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Il tesoro dell'icona
Valerio uscì dall'università con un gran mal di testa, sintomo della nausea per quel giorno raggiunta verso il lavoro, gli studi, gli incontri "diplomatici"; lo assaliva una gran voglia di correre, a respirare il profumo di primavera promesso da quella giornata, ancora lontana a tramontare.
Il suo amico Pietro lo attendeva, per cena, nel suo piccolo borgo di montagna.
Proveniendo da luoghi ed ambienti totalmente disparati, i due erano divenuti amici inseparabili, nella cittadina appenninica, tra le aule di quella facoltà universitaria tecnica.
Valerio veniva dalla grande città. In famiglia si gestiva un'impresa di costruzioni; avevano conseguito un rilevante appalto in questa zona : la realizzazione di infrastrutture, connesse al traforo che, tagliando il grande massiccio calcareo, ne aveva messo in comunicazione i due versanti. Opera ciclopica, di grande risonanza, che aveva consentito di avviare lavori paralleli e complementari : l'irregimentazione, per vari utilizzi, delle acque di falda scaturite dalla montagna; la realizzazione di nuove vie di comunicazione; la sistemazione di pendii e scarpate. L'entità delle opere da realizzare, aveva spinto Valerio alla decisione di conseguire la laurea proprio qui, nei pressi di questo immenso cantiere, ora prossimo alla conclusione.
Pietro viveva invece, ad una cinquantina di chilometri dall'università, nella minuscola frazione di un paesino, arrampicata ai piedi delle grandi catene. Una realtà di antiche casupole in pietra e muratura, fienili e porcili; un mondo di vacche e pecore, di leggende e superstizioni, confine tra gli estremi margini della civiltà e le brulle barriere montane. Culturalmente, Pietro, giunto alle soglie della laurea, si elevava di un baratro rispetto a tutti i compaesani. Eppure i suoi progetti per il futuro non si elevavano oltre quel piccolo mondo agricolo, a cui era abbarbicato come l'ostrica di Verga. Le sue ambizioni si limitavano ad un programma : fondare una comunità agraria, sfruttando le acquisite competenze tecniche per migliorare i sistemi produttivi; comunità e sistemi che avrebbero consentito di vivere esclusivamente con quanto autarchicamente prodotto. Un ideale agreste, che aveva ricavato dalla confidenza con Teocrito, Virgilio, Tasso, oltre che dall'illimitato attaccamento alla propria terra.
Tante volte aveva proposto a Valerio di rimanere a vivere quassù, una volta chiusi l'appalto e l'università, per condividere quel progetto. Ma il giovane amico, pur risultandone in parte affascinato, subiva l'attrazione di ben altre prospettive future : la vita cittadina, il successo, la carriera, l'affermazione brillante; e poi le donne : quelle di città, numerose e variegate, con le mille suggestioni evocate, con le più ampie possibilità di scelta. Non comprendeva quel limite di vita assolutamente monotona ed insignificante, a cui Pietro sembrava volersi condannare. Al contrario, Valerio aveva ripetutamente proposto all'amico di trasferirsi in città, per lavorare insieme a lui nell'impresa edile. Ma Pietro non guardava mai al di là del proprio paesello, e presentava all'amico il suo progetto contadino come se fosse un tesoro segreto.
Per oggi, comunque, Valerio correva da Pietro, per coronare quel rapporto che si avviava al termine : le strade si accingevano a separarsi, nella conclusione ormai prossima dell'università e di quel lavoro, ormai compiuto.
Valerio guardò l'orologio : non c'era fretta, poteva muoversi con tutta la calma che voleva.
Salito sull'auto, gettò la valigetta, carica di carte, nel portabagagli posteriore. Mise in moto, accese l'autoradio : una voce femminile, dalle vibrazioni incredibilmente erotiche, lo accompagnava come una eccitante compagnia, cantando di ali d'aliante e baracche sul fiume...
