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La notte che l'alba non venne
Mi piace divagare. O forse no. Forse preferisco concentrarmi su un solo argomento ed esplicarlo ben bene, senza lasciare dubbi, senza che rimanga spazio per le domande. Ma adoro la gente che non sa dove andare a parare. Quelli che saltano di palla in frasca, senza arrivare a nessun dunque, quasi che sembrano credere che ogni cosa sia importante come qualsiasi altra e le priorità non esistano. Quelli che si domandano con la stessa necessità di trovare risposta, se è bene trovare in fretta un nuovo lavoro e cosa cazzo gli era saltato in mente agli egiziani di tirarsi fuori il cervello dal naso. Le chiederò di sposarmi? Quanto poteva spaventare la miopia prima che fosse diagnosticabile? Chi ha deciso che dovesse essere il tabacco e non la melissa? È davvero necessario che io smetta di bere? Hammurabi di che schieramento politico farebbe parte? L'ultima sigaretta e poi mi defenestro.
Quando i pensieri diventano vortice e spazzano via il sonno, un essere umano può rischiare allo stesso modo la follia e l'ascetismo. Quell'uomo rischiava più la demenza che altro...
In verità non mi piace granché divagare. E forse nemmeno la gente che divaga. Ma quelli che si fanno domande inutili li adoro. Quelli che si fanno rubare il tempo dai muri di una stanza, che sprecano la loro vita a fissare un soffitto. Che riempiono di valore una sigaretta. Quelli mi fanno impazzire. Quella manica di disperati che la società non sa distinguere, i disgraziati che non sanno come si dorme o che si lanciano dai ponti con un sasso legato al collo e poi stracciano la corda e tornano su solo per il piacere di rigettarsi. O le persone che si incrociano per la strada mentre parlano con l'aria, molto prese da quel che dicono. Vorrei sapere come fanno. Quali sono i gangli che regolano i loro pensieri. Trovo la loro necessità di pensare a qualcosa di importante e non riuscire mai a trovarla, con la conseguenza di divagare all'infinito, estremamente interessante. Per questo ho voglia di raccontare una storia che non va da nessuna parte, su un uomo che non sapeva dove andare a parare, immerso in pensieri che lasciano il tempo che trovano. Quella che fu l'ultima notte di Jerico.
A un uomo ci vogliono mediamente sette minuti per addormentarsi. Dopo essersi coricato ed aver spento la luce, Jerico iniziava a contare. Tutte le sere. Ritenendosi enormemente fuori dalla media, ne contava quaranta di minuti, secondo per secondo, duemilaquattrocento numeri ripetuti nella testa a tempo di lancetta. Finiti quelli, senza batter ciglio, si alzava e si accendeva una sigaretta, ingannando il buio in attesa dell'alba.
Quella particolare notte ne contò sessantadue di minuti, perché a un certo punto si era distratto e aveva dovuto ricominciare da capo.
È una cosa piuttosto inutile. Anzi, peggio che inutile. Contare i minuti può essere addirittura controproducente per chi vuole prendere sonno e sa di non potercela fare. Ma Jerico non nutriva speranze in quel senso, per lui contare fino a duemilaquattrocento era solo un alibi per la coscienza. Un modo per poi poter dire: "Bhe, io ci ho provato."
Si era distratto pensando a lei. E anche dopo essersi acceso la sigaretta si ritrovò a pensare alla stessa cosa. A lei. Ultimamente gli capitava troppo spesso. Così come troppo spesso gli succedeva di non dormire per notti intere. E troppo spesso si ubriacava fino a stordirsi. Troppo spesso finiva le sigarette. Troppo spesso aveva voglia di piangere. O di urlare. E un sacco di altre cose meno innocue. Davvero troppi troppo spesso.
Mise su un po' di musica ma la spense quasi subito. Era stanco e voleva rimanere a letto, anche senza dormire. C'è chi sostiene che sia comunque riposante, anche se solo in minima parte. Così come c'è chi dice che non serve proprio a niente e che se non hai sonno tanto vale renderti attivo. Ci sono argomenti che non sono ancora giunti a una conclusione unica, alla verità. Quindi una volta dai retta ad un parere, una volta all'altro. Quella notte diede retta ad un parere e tornò a letto.
Pensava ancora a lei e guardava il soffitto. Voleva chiamarla ma era notte. E poi non sarebbe proprio stato il caso. Voleva anche ridipingere il soffitto. Ormai era giallo. Così chiese al soffitto cosa avrebbe potuto dirle. Niente. Tentò con più persuasione. Il soffitto non suggerì nulla. E sì che a volte ne sa... Certe notti dà dei consigli della madonna. C'erano stati giorni in cui si era ritrovato a leggere su quella vernice tutta una serie di frasi utili, di parole mai pronunciate e bellissime. Efficaci. Meravigliose. Solo che allora non aveva nessuno a cui raccontarle. E ora che ne aveva l'assoluta necessità...
