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Prigioniera senza onore
Rinchiusa, ancora una volta. Lei, amante della libertà, prigioniera di un uomo spietato, ma che nell’ultimo periodo sembrava cominciare ad ammirare alcuni suoi aspetti: era affascinante, quella solita ombra scura che gli passava negli occhi cominciava ad infonderle profonda tranquillità; quando parlava a lei, la sua voce si abbassava, diventata un dolce borbottio che la faceva sentire protetta. Durante la marcia, al giorno, la legavano sul primo cavallo coraggioso in grado di stare tra i due draghi affidati alla sua sorveglianza e la trascinavano per le terre, sotto al sole, ignorando la voglia di bere e di riposare. La notte, Ronimir la faceva portare nella sua tenda per evitare che i draghi pensassero di divorarla, ignorando l’ordine.
Alcuni giorni era teso, sembrava preoccupato; le lanciava occhiate piene d’ira senza farla uscire dal padiglione militare sospettando una sua fuga, altre volte la portava con sé durante le passeggiate serali. Redeye sembrava non lasciarlo solo un istante e la notte stava a sorvegliare la tenda per evitare che lei scappasse, ora che erano al di fuori della Valle Morta.
Il giorno prima erano al passaggio tra le montagne, ora stavano seguendo i profili dei monti per raggiungere una foresta, oltrepassare un fiume e giungere ad una città nota col nome di Berlénus. Li si sarebbero riposati per poi proseguire verso la prima battaglia.
Li odiava tutti. Tutti erano vestiti con armature nere, spade al fianco, archi e balestre a tracolla; trainavano trabucchi, guidavano i carri, addestravano i cani all’attacco, ognuno aveva un compito nel viaggio. Nelle passeggiate con la cattiva compagnia del re, poteva osservare uomini impegnati ad affilare le lame delle armi, alcuni elfi scorbutici passavano il loro tempo a perlustrare le zone sui loro strani animali, facendo pratica, draghi intenti a scrutare le macchie di alberi coperti dalla neve in attesa di veder sbucare una preda... Ronimir le portava vestiti caldi, asciutti e puliti ogni giorno, dormiva in una branda vicino alla sua tenendola sotto il suo sguardo fino a quando lei non si addormentava; al mattino, lei si svegliava e se lo trovava li davanti, intento ad osservarla con un sorriso.
Lei però non amava essere lasciata in balia dei draghi, non amava il modo in cui lui la guardava, il modo in cui la teneva segregata lì, non amava i suoi pensieri spessi detti ad alta voce, rivolti a lei, in cui spiegava il motivo della sua presenza lì con lui, nel viaggio. Era crudele, se trovava una carovana la saccheggiava per il gusto di farlo, aveva ordinato di distruggere Erinuat, marciava contro i suoi alleati, non aveva rispetto per nessun suo servitore e insultava i suoi ufficiali al primo errore.
L’ultima volta che lei aveva cercato di difenderli, il sovrano l’aveva percossa consegnandola al drago nero; poche ore dopo si era scusato senza impegno e invitata e tornare nella tenda con lui.
Non osava contraddirlo, non osava aprire bocca quando era irritato. Nelle giornate solari non poteva parlare con nessuno e poche volte gli rivolgeva la parola. Certe volte uno scudiero sgattaiolava da lei per parlare qualche minuto, ma non era niente più che un amico e ben presto il suo orario di guardia fu cambiato.
Quella sera, sul tardi, sentiva che c’era qualcosa che non andava. Era passato qualche giorno da quando erano partiti ed erano passati diversi giorni da quando il re si era irritato per qualcosa.
Andava da lei più spesso, rilassandosi su una poltrona che si era portato dietro e la confinava sul letto dopo ogni giro del campo, fino a quando non arrivava notte fonda e lei si addormentava.
I soldati chinarono la testa rispettosi lasciando passare Ronimir. Entrò nella tenda sospirando, seguito da Blessen, che immediatamente s’incamminò in direzione della sua branda con spesse coperte e due morbidi cuscini, spazioso e comodo.
“No, non andare ancora lì”le disse lui intonando un ordine. Lei lo guardò perplessa.