Con abitudine ormai radicata, Valerio imboccò la strada in discesa, che tagliava l'intricato bosco di sempreverdi. Scendendo lentamente, osservava gli squarci di città che ogni tanto si mostravano, come rapide visioni, nei rari vuoti aperti nel verde, intenso e fitto; quegli stessi vuoti da cui, la sera, le luci cittadine emanavano intensi bagliori, costituendo, nella valle, lo specchio dell'arcipelago di stelle dispiegato nel cielo.
Valerio scendeva lentamente, tanto lentamente da riuscire a cogliere la fuga di qualche timido scoiattolo, che si abbarbicava ai tronchi nodosi, per poi sparire fulmineamente nella coltre di fogliame denso.
Arrivò al piazzale del santuario : un battaglione di muli accompagnava l'esercitazione di giovani alpini, che si apprestavano a violentare il silenzio della pineta, come aveva appena fatto il rombo della sua auto. Muli in via di estinzione : residui di un mondo che spariva!
Superato il silenzioso agglomerato di piccole costruzioni, il susseguirsi dei tornanti spalancava alla vista l'estesa panoramica della vallata verde, circondata su ogni lato da catene innevate, con le vette aguzze; queste proiettavano maestose ombre sulla ridente cittadina, protesa a dilatarsi intorno al cocuzzolo centrale; violentata dall'alto viadotto dell'autostrada, che irrompeva nel panorama come un'intrusione stonatissima.
Valerio scendeva senza pigiare sull'acceleratore, con quella sensuale melodia sempre nelle orecchie, con quell'immagine di spazi sconfinati negli occhi, con un inesprimibile senso di euforia nel cuore.
Non sapeva perchè gli donasse tale sensazione, l'esplosione improvvisa di quella primavera. Passato, presente e futuro si confondevano nella sua anima, per mescolarsi in quelle successive visioni di campi illuminati e boccioli variopinti, nelle note di quella voce che gli trasmetteva inesplicabili brividi.
La missione per cui un giorno era stato catapultato fin qui, già era proiettata verso il traguardo : chilometri e chilometri di condotte attendevano, pronte sotto il terreno, che l'acqua sgorgata dall'Appennino attraversasse, scorrendo, il loro ventre. Altrettanti chilometri di nuove vie di comunicazione asciugavano al sole i propri manti bituminosi, per rendere più vicine tra loro borgate abbarbicate su colli impervi. Moderne gallerie avevano già tagliato la dura roccia, per infrangere barriere antiche quanto il tempo. Le difficoltà, ormai superate, giacevano dietro le spalle di Valerio.
Ma non solo questo poteva spiegare quel senso di lieta compiutezza con cui percorreva quella strada insieme alla primavera.
Ora aveva superato il grande distributore di carburanti, che segna la frontiera tra la cittadina di provincia e la via della solitudine, la strada che conduce al paesino di Pietro. La pendenza aveva già ripreso ad indirizzarsi verso l'alto, mentre l'eco di altre auto che lo seguivano o incrociavano, si smorzava lentamente, lungo le estreme propaggini cittadine.
Era solo. Vaste distese erbose si susseguivano ai suoi fianchi, alternate ritmicamente da ponticelli, con cui si scavalcavano gli innumerevoli fossi di un itinerario a lui ben noto. A lui, che vi riconosceva l'ubicazione delle condotte di acciaio interrate in vari anni.
Piccoli agglomerati rurali riempivano ogni tanto il percorso, individuati più da un segnale col loro nome che da un movimento vitale avvertibile.
Talvolta, davanti ad un usurato portone di legno, compariva una vecchia vestita di nero, immobile su una panca; talvolta un gregge belante si stagliava nel mezzo della strada, frenando la marcia dell'auto, suscitando le infastidite esortazioni ad accelerare, da parte del pastore.
