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Ipermarket
( al microfono )
“Morelli alla cassa cinque… Morelli alla cassa cinque.”
“Ha la tessera?”
Che poi a vedere tutta questa roba da mangiare ti passa l’appetito. Per questo preferisco il turno di mattina. Quando torno a casa vado subito a riposare senza pranzare.
“Signora non l’ha pesata … Dietro alle banane.”
Alle otto in punto già c’è la fila ai carrelli. Sono sempre le stesse persone. Per lo più anziani. E poi signore affannate che fanno la spesa prima di andare in ufficio. Il Parroco pure viene presto. Lui arriva alle otto e trenta. Puntuale come un treno svizzero. Ci puoi rimettere l’orologio. Viene sempre alla cassa mia. Guarda dove sono e se mi vede dopo che era già all’altra cassa magari cambia pure fila. La prima volta che l’ho visto non sapevo nemmeno che fosse il Parroco. Oggi i preti vanno vestiti come persone normali. Che poi mi sa che sono presone normali, solo che sono preti. Anzi ci sono certi che si vestono da preti peggio che i preti veri. Insomma, Don Carlo sembrava una persona qualunque. Dicono che fosse un architetto. Disegnava barche per ricchi. Poi un bel giorno ha mollato tutto e si è fatto sacerdote. Quasi quasi ci sono rimasta male quando ho saputo che Don Carlo era il Parroco.
( al microfono )
“Morelli alla cassa cinque con urgenza”
Poi pian piano la gente cambia. Verso le dieci arrivano le prime casalinghe. Io le guardo mentre passo la merce alla cassa. Detersivi, detergenti, sgrassatori, ammorbidenti, prodotti per il legno, per l’acciaio, per i lavelli, brillantanti, anticalcere, in crema, in polvere, concentrati, colorati, profumati. Un vero trionfo della chimica, per far splendere per bene le loro casette e lasciarle stanche e svuotate la sera coi piatti da lavare e tutto di nuovo da pulire. Ogni orario ha la sua personalità. Gruppi di clienti tutti uguali che cambiano con lo scorrere delle ore.
“Carta o bancomat? Mi digita il codice per favore?”
“No signora, ne deve prendere tre. Così non è in offerta. Si, lo metto da parte e lo batto dopo.”
Poi è l’ora delle badanti. Non so perché ma sono quasi tutte ucraine o sudamericane. Le prime alte e bionde, serie e sempre tristi. Le sudamericane, alte la metà delle ucraine, ridono e sembrano allegre. Magari dentro sono tristi pure loro ma non lo danno a vedere. Guardo pure loro mentre scorre la merce sul rullo e cerco di immaginare le loro terre e i loro cari lontani e le vecchie che le aspettano a casa. Comprano lo stracchino, il prosciutto cotto e i capellini o gli spaghettini. E i pannoloni.
A mezzogiorno e mezza arrivano gli operai. Stanno costruendo qui dietro. Dice che ci arriverà anche la metropolitana. Sarebbe una fortuna. Sono vent’anni che lo dicono. Intanto stanno facendo quei palazzoni che sembrano torri. Certi prezzi! E sono già tutti venduti! Poi dice che c’è la crisi! Ma quale crisi! Per noi povera gente onesta, forse! Ma qui mi sembra che di soldi ne girano più di prima. Solo che non si fermano da noi, ma sempre nelle tasche dei signori.
È per questo che si è riempito di operai. Vengono all’ora di pranzo. Si comprano il pane, gli affettati, il formaggio e la birra. O il vino nei cartoni. Li riconosco perché hanno sempre quei vestiti schizzati di calce e parlano un italiano strano. Quasi tutti rumeni. Una volta erano polacchi. Me li ricordo ai semafori che pulivano i vetri. Tanti anni fa. Quando venne il Papa straniero. Poi ai semafori sono arrivati altri. I polacchi sono qui da tanto tempo. Adesso fanno lavori più dignitosi.
I loro figli parlano italiano e neanche li riconosci.
Alle due chiudo la cassa e vado a casa. Abito qui vicino. Ci metterò si e no dieci minuti a piedi. Marcello ha già mangiato. Lui mangia presto. Sempre alla stessa ora.
“Contanti? Quarantasette e trenta centesimi. Ha i trenta?”
Da quando è in pensione si cucina la solita pasta in bianco alle dodici e quarantacinque. Gli dico: Marcello, ti preparo un bel sughetto coi pomodori freschi? Come fai a mangiare quella pasta scondita? Ma lui niente, non ne vuole sapere. Mette un filo d’olio e la manda giù così. “ Mi aggiusta lo stomaco “ ?" dice. Il fatto è che lui è un uomo semplice. Come semplice è l’amore che mi concede giorno per giorno.
