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CASO ARCHIVIATO: SUICIDIO PER AMORE.
Sandra guidava assorta nei suoi pensieri.
Il suono di un clacson all'improvviso le fece capire che forse si era distratta e che la sua macchina viaggiava troppo al centro della corsia.
Si spostò più sulla destra e riprese la sua andatura costante: non le era mai piaciuto andare troppo forte, e specialmente ora che mille pensieri le attraversavano la testa capiva che era prudente mantenere la velocità massima intorno ai 120 Km/h.
Era partita da Napoli alle otto di mattina; erano le due del pomeriggio, ed aveva da poco superato Firenze, là dove cominciano le prime dolci colline dell'Appennino tosco-emiliano.
Si ricordò di una gita che aveva fatto a Firenze l'ultimo anno di Liceo, con la sua classe, con i suoi amici di cinque anni di scuola, con i suoi professori: Ponte Vecchio con i suoi
negozi di oreficeria, Piazza Signoria con la magnificenza del Palazzo Vecchio e con le sue statue, il Duomo, il Campanile di Giotto, sul quale erano saliti per ammirare la città dall'alto, e gli Uffizi, il Giardino di Boboli, dove avevano mangiato e bivaccato per tre ore, ridendo, scherzando, prendendosi in giro, cantando le canzoni di allora, "Azzurro",
"Questo piccolo grande amore", "I giardini di marzo", "La canzone del sole", e tante altre; Stefano suonava la chitarra e cantava, e tutti gli altri dietro, a cantare, ad urlare al vento la loro gioia di vivere.
Stefano... quanti anni erano passati da quel giorno, dal giorno in cui, senza un motivo plausibile decise di togliersi la vita; aveva da poco compiuto 19 anni, gli esami erano finiti da poco. Stefano ce l'aveva fatta anche se con fatica; il suo grande amore era la musica, la sua chitarra, la voce bellissima che aveva avuto in dono dalla natura.
Era bello, Stefano, ma di una bellezza triste, malinconica, ed aveva una grande qualità: sapeva ascoltare; tutte le ragazze gli raccontavano le proprie pene d'amore, e lui era sempre lì, pronto ad ascoltarle, e poi tirava fuori la sua
chitarra e trovava una canzone appropriata alla confidenza che gli era stata fatta.
Sandra sapeva che Stefano aveva un grande amore: Laura, la ragazza più bella della classe, alta, slanciata, sinuosa, due grandi occhi chiari, capelli sulle spalle, due tette piene e sode, due gambe mozzafiato. Ma Laura giocava con lui: sapeva che era innamorato perso, e si divertiva a farlo ingelosire; si faceva venire a prendere davanti alla scuola da ragazzi più grandi con enormi moto rombanti, e in un attimo
spariva ridendo e con i capelli al vento alla sua vista.
Stefano rimaneva lì, imbambolato, con la sua faccia triste, con gli occhi rossi di lacrime, a guardarla fino a che non spariva; dopo un minuto era lì, sul muretto davanti alla scuola, a cantare: "Lontano, lontano",
"La canzone dell'amore perduto", "Un pugno di sabbia". Cantare era per lui un modo per esorcizzare il dolore, per proiettare fuori di sé quel nodo che lo stringeva alla gola,
e non importava se non c'era nessuno ad ascoltarlo; lui suonava e cantava anche da solo, anche per ore; a volte si fermavano ragazzi e ragazze di altre classi a sentirlo; le ragazze lo divoravano con gli occhi, ma lui non le vedeva nemmeno, per lui esisteva solo la sua Laura.
Quel giorno, era una domenica, era il 16 luglio, tutta la classe si era data appuntamento al Monte di Procida, lì dove i Campi Flegrei sembrano quasi sfiorare l'isola di Procida,
e da dove si vede in modo chiaro il Monte Epomeo della meravigliosa "Isola verde" di Ischia.
C'erano quasi tutti:su 25 ne mancavano tre, perché erano in vacanza con le loro famiglie.
La mattinata trascorse in grande allegria: avevano superato tutti l'esame, e avevano addosso una grande euforia, una grande voglia di fare festa; ognuno di loro aveva la sua
vita davanti, i suoi sogni da realizzare, le sue speranze, i suoi amori, segreti e non segreti; la vita sorrideva, il sole scaldava i loro corpi, la leggera brezza marina scompigliava
un po' i loro capelli e dava sollievo alla calura estiva.