Si chiese: "I grandi uomini del passato non davano importanza alle dimensioni o davvero ce l'avevano tutti piccolo come le statue e i dipinti che li rappresentano?"
Jerico si tirò su di nuovo, mise su un altro disco e restò in ascolto. Cercava nelle parole di qualcun altro qualcosa da fare suo. Ne trovò parecchie di cose. Ma nessun concetto si adattava mai perfettamente.
Si accese un'altra sigaretta. La seconda. Si versò un bicchiere di liquore alla liquirizia. Il primo.
Pensò: "Mica devo scriverle niente di che. Le scrivo solo -Vediamoci. Ti va?- Ecco. -Vediamoci. Ti va?- Mica male."
Si accese un'altra sigaretta. La terza. Un altro bicchiere alla liquirizia. Il secondo.
Aveva il vizio del fumo e non gli comportava problemi o rompicapi.
Aveva il vizio dell'alcool e qualche problemino comportava.
Aveva il vizio del sesso e lì erano rompicapi mica da ridere.
Aveva un sacco di altri vizi, ma di dannosi e diagnosticabili non gliene venivano in mente altri. I test a cui si era sottoposto per ognuno dei tre avevano dato risultati preoccupanti. O strabilianti. A seconda del punto di vista. Si chiese se chi ideava quella serie di domande e ne delineava i risultati fosse egli stesso un dipendente. O un ex-dipendente. O solo estremamente competente ma in via teorica.
Si chiese: "Mi uccido?"
La notte brillava di niente e spegneva le cose. Pensò che la notte fosse un gran rottura di scatole. Pensò che il bisogno di dormire fosse un malanno. Pensò che il corpo umano era una macchina perfetta per essere dipendenti da una serie di cose che non necessariamente si ama fare. Pensò che le scarpe fossero un oggetto troppo macchinoso per il loro reale utilizzo. E troppo usurabile, anche.
Si chiese: "Il Brasile nella seconda guerra mondiale da che parte è che stava?"
Una sigaretta si accese. La quarta. Un bicchiere di whisky. Il primo.
Era stato un bevitore alfa nell'adolescenza. A breve era entrato nei bevitori gamma. Ora non avrebbe saputo dire se poteva considerarsi un bevitore delta. Si chiese se smettendo di bere avrebbe avuto delle crisi di astinenza. Si chiese se il professor Jellinek avrebbe saputo rispondergli. Il CAGE test non poteva farlo.
Si chiese: "Quand'è che mi scade la revisione?"
L'alba tardava ad arrivare, come sempre. Forse un po' più di sempre, visto che non aveva ancora sentito gli uccellini cantare. Gli uccellini cominciano a cantare un bel po' prima dell'effettivo arrivo della luce. Si chiese se gli uccellini avessero un senso del tempo straordinario.
L'alba avrebbe portato il dovere di andare a lavorare e la pace di domandarsi solo cose di reale utilità. Scaldo la macchina? Latte o caffè? Senti, puoi tenermi un attimo d'occhio la distillazione che vado a pisciare? Ti va una sigaretta?
Si accese una sigaretta. La nona. Si versò un bicchiere di amaro alle erbe. Il terzo.
Col sesso non si era preoccupato più che tanto. Poi il medico gli aveva sottoposto il SAST e si era mostrato preoccupato dei risultati. Jerico no. "Chi se ne frega?" Gli aveva detto. "Io." "Bhe, io no." "Fai male. È una dipendenza come tutte le altre. Pericolosa come tutte le altre." "Ma fa bene." "Fa bene avere un buon rapporto col sesso." "Io ho un buon rapporto col sesso." "Tu hai un rapporto morboso col sesso." "Fa bene." "No, non fa bene per niente! Chiediti perché non riesci a starne senza." "Perché fa bene." "E quando ti astieni per qualche tempo dall'avere rapporti, come stai?" "Bene." "Eh?!" "Faccio tutto molto bene." Poi se n'era andato.
Si chiese se il Dottor Carnes, l'ideatore del test, fosse stato sessodipendente. Si chiese se soppesasse le sue scopate. Nella quantità e nella qualità. Si chiese se gli piacesse l'anilingus.
Si chiese: "La chiamo e la sveglio?"
Gli uccellini non arrivavano. E nemmeno la luce. Tutto sommato anche il lavoro era lontano. Rifece il letto e si premurò di non guardare che ore fossero. Sapere quanto del tuo riposo ti stai perdendo fa sentire stanchi. Fa venire l'ansia. La rabbia. L'ira.
