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Impressioni di momenti passeggeri
Conosci troppo bene la speranza che ti appartiene e che ogni giorno deve aiutarti a tenerti a galla. Galleggiare per sopravvivere e tenere sospeso il respiro di un attimo, che nel vortice si sperde pur di riportarti su.
Aggrappati alla corda della stranezza originale che solo la cratività saprà far apparire nella sua totale rappresentazione. Offri ciò che hai e inebria i sensi della tua stessa ambizione di risaltare all'occhio dell'esperienza, dai modo di far vedere quello che conti perchè solo così saprai veramente riconoscerti in quello che hai sempre desiderato di avere travolto dalle sperdute armonie della scontatezza. Ammirati e fatti ammirare non per quello che hai, ma per quello che sei, nessuno potrà mai avere quello che sei. Scoraggia chi ti sta intorno e soffri con loro nell'incomprensibilità di te stesso, affascinali e tienili vicino per colmarli di te, appassionali e appassionati.
Domande si apriranno agli occhi, che interdetti cercheranno le risposte tremendamete segregate nell'ingenuità.
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Si muove appena la catena con cui l'altalena si dondola, un lieve soffio di vento la fa vacillare avanti e indietro, senza ostacolo il cardine la lascia andare.
Un moto perpetuo che non si fermerà mai, finchè una mano non interverrà con una presa ferma, e impietosa bloccherà il suo andare.
Salgo, comincio a spingermi, spingo con le gambe, sempre più forte fino a quando non decido di chiudere gli occhi, con la percezione di una bambina mi innamoro del cielo che immagino sotto di me.
Nuvole di fumo si levano dal naso che affannato dal freddo ansima per non spezzarsi.
Provo a lasciare le mani, poi le braccia, restando in equilibrio, per sentirmi più libera, più sicura, più stabile.
Vorrei buttarmi, buttarmi e provare a volare, volare per non mettere più i piedi a terra, mai più, mai più a terra.
Il vento gelido taglia le guance che diventano rosee, le labbra si bagnano della saliva per non farsi seccare, ma le crepe si fanno più evidenti e dolorose.
Apro gli occhi, mi fermo, guardo a terra, piedi a terra, ancora una volta.
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Atterro sulla pista di strisce che si percorrono senza una via sicura d'uscita.
Un labirinto si articola nella mente dell'uomo che raramente si smarrisce, ma se capita diventa pazzo.
La follia si accinge a strappargli il senno, che ruba nella terra del pensiero e delle razionalità. Cerca di proteggersi invano l'ignaro e stolto uomo, che invece di tranquillizarsi si dimena nella propria camicia di forza, che sempre di più gli stringe il respiro, movimento dopo movimento, fino a quando l'ossigeno non gli si ferma in gola.
Sparge intorno a sè l'ultimo spiro, nella speranza di essere capito per quel gesto tanto inquietante, che solo chi non ha più la mente che per sè stesso può compiere.
Si aggirano ancora per la strada i suoi lamenti che cercano risposte tra le tenebre dell'oblio che vagabondano irrisolute.
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Sommerso dal tempo di discariche ambulanti, l'amabile saggezza della cultura si copre dell'avidità dell'uomo che consuma se stesso dietro l'esile ammasso di rifiuti di cui si lamenta ma che egli stesso produce.
Debole la voce si fa fioca, nulla che si sacrifichi per lo star bene comune, solo la parvenza di una vita migliore che non potrà mai esserci fino a quando non giungerà la consapevolezza di una straordinaria convivenza di menti e speranze.
L'aria di una atmosfera che si faccia leggera, respirabile, armonia di salvezza e dolcezza sostenibile, energia pulita data solo dalla volontà di sentirsi una cosa sola.
Dignità sventate, orgogli sperperati, sentenze sputate su facce indifese, avvelenate dalla rabbia di un'ingiustizia subita solo grazie all'alta carica.
Pertutbazioni di elevata credibilità si abbattono sulla superficie della specie umana che non si accorge di avere potere su stessa ma stenta a portarlo nella direzione del rispetto di sè.
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Espressa la vivacità della statua ammirazione verso la verità che si appanna dietro le velate inesattezze. Piccole esperienze che portano a mille conseguenze, che se unite si fanno caos e confusione.
Stravolta dalle prime fatiche incespico su di loro, ricadendo nel piccolo ostacolo che mi ferisce più di ogni altra cosa, ma del quale non posso fare a meno quando mi sento debole.
Vorrei qualcuno con cui le mie ferite si facciano indolori, qualcuno per cui avere il coraggio e la forza di andare avanti, qualcuno che per almeno una volta non mi faccia sentire quel dolore che prende il sopravvento e sul quale non ho alcun controllo.
Freddi silenzi si sovrappongono alla sonora impazienza della vita che ho.
Flusso di una portata di luce che brilla sottoforma di fotoni abbaglianti.
Strette fessure giocano alla faccia un sottile cambiamento di visibilità fino a rendermi cieca davanti a me stessa, non rendendomi più conto di che cosa accade.
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