Ronimir si avviò verso l’entrata della tenda, sibilò qualcosa ai due soldati che si allontanarono e la richiuse, intrecciando le cordicelle che passavano all’interno di alcuni fori; del drago nero non c’era l’ombra e la tenda, quella sera era stata posizionata all’esterno del gruppo. Le candele accese reggevano le fiamme ondeggianti che producevano una luce soffusa sui candelabri.
“Hai pensato a quello che ti ho detto nei giorni scorsi, vero?”Domandò il re togliendosi il mantello color porpora. Con un cenno le intimò di avvicinarsi per togliergli il vestito con cui viaggiava. Lei evitò di mostrarsi nervosa e obbedì a testa bassa. Quando faceva così, la trattava proprio come una sua schiava; forse era quello il suo vero scopo.
“Ho avuto poco tempo per rimuginarci sopra”rispose lei quasi in un sussurro.
“Ti ho riferito le mie intenzioni solo per prepararti al tuo compito. Sarai la responsabile di quello che accadrà, un’esca”. La donna trasalì quando sottolineò le ultime parole. Gli tolse i vestiti superiori lasciandolo a petto nudo. Nella tenda non entrava il freddo e rimaneva il tepore emanato dalle candele.
Si voltò per prendere un altro abito con cui vestirlo. Emise un gemito, quando sentì una lama fredda toccarle il collo.
“Potevi prendermi l’arma e tentare ancora una volta di uccidermi, ma non l’hai fatto, perché?”Domandò il sovrano a bassa voce. Aspettò con pazienza una risposta che non sentì pronunciare; nell’attesa accostò il volto ai suoi capelli e prese un respiro profondo. “Dovresti rispondere invece di contraddirmi”.
Spostò la fredda lama del pugnale e la appoggiò ad un tavolo lì accanto. Voltò lentamente Blessen tenendola per le spalle e quando lei lo guardò dritto negli occhi, lui avvicinò le sue labbra e la baciò. La donna rimase impassibile, quel gesto l’aveva letteralmente sorpresa.
Appena il sovrano si staccò, la fece indietreggiare con delicatezza.
Cominciava ad avere paura: paura che qualcosa potesse andare storto e che lei venisse picchiata ancora una volta. Se lo contraddiceva riceveva una severa punizione. Lanciò un’occhiata verso il tavolo cigolante di legno, il pugnale dall’elsa nera sembrava la chiamasse. Una mano le tremò e il battito del cuore prese ad accelerare in preda al puro terrore.
Prima che potesse reagire in qualche modo, Ronimir le diede una spinta con un sorriso maligno sul volto, l’ombra dei suoi occhi era sparita lasciando spazio alla chiarezza. La fissò, mentre le sue gambe cedettero e cadde sul letto, i suoi di occhi, erano sbarrati e ansimava. Stava per rialzarsi, ma lui le afferrò con forza i polsi e la tenne sdraiata sulle coperte a forza. Cercò di divincolarsi, strinse i denti e scalciò. In pochi istanti si rese conto di non avere scampo, ma non si voleva dare per vinta ed iniziò a urlare cercando di richiamare l’attenzione di qualcuno che venisse a salvarla, ma così non fu.
“Silenzio se non vuoi essere gettata in pasto alle lucertole con le ali!”Minacciò il sovrano mettendole una mano sulla gola. In un attimo nessun rumore aleggiò nella tenta; era in balia della paura.
Ronimir osò baciarla ancora una volta, con delicatezza, quasi toccasse un fiore delicato; lentamente passò al mento, infine al collo. Sentì di nuovo le sue labbra inumidite sfiorarla e insistere. Voleva muoversi, scappare, i muscoli erano irrigiditi e le dolevano per lo spavento. Lui scostò di nuovo le mani ed iniziò a toglierle i vestiti. Tutto quello che lei fece fu quella di chiudere gli occhi e piangere sotto singhiozzi sconnessi, mentre il re malvagio le toglieva anche l’onore rimasto.
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- Forgi personaggi intensi e vicende surreali... che colpiscono l'animo.
Brava. Ruben
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