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SOMME
La matematica non è un’opinione, ma a volte la vita rivela dei risultati inaspettati…
“Non cercarmi più!" disse a lui e riagganciò il citofono.
Tre parole per "accartocciare" una storia di vent’ anni e farci canestro gettandola nel cestino dei rifiuti.
Donata, 46 anni. Stefano, 50 anni.
Tre anni di lotte contro le loro famiglie che non li ritenevano adatti a stare insieme, essendo Donata di buona famiglia e perciò con un bel gruzzolo alle spalle; sei anni di pura passione; dieci anni di amore quasi fraterno; un anno "sabbatico" per riflettere su tutti quegli anni trascorsi felicemente insieme e tirarne le somme.
Totale del loro attuale rapporto: un figlio diciannovenne e una causa di divorzio in atto.
Il cordless di Donata si mise a squillare con invadente insistenza.
"Tanto non ti rispondo... pezzo di m...! Lo so che sei tu!" esclamò ad alta voce continuando a lavare i piatti nervosamente.
Di colpo il telefono s'ammutolì, forse suo figlio dall'altra stanza aveva risposto...
Dopo pochi minuti infatti, Alessandro comparve in cucina. Il viso stanco, gli occhi lucidi, teneva ancora in mano la cornetta e...
“Mamma era la questura: ci sono problemi, tra mezz'ora vengono qui il
maresciallo Todini e il brigadiere Francesconi.. hanno chiesto di parlare con
te e papà."
Donata non aprì bocca cercando di razionalizzare le parole.
"Valerio.. oh mio Dio.. Valerio" pensò, quasi una strana e insolita premonizione,
"Chiama tuo padre! Non restare lì impalato.. forse non ha ancora iniziato la lezione..".
Valerio.. ex amante di Donata.. un lontano cugino.. una storia sporca, intensa, estrema…ma soprattutto sporca. Maledettamente sporca.
È normale...
Quando, dopo una vita spesa male in amore, ti ritrovi a tirar le somme, beh... allora ciò che ti pareva accettabile, diventa un macigno insormontabile.
Ti accorgi di come quelle perversioni, quel tuo diabolico godere dell'altra persona ti faccia sentire, a un tratto, uno schifo. Ti faccia sentire una persona vuota, incapace di guardarsi allo specchio senza provare rimorsi,
incapace di perdonarsi per aver preso in giro, per tanto tempo, la persona sposata... fino alle degenerazioni più assurde, come a esempio abbassare gli occhi davanti allo sguardo innocente di un figlio, ritenendosi un indegno genitore.
Donata e Stefano dopo poche ore appresero la sconvolgente notizia della morte o meglio del suicidio di Valerio. Donata non riuscì a trattenere il dolore e scoppiò a piangere, Stefano l’abbracciò, nonostante tutta quella storia tra lei e il cugino l’avesse fatto soffrire parecchio e lo rodesse internamente tra il trattenere e l’esplodere la sua rabbia, il suo sapere. Dissero che pareva si trattasse di suicidio. Aveva ingurgitato veleno per topi.
“Topo in trappola…”-pensava Donata-…”Aveva mangiato il formaggio, rosicchiando troppo vicino alla molla…e zac! Era finito! Tutto…di colpo”. E ora? Colpe su colpe, “ma” e “se” che ronzavano dentro le sue orecchie chiuse al resto dei discorsi che la circondavano e aperte solo a domande, domande e risposte su come sarebbe potuta finire quella maledetta storia d’amore e di sesso se lei non l’avesse lasciato così, senza una carezza, senza un ultimo bacio, senza un Llo sapevi che sarebbe finita prima o poi…”. E invece, niente.
Aveva deciso di chiudere, di non rispondere più alle sue telefonate…ai suoi messaggi, ed evitava di frequentare gli stessi posti dove solitamente s’incontravano. Lo aveva cancellato in un “Pliin”…battito di bacchetta magica…e via…! Non sarebbe più esistito nella sua vita. Da subito.
Dal momento che aveva deciso.
Non ricordava come fosse iniziata: la complicità con Valerio c'era sempre stata, fin dai loro giochi infantili, sempre molto tattili; un continuo cercarsi, toccarsi.. a volte con violenza, altre con innocente malizia.
Poi le scuole diverse avevano allentato la frequentazione, per ritrovarsi, più uniti che mai, verso i venticinque anni.
Quel master maledetto... quella città magica e demoniaca insieme... un anno d'abbandono sfrenato a ogni sperimentazione... non c'era poi più potuta tornare a Torino... e sentirne parlare, foss'anche al tg della sera, era come una scossa, un elettrochoc curativo e dannoso al tempo stesso, troppo per il suo
quotidiano tran tran di donna “apparentemente “per bene.
Donata si sentiva ormai una donna finita. Prigioniera dei suoi errori. Prigioniera dei suoi pensieri. Prigioniera dei suoi sensi di colpa.
Ah, i sensi di colpa... quale peggior pena per un essere umano... i sensi di colpa, la malattia della mente, la tortura dell'anima... ti fanno morire giorno dopo giorno...