Valerio continuava a seguire la strada senza fretta, con l'animo attanagliato da quel senso di euforia crescente. Non sapeva dirsi se era perchè lui saliva o perchè il sole calava, che esso gli appariva sempre più nascosto, tra due successive creste della montagna, dilatandosi in un arancione sempre più pallido e meno caldo.
Valerio era solo, e si rendeva conto che era proprio questo a suggerirgli quella sensazione di piacevolezza: era solo, con i costoni levigati di calcari e marne, con gli spumosi ruscelli che sottopassavano la carreggiata, con i prati presi d'assalto da mandrie, apparentemente incustodite, di mucche e cavalli. Era solo con quella voce particolarissima che, librandosi fuori dall'autoradio, infondeva in lui l'emozione di erotiche fantasie.
Sentiva che, nel totale silenzio di cui erano intrisi i tornanti, non doveva rendere conto di nulla a nessuno. Verificava che i giochi di sole con cui erano dipinti i campi fioriti o i greti scavati dei corsi d'acqua, erano sempre gli stessi : così sarebbero apparsi l'indomani; così li avrebbe disegnati in futuro ogni nuova primavera.
Aveva raggiunto il punto più elevato ed isolato del percorso : quassù, l'inverno lasciava ancora qualche propaggine, sotto forma di ampie chiazze di neve residue, incollate ai prati e alle scarpate. Nei punti ombrosi della strada, ove i raggi del sole non riuscivano a penetrare, improvvisi strati di ghiaccio slittavano sotto le gomme dell'auto. I tornanti si susseguivano, ora ben più fitti e curvi, a donare al solitario autista la sensazione di un'impresa di conquista montana. La vetta era valicata :un cartello, riportante le cifre di una quota elevata, segnalava che la strada, raggiunto il culmine, riprendeva a scendere, come un ponte gettato tra i pensieri ed i ricordi, le speranze ed i sentimenti di un uomo.
Era stato a lungo solo con la sua strada, in un tuffo al di fuori del tempo, di quel mese e di quell’anno, solo con la primavera. Ora, l’enorme proclama politico, in vernice nera, che troneggiava sul muro di sostegno di una scarpata, segnalava senza equivoco il nuovo approssimarsi di un mondo abitato.
Valerio entrò nel paese, fiancheggiando la scuola. L’uscita rumorosa delle ragazzette risvegliò in lui sensi subito sopiti : sentiva che in quella sua euforia di primavera non c’era spazio per la donna; almeno per una donna così : chiusa in un involucro di carne, ricoperto di vesti di cotone e calze di seta, come quelle ragazzette che lasciò, rapidamente, dietro il fumo della sua auto.
Raggiunse l’incrocio, dove una freccia bianca in campo azzurro indicava il nome della sua mèta, la minuscola frazione di quel paese. Abbandonò la strada principale attraverso il ponte in cemento, sovrastante il fiume. Il fiume che si originava proprio nel paesino, giungendo, quaggiù, già carico di acqua limpida, ingrossato dalla stagione che scioglieva le nevi accumulate sui monti.
Quel fiume nascente, destinato ad ingrandirsi sempre più per sfociare in un mare opposto a quello di Valerio.
Con crescente euforia, Valerio si apprestò ad entrare nel paesino. Un pastore, suo conoscente, se ne stava a cavalcioni di una staccionata, controllando il brucare quieto delle bestie. Salutò il solitario autista con aria allegramente annoiata; con quella caratteristica posa del braccio, che somigliava ad una cattiva imitazione del saluto fascista, e che era invece tipica di queste contrade. Un moto di affetto spinse Valerio a ricambiare in modo fanciullesco il sorriso del giovane, fingendo di investirlo con l’automobile. Una rapida sterzata, quale suggello di quella stravagante manifestazione di amicizia. Poi, una sfrecciata tra due ali di papaveri, la piazzetta del paese, l’osteria…Intanto la massa del sole andava celandosi dietro le vette rocciose, e da lì emanava riflessi tiepidi, che rimbalzavano sulle erbe e sui pagliai.