All'ora di pranzo mangiarono quello che si erano portato dietro da casa: frittate di maccheroni, insalate di pomodori, salami e formaggi vari, frutta in quantità, crostate, e caffè nei thermos.
Dopo pranzo, ognuno scelse di fare quello che preferiva: chi si sdraiò all'ombra di una pianta, chi si mise a giocare a carte, chi a chiacchierare di ragazze, di ragazzi, di amore, di canzoni.
Stefano stette un po' lì con loro, poi si allontanò, da solo, senza la sua chitarra, sperando in cuor suo che Laura lo seguisse.
Si era fatto tardi, era quasi buio, tutti erano rientrati, Stefano no.
Cominciarono a cercarlo, ma sembrava sparito nel nulla: gridavano il suo nome, lo cercarono sotto tutti gli alberi,
su tutti gli scogli, chiesero in paese, niente, volatilizzato.
Tornarono a casa con un senso di angoscia addosso: si era allontanato o gli era successo qualcosa?
La mattina dopo ebbero la risposta alla loro domanda; "Il Mattino" titolò: RITROVATO SULLA SPIAGGIA DI NISIDA IL CORPO SENZA VITA DI UN RAGAZZO.
Cominciò il viavai dei giornalisti alla ricerca di una spiegazione, gli interrogatori dei magistrati che indagavano sul caso; tutti i ragazzi dissero la verità: Stefano era innamorato di Laura, che un po' giocava con il suo amore, tenendolo sulla corda.
Il giorno del funerale la chiesa era stracolma: tutti i suoi compagni di classe piangevano come fontane; Sandra pensò all'emozione e al dolore di quel momento, a come stringeva
ed abbracciava uno ad uno tutti i suoi compagni.
In chiesa, per espressa volontà dei genitori di Stefano si diffusero le note di “A whiter shade of pale” dei Procol Harum, canzone che Stefano amava molto, nella versione italiana dei Dik Dik “Han spento già la luce, son rimasto
solo io e mi sento il mal di mare….. L’aria fresca sai mi sveglierà, oppure dormirò, guardo lassù, la notte, quanto spazio intorno a me, sono solo nella strada….."
La più affranta era Laura: forse solo allora si era resa conto del male che aveva fatto a Stefano, solo allora aveva capito di quale profondo e meraviglioso amore egli l'amasse, solo allora aveva capito che quella chitarra non avrebbe suonato più per lei e che quella voce non avrebbe più cantato per lei, solo allora aveva capito che non si può giocare con i sentimenti delle persone; ma era giovane, Laura, giovane come Stefano, giovane come tutti loro.
Il caso venne archiviato un mese dopo: SUICIDIO PER AMORE.
Il breve telegramma di Giulia l'aveva riportata con la mente agli anni del Liceo, a quell'episodio, ai ricordi mai sopiti del passato. Il telegramma diceva: HO URGENTE BISOGNO DI PARLARTI. TI PREGO DI VENIRE A MILANO DA ME E, SE PUOI, DI FARLO DOMANI; seguiva l'indirizzo della mittente.
Giulia... Sandra non l'aveva più rivista da qualche mese dopo la disgrazia; sapeva che si era trasferita a Milano, ma non l'aveva mai più vista né sentita, né qualche compagno dell'epoca che incontrava ogni tanto in giro per Napoli sapeva niente di lei.
Giulia... taciturna, seria, di una bellezza particolare, occhi neri profondi, capelli scurissimi, pelle chiara che faceva risaltare ancora di più lo scuro degli occhi e dei capelli, non molto alta, molto brava nelle materie letterarie, faceva dei temi meravigliosi.
Ricordava una cosa di lei: non aveva mai parlato con qualcuna di loro di qualche suo amore, di un ragazzo che le piacesse, sembrava del tutto indifferente a questo tipo di problematiche.
Lei scriveva, racconti, poesie, testi di canzoni, e sembrava esaurire in questo tutta la sua fantasia, i suoi interessi, la sua voglia di comunicare con il mondo.
Un flash improvviso: ecco perché nel telegramma c’era scritto “Vieni domani”; era il 16 Luglio, esattamente 34 anni dopo il giorno della disgrazia.