"Sono una fallita. Sono una nullità. Quale dio potrà perdonarmi per questi miei errori...!"
Valerio era stato l'unico a comprendere la sua duplice natura, il suo bisogno d'estremo che Stefano, invece, non coglieva oppure, per egoistica paura, non ne accettava l'esistenza. Tante volte si era chiesta se l'amore vero fosse quello provato per Valerio o quello per Stefano, ma aveva scelto la tranquillità di un rapporto regolare: casa, lavoro, un figlio e del sesso stanco una o due volte a settimana.
Questo era ciò che aveva lei dentro, l'esterno non lo percepiva: per tutti era la Donata affabile, seria e amorevole che tutti amavano.
Solo Valerio aveva visto il suo inferno, l' aveva aiutata a contattarlo, viverlo, goderne.
Aveva perso il suo pilastro, il complice, il completamento e ora?
Non era stato particolarmente imbarazzante l'incontro con gli agenti e Stefano si era comportato con insolita durezza, ma molto protettivo nei suoi confronti, magari fosse stato così con lei in altre occasioni, sembrava quasi contento a volte. Aveva sempre saputo? Fingeva per quieto vivere? Indossava
pure lui la sua quotidiana e rassicurante facciata di falsità?
Stesa a letto, silenziosa, riviveva a occhi chiusi la tragicomica giornata appena chiusasi.
Comica.. mai avrebbe potuto immaginare di scoprire l'assurdo perchè di un gesto estremamente assurdo: atroce morire per eccesso di felicità. Leggere la lettera d'addio di Valerio e sentire la stridula nota del suo stesso ridere, a confine con l'isteria.
Quante volte prima di addormentarsi si era immaginata una vita diversa, con il suo demone a svegliarla ogni mattina dal suo torpore con schiaffi e carezze al caffé, invece no, più comodo l'insipido pan comune con la tazza di tè.
"Lo so, era la mia certezza, ho posseduto il tuo corpo, i tuoi occhi, occasionalmente il tuo cuore.. l'anima mai: è sempre stato un territorio sconosciuto, una giungla impraticabile."
Mio Dio i suoi ragionamenti stimolavano la sua parte rabbiosa e gli avrebbe scagliato contro, volentieri, qualsiasi cosa. Una volta era diverso, ma il dottorato e la carriera universitaria lo avevano reso uno snob intellettuale, egocentrico e noioso. Forse il loro rapporto si era incrinato proprio da lì, nonostante la facciata perbenista e sorridente. Ci voleva Valerio, la sua morte inaspettatamente e tragicamente assurda, perchè i fantasmi delle loro vite prendessero corpo, reincarnandosi nella loro stanchezza di vita piatta.
Le spiaceva enormemente per Alessandro, vittima e spettatore innocente: la sua dolcezza, la sua sensibilità non meritavano una famiglia allo sfascio, oppure, chissà, irrimediabilmente sfasciata, non ora poi che aveva avuto il coraggio di guardarsi dentro e dichiarare per primo a se stesso quello che lei, sua madre, aveva colto fin dall'infanzia, preoccupandosi e tormentandosi per lui e il suo futuro.
Ma sì, lo avrebbe incoraggiato a seguire il consiglio del professor Mastrotta e frequentare un percorso di studi alternativo all'estero, ma le infastidiva al contempo la sensazione di confino, di ripudio che le solleticava
il cervello fastidiosamente, però, altre società più civili lo avrebbero aiutato a essere se stesso, dandogli anche un successo professionale più significativo.
E se invece si sbagliava e lo spingeva verso un viaggio troppo impegnativo per la sua vita? Nemmeno vent'anni e un'identità da ricostruire, forse gli aveva trasmesso il suo demone con il dna.
"Ma mi ascolti? Sempre nel tuo mondo quando sei con me, smettila di pensare a lui, non c'è più! Smettila di sentire la sua pelle, ora devi accontentarti di me."
"Non sai cosa stai dicendo: non pensavo più a Valerio: ha preso la sua strada, concluso il suo cammino, cocciutamente bastardo ed esibizionista. Ha voluto lasciare un segno, un marchio assurdi, doveva pareggiare i conti con me, con la vita e ha scelto a suo modo, ma né io, né nessuno e soprattutto tu si
deve permettere un giudizio. E poi è ormai un libro chiuso, c'è altro a cui pensare, più serio e importante... nemmeno te ne rendi conto."
"Al solito sono il cretino di turno, che non sa, non capisce, che cazzeggia all’università dieci ore al giorno, che non vive in questa casa ma ci alberga!".
"Non urlare sempre, Ale dorme, spero, non obblighiamolo sempre a sentire le nostre "comunicazioni" e poi sì, cazzeggi nella tua università, con tutte quelle gallinelle che per un trenta...
Basta ora tanto per quel che vale possiamo parlarne anche domani."
"Sì, sempre così, confronti diretti e chiari mai vero? Domani chiamo la segreteria e mi prendo ferie: andiamo al lago, Ale è grande, si sa gestire, dobbiamo chiarirci, capire se continuare o finire con il divorzio.. questa guerra sotterranea non la sopporto più, sia quel che sia ma deve finire e prendere, come Valerio, la sua strada.”