Era ancora relativamente presto. Valerio parcheggiò l’auto e scese, per sgranchirsi le gambe dopo la corsa ininterrotta. Sentì improvvisamente un richiamo : un’attrazione che scaturiva dal senso di gioiosa compiutezza, che aveva accompagnato il suo percorso tra le gole silenziose e i torrenti fragorosi.
Ebbe forse la sensazione di vedere una figura camminare davanti a sé, per sparire rapidamente dietro ogni angolo che si apriva tra le casupole ravvicinate, sul selciato fangoso.
Era forse una figura femminile : tanto esile e leggera da apparirgli quasi incorporea.
Valerio affrettò il passo, nel tentativo di raggiungerla. Si fermò un momento, ad osservare la vecchia fontana : l’acqua vi scendeva ritmicamente, chiara e fredda, martellando senza posa il cuscino liquido accumulato nella vasca, colorando di vita quell’abbeveratoio per i bovini.
L’acqua : era l’elemento che più affascinava Valerio; forse perché, tra tanta limpidezza, sprigionava tanta, prorompente energia. Quell’acqua era la stessa che colava tra i costoni rocciosi delle cime; che sgorgava dagli anfratti del suolo, inumidendo i tappeti d’erba fiorita, per raccogliersi poi a generare ruscelli impetuosi; e questi precipitavano verso valle con ripidi declivi e salti spumosi, levigando massi e scavando alvei sassosi : instancabilmente e ritmicamente, nel succedersi dei mesi, degli anni, dei secoli.
L’acqua : era l’elemento che, nel suo ruolo lavorativo, Valerio aveva domato ed imbrigliato in una sorta di lungo rodeo, andandola a captare, violenta e indocile, nel ventre squarciato delle montagne, per indirizzarla, quieta e soggiogata, entro gabbie d’acciaio, ove fosse sottomessa ed utile agli uomini.
Valerio guardò ancora quella fontana, da cui scaturiva l’elemento chiaro, fresco e dolce, che aveva un giorno imprigionato la fantasia di grandi poeti : forse gli parve di scorgere nuovamente quella trasparente figura femminea che egli seguiva; gli sembrò di vederne l’ombra, diafana e fuggevole, fluttuare entro l’acqua della vasca. Vi immerse le mani, le strinse, cercando di catturare ciò che cercava.
Quindi le ritrasse, le guardò : tra le piccole gocce umide che presero a colargli lungo le braccia, i raggi sfuggiti al sole del tramonto disegnavano un turbinante mutare di colori brillanti, che dipingevano ancora di vita quell’elemento. In quei riflessi, Valerio credette di individuare gli stessi che brillavano sull’abito della figura femminile da lui inseguita.
Allora riprese il cammino, lasciandosi alle spalle case e fienili, vecchi e giovani contadini.
Affondando i piedi nel fango, seguiva, tra prati e boschi, quella sagoma muliebre che affiorava, luccicando, in mezzo ad arbusti e cespugli; sempre abbastanza lontana da non riuscire a discernerla con chiarezza; ma sempre abbastanza vicina da sentirsi l’animo totalmente invaso dalla sua essenza.
Ora Valerio si rendeva conto che quella forma lo aveva accompagnato sin dall’uscita dell’università, era scesa insieme a lui tra le ultime chiazze di neve ed i tornanti silenziosi. Continuava a starle dietro : le fronde del castagneto stormivano alla brezza, miriadi di aghi stendevano una coltre sul terreno umido, mentre un’orchestra di invisibili volatili forniva la colonna sonora a quel palcoscenico.
La figura femminile era discesa lungo la scarpata, lasciando un effluvio diffuso sulla sua scia.
Nessun suono attinente all’esistenza dell’uomo raggiungeva adesso l’orecchio di Valerio. L’unico suono ad invadere l’aria, era quello del fiume, verso il quale il giovane si precipitava, a seguire l’eterea visione.