Con questo pensiero, quasi alle sei di sera, Sandra si accorse di essere arrivata a Milano: era ancora caldo, un pomeriggio lavorativo in una Milano mezza deserta; diede un’occhiata all’indirizzo; Giulia abitava dalle parti del Duomo, in una delle zone più chic di Milano.
Arrivò all’indirizzo scritto sul telegramma, e lì c’era una bella villa con giardino; pigiò il tasto del videocitofono, e una voce in un italiano stentato le chiese chi fosse; pronunciò il suo
nome, ed il cancello si aprì. Sul grande portone d’ingresso c’era una donna di mezza età dall’apparente origine filippina o comunque del sud-est asiatico; la donna si rivolse a lei
con un formale: “Prego, la signora la sta aspettando”.
Sandra, preceduta dalla domestica, attraversò diverse stanze, pensava di dover aspettare In una grande sala, ma la domestica si diresse su per le scale verso il piano superiore.
La domestica si fermò davanti ad una porta socchiusa, bussò e disse: “C’è qui la signora Sandra”.
Una voce flebile e rauca rispose: “Falla entrare”.
Sandra entrò, la domestica uscì chiudendo la porta alle sue spalle.
Giulia era lì, nel letto, una flebo conficcata in un braccio, il viso un tempo luminoso, bello, giovane, ora di colorito giallognolo, con molte rughe più che di vecchiaia, di sofferenza, il corpo di una magrezza spaventosa.
Giulia la guardò e le disse: “Vieni qui, dammi un bacio”. Sandra si avvicinò al letto quasi impietrita per la sorpresa, si chinò, l’abbracciò e la baciò.
Fu Giulia la prima a parlare dopo l’abbraccio, e, come per prevenire qualsiasi domanda di Sandra, la gelò con queste parole: “Mi restano pochi giorni di vita, Sandra; ho un tumore
al pancreas di quelli che non perdonano; mio marito è uno dei migliori chirurghi di Milano, ha tentato anche l’operazione, ma ha dovuto arrendersi di fronte alla vastità del male.
Non ho dolori, lui ha saputo come fare per evitarmi almeno questo; ho tre figli meravigliosi che mi stanno molto vicini, ma ora in casa c’è solo la domestica filippina che mi vuole
veramente bene”.
Sandra sentì un groppo salirle alla gola; le parole le si strozzarono, e riuscì solo a dire: “Mi dispiace”.
Si riprese quasi subito e le chiese: “Come mai non ti sei fatta più viva per 34 anni, Giulia? Perché hai fatto perdere tutte le tue tracce? Ci siamo chiesti tante volte che fine
avessi fatto!”
“Dovevo dimenticare, Sandra, non potevo più stare a Napoli dopo quello che era successo”, fu la sua risposta.
“Tutti noi abbiamo dovuto fare i conti con quello che è
successo, Giulia; tutti noi portiamo dentro i segni di quel giorno”, replicò Sandra.
“Non come me, Sandra, ed è per questo che ti ho fatta venire qui oggi, esattamente 34 anni dopo; ho scelto te, te che eri la più saggia del gruppo, te che eri la più sensata, quella che metteva pace, quella che aveva una buona parola per tutti. Non potevo andarmene tenendomi dentro quello che sto per dirti, cara amica mia; ho bisogno di liberarmi di questo peso che mi porto dentro, da sola, da 34 anni.
Ricordi quel giorno? Dopo pranzo Stefano se ne andò da solo verso la scogliera. Io lo vidi, dopo un po’ lo seguii, e nessuno se ne accorse, presi come eravate ognuno dalle sue cose.
Mi avvicinai a lui e lo salutai, lui mi rispose col suo solito sorriso e la sua solita gentilezza.
Fu allora che raccolsi tutte le mie forze, che riuscii a superare tutte le mie timidezze e che gli rivelai il mio grande segreto, quello che mi tenevo dentro da anni; sì, Sandra, lo amavo, lo amavo con tutta me stessa, sognavo di lui tutte le notti, mi struggevo a sentirlo cantare, piangevo calde lacrime d’amore sola nella mia stanza, ma lui non aveva occhi e voce che per Laura, la bella Laura, che io ho odiato a morte.
