le lacrime, che le rigavano il volto, congelavano nell’impatto con la brezza marina, forse, quelle lacrime erano solo sinonimo di esistenza. Forse, il dolore la rendeva ancora reale, perché tutto ciò che la circondava grondava inesistenza. Un’ultima eco della sua flebile voce si schiantò sul mare, pensava ancora. Amava. Era consapevole di ciò a cui sarebbe andata incontro, ma l’aveva fatto, aveva continuato a trattenere un contatto razionale con se stessa, ma tutto era stato più forte del suo arido tentativo d’opposizione. Amava. Giustificava con forza le sue azioni, nulla era plausibile al fine di accettarsi di nuovo. Si odiava. Trasse un piccolo frammento di specchio dalla tasca, il riflesso biancastro della luna brillò, immediatamente, sulla superficie, vi guardò dentro. Nulla. Non vide nulla. Gridò di nuovo, più intensamente, consumò le sue ultime forze per gettare con rancore, tra la spuma marina, il piccolo vetro scheggiato. Neanche un oggetto capiva il suo stato. Il nero sembrò più nero e la luna si spense un po’. Bruciava, nel petto, un dolore profondo, ferita scavata col tempo. Avrebbe voluto chiudere gli occhi, lasciare che la sua mente potesse divagare da sola, ma aveva troppa paura di essere schiacciata dai ricordi. Si stropicciò gli occhi, con fare infantile, ma animo di chi è già stanco di guardare il mondo. Lui non aveva colpe, lui era stato chiaro. Lui, lui, lui. Il faro era spento, la luna coperta dalle nuvole aveva finalmente abbandonato nell’oscurità le sue pene. Sospirò. E i pensieri si annullarono, le ombre dei suoi sentimenti furono risucchiate dall’oscurità del suo animo, gelidi pungiglioni incessantemente bombardavano il suo cuore, che sembrava non battere più. Fischi immaginati le rimbombavano nella mente, le sue mani tremavano, le gambe non la reggevano più, i piedi nudi cercavano, controvoglia, di non scivolare. Una parola sussurrata tra il vento, un amore cacciato via senza convinzione, una rosa calpestata senza dolore. Silenzio, nel buio della notte. Solo silenzio, tra le onde del mare. Solo silenzio, tra i capelli bagnati di sale. Solo silenzio, sulle ciglia chiuse. Solo silenzio, nel volo disperato tra le braccia del Nulla.