“Caffé e falsità:niente male come inizio di giornata, salutare per la dieta al posto di fragrante cornetto e cappuccino schiumoso... A guardarci sembriamo quasi una famiglia normale, alla Mulin Blanche… cornetto poi, che ironia…”.
“Ale, io e mamma andiamo al lago qualche giorno, la morte di Valerio l’ha scossa, deve distrarsi. Qui è tutto a posto, tutto organizzato, devi solo pensare a studiare e divertirti.”
Sul piatto della bilancia Stefano valeva più come padre che come marito: tenero e premuroso, mentre lei spesso non riusciva a dimostrargli l’amore sconfinato che in ogni sua cellula nutriva per lui.
“Ok, pà.. magari Giò e Chiara possono venire qui.. “.
“Certo.. Donata prepari tutto? Vorrei partire per le due.. odio guidare con il traffico del rientro, lo sai”.
“-Anche ordini.. e io dovrei stare tra quattro mura con lui perché?... che senso ha?- Sì è tutto a posto, devo solo parlare con Claudio per la consegna delle spese e andiamo. Se vuoi pranziamo fuori.”.
La sua educazione borghese le imponeva sangue freddo, diplomazia e presenza, sempre, ovunque e nonostante tutto. Una perfezione esteriore senza macchia, ma dentro?
“Sono due ore che non parli.. ci fermiamo per un caffè?”
“No, voglio arrivare in fretta, sistemare tutto, fare la spesa.. non ho voglia di vita sociale.”
“Come vuoi.”.
La casa al lago era stata il regalo per il decimo anniversario, un’estenuante contrattazione per assicurarsi un piccolo paradiso, ricco di vita, profumi, passioni.. anche la loro, almeno una volta, quando l’acqua incendiata dal tramonto incendiava anche loro.
Ricordi, quanti ricordi si agitavano nei loro occhi fissi sulla strada, pensieri sincroni ma ormai irrimediabilmente paralleli.
“Salve Giacomo… sempre fortunato, vero? Ormai le sue carpe sono un mito.”
“professore.. che sorpresa.. organizziamo una mattina in barca?”
Sorrisi sinceri, sorrisi o saluti di convenienza, tapparelle alzate, spesa nella dispensa, l’acqua che bolle, i letti da preparare.. i letti, già.
“Aspettiamo l’alba insieme, vuoi?”
“Buonanotte”
“Non rispondi?”
Non erano ancora le cinque, ma la seduta comoda e attenta lasciava ricordare stanchi e pensosi spettatori d’un cinema d’essay, mentre il sole giocava a colorare le nuvole e la vita coi suoi rumori sbadigliava.
“Rientriamo, non ha senso tutto questo, ormai siamo al casello della nostra autostrada, paghiamo il pedaggio e ognuno prosegue per la sua via.”
“E lo dici così, senza riflettere? Butti via tutto come un vestito vecchio e macchiato senza nemmeno provare a lavarlo? Vent’anni di vita insieme…”
“Oddio, insieme.. parolona.. all’inizio forse, poi chiusi nei nostri ruoli, nei nostri gusci, entità separate che società, impegni e figlio riunivano occasionalmente… Non c’è null’altro da dire… tanta lotta, tanta fatica.. forse è stato quello il nostro collante, avere tutti contro e noi testardi a voler contrastare tutto, magari avevano visto giusto e…”
“Come vuoi, chiudiamo così: appena rientriamo chiamo Alberto perché riavvii la pratica, però adesso restiamo ancora un po’, tanto per riposare.. vorrei solo che questa casa restasse nostra, la intestiamo ad Ale, se la godrà lui. “.
“Preparo un caffè.”.
Fu una settimana di pace e coabitazione civile, il riposo dei guerrieri dopo la firma dell’armistizio. Riuscirono anche a divertirsi, camminando in passeggiata, giocando a carte, pescando e cucinando la trota comprata poi in paese, ormai le somme erano state tratte. Agli occhi del mondo una coppia di mezz’età che ricrea atmosfere già vissute ma non dimenticate.
Agli occhi del destino no, però, erano una coppia che doveva chiudere i conti e non si sa mai quando Esso decida il saldo del suo credito.
“Rientriamo domani?”
“Sì, avviso Ale che resti a casa domani sera, prima gli parliamo meglio è, per tutti.”
Non riuscirono a riabbracciarlo, lo schianto fu così violento, che morirono entrambi all’istante: incomprensibile data la prudenza del guidatore. L’autopsia non rilevò nessuna anomalia: persone sane in perfette condizioni fisiche.
Ci vollero dieci anni di caparbie indagini del brigadiere Francesconi per inchiodare il figlio e il suo amante Valerio, al cui strano suicidio non aveva mai creduto.
l'imput è di Caterina Zanella, che ha creato il laboratorio di scrittura e segnato la strada.. Francesco Ducadimantova è stato compagno di viaggio.. io lo consegno a voi lettori.
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