Lui mi guardò con sguardo compassionevole, sembrava quasi volersi scusare, e mi disse che mai nessun’altra avrebbe preso il posto di Laura nel suo cuore, mai avrebbe smesso di amarla, anche se lei non lo corrispondeva; lui
era capace di amare anche a senso unico, il suo amore non aveva bisogno di nient’altro che non il dispiegamento di se stesso, che non il canto delle sue melodie per lei; la sua chitarra era il corpo di Laura, le corde erano la sua voce, e lui accarezzava quel corpo, sfiorava quelle corde come una cosa preziosa.
Non ci vidi più, Sandra; non volevo, fu solo una piccola spinta,
pensavo che ce la facesse a non cadere, ma non fu così: lo vidi fare un volo di decine di metri e poi sparire tra le onde. Avevo ucciso il mio grande amore, avevo spento per sempre la sua voce, avevo distrutto i suoi sogni, la sua gioventù, la sua vita; non ho mai più amato nessuno come lui, Sandra; ho vissuto tutti questi anni nel suo ricordo, ho avuto sempre nella testa le sue canzoni, ho avuto negli occhi il suo sorriso, il suo viso di bravo ragazzo, la sua gentilezza, i suoi modi educati.
Mi sono sposata, ho insegnato, ho fatto tre figli, ma Stefano
è rimasto dentro di me; quel ragazzo che suonava e cantava ha continuato a farlo lì nel Paradiso, perché lui non poteva non farlo. Fra un po’ sarò lì con lui e torneremo a cantare
insieme, ci prenderemo per mano e andremo verso l’Infinito.”
Giulia, che aveva parlato con la debole voce fiaccata dalla malattia e dall’emozione, scoppiò a piangere, e Sandra, che aveva ascoltato con le lacrime agli occhi, l’abbracciò d’istinto.
Rimasero così per molto tempo, in silenzio, ognuna chiusa nel suo dolore e nella sua commozione.
Dopo molto tempo, Sandra le diede un bacio, e, senza parlare, uscì dalla porta, lasciandola sola con i suoi rimorsi e con la sua speranza di rivederlo presto.
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0 recensioni:
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- È molto bello, l'ho letto sul tuo blog ma non ricordo se ho lasciato un commento. Il finale a un certo punto diventa prevedibile ma non importa, perchè comunque i personaggi riescono sempre a trasmettere passione e tensione, fino allultima riga, e il ritmo narrativo è molto vivace.
- bello, davvero... e molto scorrevole... complimenti, bravo!!!!
- complimenti, davvero un bel racconto... mi è piaciuto molto il modo in cui si conclude la storia... i personaggi sono bene caratterizzati e il tipo di scrittura molto piacevole e scorrevole! mi è piaciuto molto! Chiara
- Un racconto meraviglioso, che rapisce intensamente e emoziona, toccando le corde del cuore: hai dipinto magistralmente l'atmosfera tipica degli anni '60 e '70, quando sull'onda della contestazione giovanile eravamo presi da amori totalizzanti e da speranza utopiche, che ci facevano credere nell'attuazione dell'impossibile. Tutti i personaggi del tuo racconto sono mossi da un amore infelice ma intensissimo, che poi si sgretola... BRAVISSIMO!!!!!!
Ciao
Ignazio
- Profondamente toccante... due amori non corrisposti che hanno pagato con la vita, la sofferenza e il rimpianto. Bellissima descrizione dei luoghi e delle canzoni ; lo trovo scritto in modo fluido, si lascia leggere dall'inizio alla fine. E ritrovo temi tuoi ricorrenti, la nostalgia, il romanticismo, l'empatia, la capacità di leggere la sofferenza dell'anima, la tua intensa sensibilità. Un abbraccio
- Dolce, commovente e... drammatico! Un amore non corrisposto può scatenare un tragico epilogo, riscattato dall'amore e dalla sofferenza. Bellissimo racconto, ben scritto e di facile lettura. Vi ritrovo la stessa sofferenza delle tue poesie.
Bravo Vincenzo!
- Piacevole la breve ed incisiva carrellata su Firenze e le canzoni in voga allora; trovo molto indovinato il fulmineo passaggio dal dilettevole ai ricordi drammatici; rimango positivamente colpito dagli appassionanti intrecci trai quali ritornano i caratteri delicati e l'autenticità di sentimento di chi scrive. Non sono molto d’accordo sulle “dolci colline dell'Appennino tosco-emiliano”, quello è stato e rimane il peggiore tratto dell’autostrada del sole!
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