Era lo stesso corso d’acqua che scorreva, sotto il ponte in cemento, nel punto da cui si diparte la provinciale; il corso d’acqua generato dalla confluenza di mille ruscelli scaturiti dagli speroni rocciosi di lassù.
Valerio si avvicinò alle sponde : una successione di salti, intrisi di muschio e vellutello, dava vita a piccole cascate, dove i risalti della corrente descrivevano vortici gorgoglianti. Il greto si manifestava ben più largo dell’attuale limite bagnato, ricoperto di aguzzi, piccoli frammenti di calcari frantumati.
Nei piccoli specchi di calma, che ogni tanto si frapponevano a placare la corrente, rane gracidanti spiccavano balzi dalle pietre, tonde e levigate, per sparire di nuovo sotto il livello liquido.
Valerio guardava tra quelle pietre bagnate e vi riscontrava i riflessi della forma femminile che cercava.
Le sagome dei monti apparivano adesso assai più imponenti, tramutate nelle ombre che proiettavano sull’erba.
Valerio riuscì a guatare il fiume, affondando le scarpe sui sassi, nei punti ove il livello era più basso. Avvertì i lievi movimenti della sagoma muliebre lungo il successivo sentiero terroso, fiancheggiato dalle distese dei girasoli, dai cavalli che si agitavano sull’erba; poi tra i frutteti, che si susseguivano delimitati da fili di ferro, in un vago ordine geometrico.
Era un susseguirsi di immagini e profumi diversi, accomunati da quel silenzio tiepido che non lasciava scaturire traccia umana; silenzio attraversato, ma non trafitto, dall’aggraziata ombra esile che Valerio seguiva senza raggiungere, pur assaporandone l’essenza ad ogni passo, ad ogni sguardo che volgeva intorno a sé.
Capiva che quella fanciulla misteriosa era la stessa di antiche leggende narrate un giorno nel paesino : ataviche superstizioni contadine. Comprendeva che quell’essere fuggevole non avrebbe mai potuto apparire nel convulso trambusto di una città, nelle feroci lotte per la conquista del potere, tra le vetrine variopinte atte ad inghiottire denaro e sentimenti, in quel suo mondo dove il massimo valore riconosciuto era la capacità di far soldi. Capiva che lei, nel correre scalza tra frassini e fiordalisi, non avrebbe mai indossato stivali alla moda né giacconi di pelle “firmati”.
Scrutò ancora la possanza dei monti imbruniti, la fuga precipitosa di alcuni conigli impauriti, la pienezza delle canne che sostenevano i filari degli orti. Una musica prese improvvisamente a suonare nell’aria intorno a lui, o forse dentro di lui : il suono di una romanza spesso udita da ragazzo :
“Un dì all’azzurro spazio guardai profondo, e ai prati colmi di viole : pioveva l’oro il sole, e folgorava d’oro il mondo. Parea la terra un immane tesoro; e a lei serviva di scrigno il firmamento…”
Raggiunse il punto dove l’intricato sentiero in mezzo al bosco si spalancava d’improvviso in una radura. Un’ampia radura verde, di freschissima erba rasata, costituiva il proscenio di un’antichissima chiesetta medievale. Gli apparve un misto di sacralità e fatiscenza : il grande portone serrato, in legno ben lavorato; la struttura in blocchi di pietrame, opachi per il lavorìo del tempo; su un fianco i resti di un porticato, quasi sepolto dalle erbe, da questa parte incolte ed altissime.
Al centro della piazzola verde, una gran croce in ferro sovrastava un basamento lapideo, pieno di incisioni latine, che apparivano come formule magiche di un mistero nascosto.
Non più suoni arrivavano fin qui, non più animali, né tracce recenti di essere umano trapelavano.