“Mi da la tessera? Quante buste signora?”
Tra dieci minuti uscirò da qui e tornerò dal mio Marcello. Se ne sta solo solo in quella palazzina. Tutti in vacanza. Poi dice che c’è la crisi. Sono partiti tutti. Meno quella del secondo piano. Quella che lavora ai telefoni. Marcello dice che è una poco di buono, che è meglio non darle troppe confidenze. Ma a me fa tanta pena, povera donna. Non dovrebbe parlare così. Si vede che è sola. Le donne belle come lei non dovrebbero essere sole. È uno spreco. Magari non sarà stata fortunata come me con il mio Marcello, ma è vero che il segreto del nostro amore è solo la sincerità. Fiducia e sincerità.
“Carta o bancomat? Mi digita il codice per favore?”
Signor Morelli, la stavo cercando. Si per quella faccenda delle ferie. A me? Lei? Cosa mi doveva dire, signor Morelli?... Io?... No, signor Morelli… sono qui da ventisei anni, non può chiedermi questo… conosco tutti qui dentro… Ma come ci arrivo sulla tangenziale? Lo sa che abito proprio qui vicino? A piedi ci metto si e no dieci minuti… ( Pausa ) Ma perché dovete chiudere? Che vuol dire riorganizzazione aziendale? Con noi questi paroloni non attaccano mica, sa? E alle persone che lavorano qui ci avete pensato? Io qui ho la mia vita. Ero alla cassa cinque quando ho conosciuto Marcello. Aveva comprato il tonno, le cipolle e due scatole di pelati. Già, che stupida! Cosa ne sa lei della nostra vita? Cosa le interessa? Magari giocava ancora con le figurine dei calciatori quando io battevo il tonno, le cipolle e due scatole di pelati. Si ricorda quando è svenuta quella signora davanti alla frutta? O la volta che è entrata quella della televisione e le casse si sono fermate per chiederle gli autografi? Che poi lei ha cominciato a farci le interviste e ci siamo rivisti tutti al telegiornale? Si ricorda? Si ricorda, signor Morelli? Si, è vero, forse lei non era neanche arrivato qui. Ma io c’ero, signor Morelli! E pure Lidia e Cinzia e Mara. Che era appena stata assunta e tutti la chiamavano soltanto “quella nuova” e lei si arrabbiava sempre. Cosa ne sa lei delle nostre vite? Cosa valgono per lei? Non siamo mica prodotti da spostare secondo le nuove leggi di mercato! Come le chiamate voi? Già, sicuro, Marketing! Senti come suona bene: Marketing! Sembra una musica dolce, come un frutto maturo. Guardi il labiale, guardi: marketing. Un bel fico succoso. Come li mangia lei i fichi? Con tutta la buccia, signor Morelli? Non li digerisce? Peccato… No, signor Morelli, io non ci vado proprio all’Ipermarket sulla tangenziale.
“No, signore, dopo di lei la cassa chiude.”
Signor Morelli è inutile che mi sorride. Sono anni che mi sorride con quella faccia da televendita. Lo so che quando arriva con quel sorriso precotto mi deve dire qualcosa di brutto. Perché lei i sorrisi non li spreca mai. Solo quando servono. Quando non ne può fare a meno. Poi si gira e torna con la faccia di prima. Solo che il suo sorriso oggi se lo può rimettere in tasca, perché noi siamo persone che non si spostano così solo per una legge di mercato.
“Ho detto che è chiusaaaa! Non lo legge scritto qui?... Allora si metta gli occhiali!!!”
Perché chi fa le leggi di mercato, signor Morelli, non ci pensa alla gente che ogni giorno mi trova alla cassa cinque, alle signore delle otto che poi vanno in ufficio, a Don Carlo, alle casalinghe coi loro detersivi, alle badanti con lo stracchino e gli operai col vino in cartone. Non pensa che alle due io scappo dal mio Marcello che mi adora. No, non ci vengo sulla tangenziale. ( pausa ) Come sarebbe a dire che lo sapeva? Quale incentivo? In pensione? Io? Anticipata? Non può dirmi questo. Ho ancora energie da vendere io! Perché non sorride più? Cos’è questa lettera? Venga qui, non se ne vada, la prego, signor Morelli… Si ricorda quando si sono scongelati tutti i legumi? O quando abbiamo sistemato insieme il banco delle olive? Si ricorda, signor Morelli?... Si ricorda?
“Si, è aperta, signore, ma dopo di lei chiudo per sempre.”
“Quante buste? Mi da la tessera per favore?”
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