Crash: un piatto, l’ennesimo, che scivola dalle mani che lo stavano asciugando e finisce sul pavimento della cucina e lì esplode, in numerosi piccoli pezzi che, finalmente liberi, schegge in corsa, veloci scappano, si precipitano in una fuga sfrenata disseminandosi in tutte le direzioni.
Si arresta la corsa, il piatto ora non esiste più, al suo posto per terra c'è una galassia formata da una miriade di luccicanti briciole di vetro blu trasparente, alcune così minute che una volta che la loro fuga viene bloccata dal muro sotto un mobile, resteranno lì forse per sempre, diventate ormai inaccessibili a sguardi e aspirapolvere.
Anna ha sette anni, è affacciata al balcone della cucina, dal quinto piano ha una vista molto favorevole sui tetti, i muri e le terrazze spoglie del quartiere. Sente il rumore ma non si gira verso la cucina perché ha riconosciuto quel suono e sa che sua madre ne avrà per un bel po’ a raccogliere le stelle dal pavimento.
Col viso appoggiato appena sopra la ringhiera guarda quei tetti e pensa che forse, prima di tutte le cose, c’è stato un primordiale crash dal quale tutto quello che vede ha avuto origine; pensa che magari qualcuno una volta ha fatto cadere un enorme piatto rosso proprio lì davanti a casa sua e i pezzi ora sono diventati quelle case, sparpagliate senza un ordine, ma come il caso dell’abusivismo ha voluto. Anna non conosce quella parola, “abusivismo”, eppure quello che la parola dice fa parte della sua vita, e lei lo conosce da sempre, ce l’ha sempre avuto davanti e forse non se ne dispiace, forse è l’unico modo di fare case, di fare paesi, che ha mai visto e non se ne lamenta non immaginandosene un altro.
Eppure, i suoi occhi spostano ininterrottamente lo sguardo da un tetto all’altro, da un tramezzo nudo all’altro, come se fossero in cerca di qualcosa, di un senso, di un disegno che sfugge in quella visione confusa, arruffata di muri venuti su di fretta, un po’ dove e come capitava, sbrigandosi a finire, a mettere il tetto, a completare cubi che sembreranno case a guardarli da dentro ma che da fuori, somigliano solo a puzzle arrangiati di mattoni rossi; un ammasso sconnesso di linee verticali e orizzontali.
“Chissà se dietro la collina è tutto diverso?”: Anna soffia più lontano che può le sue bolle di sapone, mandandole in avanscoperta.