Solo il lieve vento della sera filtrava tra i rami, che oscillavano lentamente, scandendo il trascorrere del tempo. La musica di quella romanza risuonava ancora nelle orecchie di Valerio. Si chinò : su dalla terra, alla sua fronte, veniva una carezza viva; un bacio. Gridò, vinto d’amore : “T’amo! Tu che mi baci, divinamente bella, o terra mia!” Raccolse un pugno di terra, lo strinse nella mano, lo portò fino al volto, strofinandovelo sopra : un profumo mai sentito si levava da quel brandello di suolo; un profumo in cui Valerio sentì, ancor più intensamente, la presenza della fanciulla che inseguiva.
Allora ebbe la certezza che, alzando lentamente gli occhi, l’avrebbe vista. Eccola : era lì, finalmente, ferma. Stava appoggiata alla croce : gli ultimi bagliori di luce le piovevano direttamente sul capo. Valerio restò vagamente prostrato ad osservarla, euforico e tremante al tempo stesso.
La guardò : aveva i piedi nudi, gli abiti sbiaditi come i colori della chiesa, i capelli sciolti, apparentemente poco curati, ma di un biondo luccicante che sembrava emanare luce anziché rifletterla.
Teneva in una mano un cesto con alcuni frutti; con l’altra mano si teneva saldamente abbarbicata alla croce. La sua espressione mostrava un blando sorriso. Gli occhi scuri, di una vitalità incredibilmente intensa, rispecchiavano l’immagine della vetta calcarea, adorna di neve candida; del quieto laghetto piovano, limpido tra l’erba; dei robusti tronchi di questa radura, che certamente mai nessuna pala meccanica avrebbe abbattuto, per lasciare spazio al bitume vomitato dalle finitrici.
Sotto i piedi scalzi della fanciulla, sembrò a Valerio di vedere tanti fogli di carta che si stracciavano in mille pezzettini, mille preziose stoviglie distrutte in cocci spigolosi, tanti sguardi carichi di livore che, calpestati da quei piedi leggeri, si addolcivano per poi svanire tra l’erba.
Una musica sempre più impetuosa si librava nell’animo del giovane. Fissò ancora la muliebre visione, e pensava alla saggezza che si nascondeva nelle parole degli ignoranti e superstiziosi abitanti del paesetto. E ripensava a Pietro, con quel suo trasporto verso la natura, teso semplicemente a condividerne, da solo, le emozioni più recondite! Valerio fissava il sorriso semplice della figura femminea, stretta alla croce, e sentiva nascere in sé una nuova sensazione.
Egli aveva avuto con la Natura due tipi ben diversi di rapporto. L’aveva sfidata e vinta nel suo lavoro, l’aveva piegata al suo volere, regolarizzando torrenti scatenati, sconfiggendo barriere di roccia che isolavano i borghi, modellando pendii più comodi, opponendo rimedi alle frane naturali, con cui il destino predisponeva future vittime.
Poi, l’opposta piega : tra i fulmini tonanti; nei vortici generati dal vento furente delle alte quote; sulle lastre di ghiaccio che intrappolavano passi incerti nella nebbia; di fronte a baratri sospesi che, in ogni istante, minacciavano di stagliarsi innanzi improvvisamente; si era sentito perduto, aveva implorato un dio in cui mai aveva sinceramente nutrito fiducia; aveva bestemmiato scagliando maledizioni, aveva sperimentato nella propria angoscia la potenza di quell’entità definita “Natura”.
Ora, di fronte a quella fanciulla silenziosa tra l’erba fiorita, verificava un rapporto ancora diverso : lì, quella Natura non era né vinta nè vincitrice : era piuttosto un tutt’uno con lui, con loro; anche lui e la tacita figura non erano che una piccola componente dell’ambiente, come i frassini ed i papaveri; come le foglie cadute, che piccoli mulinelli d’aria accumulavano in distinti punti del suolo; come le mandrie di mucche, che, rientrando nelle stalle, trasmettevano sin qui l’eco lontana dei campanacci.
Lui, Pietro, la croce, la chiesa, le condotte in acciaio, gli arbusti del bosco : ciascuno di essi non era che una parte del “Tutto”.
