Sera del 5 giugno 2008
praticamente una catarsi necessaria
Stasera, tornavo a casa col solito pullman, c’era il solito traffico, anzi di più, e allora mi sono “rotto”, son sceso e vaffa! Me la faccio a piedi. I primi metri li ho fatti a passo veloce, incazzatissimo, pago l’abbonamento e mi tocca andarmene a piedi!
Intorno a me, miriadi di imbecilli abbarbicati ai volanti delle auto con espressioni assenti, in pratica zombie inscatolati.
Dopo un poco, però, ho cominciato a camminare più lentamente, il buio del tramonto, nascostosi il sole dietro i palazzi, avanza veloce ma non totale; i lampioni si accenderanno fra un bel po’, e vivo adesso, quella fase bellissima della luce-non-luce,
quel momento magico dell’imbrunire “che al cor ci induce di rimirar l’eterno”.
Dopo un bel tratto di strada, ormai fatto a passo di relax, mi son ritrovato davanti l’Orto Botanico, e lì, l’effluvio della primavera che ha gemmato tutte o quasi le pianti secolari, mi ha avvolto in una aura profumata, al limite del fastidio, tanto era forte, che ha comunque cancellato totalmente tutto il resto: gli imbecilli imbottigliati, i negozi in via di chiusura, i pochi passanti che camminano imbronciati, qualche randagio col naso in un ciuffo d’erba, un barbone ubriaco forse addormentato, forse morto, non lo so, ed ho cominciato, praticamente con gli occhi chiusi, ad inspirare tutta quell’aria profumata, a farla scendere, con le sue sensazioni, giù giù fino al cuore.
Camminando, sempre più lentamente, ho lasciato che la natura facesse il suo corso, che si aprissero cassetti segreti della mia memoria, tirando fuori ricordi abbinati a odori simili a luci simili a calori simili…
Poi, la campana di una chiesa ha battuto le ore, Don, Donn, Donnn, quel bronzo dall’identico suono della campana della chiesa vicino alla quale abitavo da piccolo, ed ecco un altro ricordo, mamma che infastidita da quel “tuonare” così forte, diceva in stretto milanese, qualcosa tipo, “ancora tanto fracasso questi……” io, al contrario, chiudevo gli occhi e mi lasciavo portare su, nel cielo, ad ogni Don, un poco più in alto, un Don e io volavo col pensiero, mi piacevano, allora, i tocchi delle campane, non ne “sentivo” il richiamo “mistico” mi piacevano e basta, e mi piacciono ancora, anche se adesso, usano dischi ed altoparlanti!
Ecco, lo sapevo, la stura dei ricordi mi fa inevitabilmente cacciare silenti lacrime, che, debordando dalle palpebre, rotolano gentili sulle gote e mi baciano le labbra, chi mi incrocia mi guarda, fra lo stupito ed il preoccupato, ed io mi fermo, scosto con la sinistra gli occhiali, e con la destra, col suo dorso, asciugo per quel che si può, il fiore degli occhi…
Ho già pianto molto, stamattina, accompagnando una “parente” all’ultima dimora (si dice così), ma non ho pianto per lei, c’ha smesso di soffrire, bensì per i figli, per i nipoti che vedevo sbandati come fiori schiacciati dal vento insensibile della vita. Ma non deve essere questo il mio modo d’essere, e allora, tiro su il moccio al naso e proseguo, una ragazza, con la mezza serranda del suo negozio già calata, sta lavando per terra, passandole vicino aspiro il suo profumo, suo o del detersivo che sta usando, non li distinguo, ma sanno di buono, sanno di vita quotidiana che, finita una giornata, si prepara, serenamente a quella successiva….
E sia, oggi è finita, ma l’oscuro della notte incombente è al contempo il preludio della luce della nuova alba, che mi troverà, come d’abitudine, con la penna fra i denti, il cane fra i piedi, il silenzio umido tutt’intorno, il foglio nel notes pronto a farsi marchiare dalle mie parole…. almeno fino a quando…anche io, in silenzio, timidamente, senza dare fastidio a nessuno, spegnerò il lumicino, e l’ultimo suono che sentirò sarà l’ululare del povero, orfano, cane.