Improvvisamente è calato un silenzio, ma non un silenzio-silenzio, ma un silenzio-vuoto che ha saturato tutto lo spazio-tempo cristallizzando ogni vibrazione. Fermato ogni movimento, arrestato ogni moto, bloccato ogni gesto o movenza, sospeso ogni rumore, è rimasto un “vuoto” pieno
di silenzio. Sarà stato un collasso gravitazionale, una fluttuazione quantica, una distorsione spazio-temporale, una biforcazione dimensionale, vallo a sapere!! In questo “vuoto” assente, tutti i ricordi, memorie, reminiscenze, progetti, pensieri, idee, concetti, si sono obliati per lasciare spazio ad un presente che sembra dilatarsi quanto l’eternità. In questo “silenzio” che non lascia spazio né al grido, né al canto, ho lentamente piegato il capo fissando l’unico punto concesso: l’ombelico. Dopo un eone di tempo ho cominciato a sentire un suono proveniente dall’interno: sistole/diastole, diastole/sistole, ritmo lento e sincopato, poi un “flusso” pulsante, sangue che scorre e rifluisce. Allora c’è vita! Si può “emergere” dal vuoto! Per farlo bisogna darsi un compito, uno scopo. Primo compito, primo scopo: dissolvenza molecolare. Nient’affatto facile per chi si
crede un’unità integra e coesa. Che fare? Ecco, ho trovato! Tutto sommato la soluzione è semplice. Basta avere un cielo notturno da guardare. Ho cominciato a osservarlo, dapprima con uno sguardo mobile, poi, man mano sempre più fisso. L’ho visto arrivare, o ero io che andavo verso di lui? Il movimento era velocissimo, dovunque posavo lo sguardo, ero là! In un istante avevo circumnavigato l’universo; ma questo era uno soltanto dei possibili universi; non più un unico uni-verso ma un multi-verso; infinite dimensioni, interminabili spazi, incommensurabili distanze; mi ero e-steso, dilatato, espanso, dissolto, disgregato, non più Uno, ma molteplice, plurimo, indifferenziato. Ora sono stella, spazio, molecola, elettrone, quark, buco nero, pulsar, quasar, neutrone, nana bianca, stella che danza, particella che ruota, infinito che si estende, estasi perenne. Poi, come un vortice improvviso sono “rientrato” ad osservare un orizzonte che vibrava lievemente per effetto della curvatura dei raggi solari. Altro compito, altro scopo: estensione illimitata. Seduto nella posizione Siddhâsana, sguardo sulla punta del naso, pollice e indice uniti, lingua contro il palato, respiro lento e regolare, ci si “ritira” dentro di sé, lentamente, con un movimento di introflessione che a spirale ti riporta al Centro, diventando semplicemente un punto infinitamente esteso, illimitatamente denso; poi “srotolandosi” spiralicamente ci si
apre sempre più, inglobando prima il mondo, poi via via pianeti,
stelle, galassie, galassie di galassie, infiniti mondi, interminabili
universi; sempre più esteso, sempre più vasto. Perso ogni confine, dissolta ogni frontiera, ora sono solo vastità, puro Nulla, immenso mare senza increspature. Poi il respiro lieve ma costante, riporta al presente, al qui e ora e resta la nost-algia, il dolore, il rimpianto dell’immensità. Solo guardando nel profondo degli occhi si può (forse) scorgere l’antico brillio di stelle che incuranti del tempo e dello spazio, continuano la loro sempiterna danza. A noi solo resta ancora un compito: sentire il loro Canto.