Valerio stava lasciandosi percuotere da tutte queste emozioni, quando si accorse che la fanciulla, con passo leggero, era penetrata all'interno della chiesa, attraverso una piccola apertura laterale.
Anch'egli si arrampicò e penetrò dentro. Nella penombra, si scorgevano appena i resti di antichi affreschi sul muro. Le panche erano ordinate; un breviario aperto appariva tra le candele, sull'altare. Nelle nicchie che si aprivano lungo i lati, campeggiavano altre immagini sacre, dai colori sbiaditi, aduse da tanti secoli agli sguardi della gente, che le avevano scolorite e consunte.
Fuori dalle finestre, il vento sempre crescente scompigliava le fronde dei frassini, trasportava fino nell'intimo del sacello il profumo dell'erba tagliata. Valerio prese ad annusarlo profondamente, rimanendo inginocchiato di fronte all'altare, dietro al quale la fanciulla scalza appariva ora come una sagoma indistinta, appena accennata, confondendosi con le virginee figure affrescate, divenendo ad ogni istante sempre più inconsistente.
Valerio bruciò in ogni punto del corpo, del grande ardore che sentì esplodere per lei.
Percepiva quanto lei fosse diversa da tutte le altre, da quelle stesse ragazze di campagna che poco prima aveva visto uscire dalla scuola : a differenza di quelle, la figura che gli stava di fronte non era imprigionata da un rivestimento di carne.
Capiva : capiva che finalmente aveva trovato quel dio così a lungo, e vanamente, cercato tra le ardenti spiagge estive e le schiamazzanti compagnìe, tra i freddi formalismi delle cene di lavoro e gli sfoggi di cultura universitaria, nell'asfissiante trambusto della città feroce o nel colore acerbo di calze femminili.
La fanciulla silenziosa era tornata a confondersi nel "Tutto" : era svanita da quell'aspetto umano, per riassumere la simbiosi con tutto ciò che circondava Valerio. Questi era ancora inginocchiato, sotto la divina figura dell'antico affresco.
Un sussulto lo colse, allorchè udì la voce che lo chiamava. Forse aveva perduto l'idea di ascoltare voci terrene. Si voltò in direzione del richiamo, verso la finestra della facciata principale, chiusa da una grata. Quella grata incorniciava ora il volto dell'amico Pietro.
Questi gli disse che aveva trovato la sua auto, parcheggiata in paese, e, seguendo varie indicazioni, era riuscito a trovarlo, qui. Manifestò una profonda sorpresa nel vederlo così, da solo, inginocchiato dentro la chiesa.
Valerio gli spiegò di aver sentito un impulso, un richiamo dentro di sè. E quel richiamo l'aveva condotto fino a quella radura, fin dentro quelle mura. Poi esclamò : "Sono estremamente felice che proprio tu sia qui... amico mio!".
Sì, Valerio capiva che Pietro più di ogni altro al mondo era, in quel momento, gradito accanto a lui. "Amico" : questa parola, il senso che essa rappresentava, era forse la più indicata per coesistere con quel dio che Valerio aveva trovato, quel dio che viveva nelle bacche rosseggianti e nei gorghi del ruscello.
L'amicizia non aveva l'involucro carnoso di una donna, coi mille inganni elusivi che ivi si celano. Se poi l'amico era Pietro, il giovane con l'unico obiettivo di donare sè stesso a quel dio-Natura, nessuno meglio di lui poteva colmare quell'attimo della vita di Valerio.
E così si incamminarono insieme, ripercorrendo a ritroso i sentieri fangosi già calcati da Valerio. Ideando e progettando tutti i programmi per la realizzazione della comunità agricola, che insieme avrebbero realizzato in quel paesetto di montagna. Restandovi insieme; per tutta la vita.
La luna era ormai sorta sopra le cime innevate, per una nuova notte di primavera.
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