La dipendenza dal tabacco non aveva un test prioritario. Ce n'erano diversi e tutti abbastanza stupidi. Le sigarette non lo preoccupavano mai. Un giorno aveva letto un racconto su un tizio che butta le cose in un pozzo, e una frase diceva pressapoco: "Lì, cadde. Dove la sigaretta canta." Gli era piaciuta moltissimo quella frase. Si chiese se davvero i Maya fossero stati i primi a fumare. Si chiese dove fosse di preciso Tobago, Caraibi? Si chiese se Rodrigo de Jerez nei suoi sette anni di prigionia avesse sentito disgusto o amore nei confronti del fumo.
Si accese una sigaretta. La trentaduesima. Si stappò una lattina di birra. La settima.
Si chiese: "Ungaretti è sopravvalutato o è al di fuori della mia comprensione?"
Si chiese: "La macchina da scrivere in verità era inutile per chi possedeva una calligrafia leggibile?"
Si chiese: "Quanti anni ha mia madre?"
Si chiese: "Sono ubriaco?"
Si chiese: "Il petrolio si rigenera troppo lentamente o siamo davvero così arretrati da non sapere quanto durerà? O ci pigliano per il culo?"
Si chiese: "Chi è che ha inventato la carta?"
Si chiese: "Che livello di consapevolezza hanno i ragni?"
Si accese una sigaretta. Numero trentotto. Un bel bicchiere di bianco. Solo il secondo.
Jerico prese un libro dalla libreria e lo sfogliò. Cercava una frase da dirle l'indomani mattina. La cercava a caso, saltando le pagine di venti in venti. Non trovò nulla di adeguato, ma un sacco di belle parole tutte per sé. Ci sono scrittori che ti sembra quasi di conoscerli, pensò. Ci sono scrittori che sembra sappiano tutto, sembra abbiano vissuto ogni esperienza, sembrano sempre un passo davanti a te, con le parole e con la vita. Pensò.
Accarezzò il gatto che non ricambiò.
Si chiese se davvero aveva bisogno di lei o se fosse la sua assenza a darle importanza. Si ricordò che si ama quel che non si può avere. Che si ama quel che non dura. Che tutte le cose misteriose sono interessanti e che quindi si ama chi non si conosce. Si chiese se poteva averla. Si chiese quanto sarebbe potuta durare. Si chiese se la conosceva più prima o più adesso.
Si chiese: "Quando cazzo finisce 'stanotte?!"
Era un bevitore compulsivo, che è grave. Era un bevitore gregario, che non è malaccio. Un bevitore autistico, che ha del fascino. In parte anche solipsistico, che forse è la peggiore. Ed allo stesso tempo era un bevitore reattivo e pulsionale, che è ovvio. Si chiese che cazzo gli salta in mente a chi inventa tante stronzate.
Si ricordò che se ad un alcoolizzato succede una cosa bella beve per festeggiare, se succede una cosa brutta beve per dimenticare, se non succede niente beve per far succedere qualcosa. L'aveva letto, questo. Bukowski, pensò. Un pessimo idolo.
Si accese una sigaretta. La numero? Si versò un bicchiere di Borghetti. Numero dieci.
Bevve per far arrivare l'alba. Il buio barcollò. Si sdoppiò. Brancolò in sé stesso. Ma poi rimase saldo al suo posto.
Si disse che doveva riaccendere il tempo.
La chiamò.
"Pronto?"
"Ciao."
"Ciao chi?"
"Ciao a te."
"Jerico?"
"Già."
"Ma lo sai che cazzo di ore sono?!"
"No."
"Sei impazzito?"
"Non credo."
"Sei impazzito, cazzo?"
"Credo nemmeno lui."
"Deficiente!"
"Mah..."
"Spero avrai qualcosa di importante da dirmi."
"Lo spero anch'io."
"..."
"..."
"Ebbene?"
"Non mi viene in mente nulla di importante."
"E allora perché mi hai chiamato?!"
"Per far arrivare l'alba."
"Vuoi parlare fino al mattino?"
"Voglio parlare per far andar via la notte."
"Hai bevuto?"
"Sì."
"Cristo santo! Cosa speri di ottenere?"
"Te?"
"Jerico... Ne abbiamo parlato mille volte. È finita. Devi fartene una ragione."
"Fammela."
"Cosa?"
"Una ragione."
"Non siamo fatti per stare insieme."
"Nessuno lo è."
"Non ti amo più."
"Meglio."
"Mi sono rifatta una vita. Sono fidanzata ora."
"..."
"Jerico?"
"..."
"Jerico?!"
"Secondo te verrà il giorno in cui non sapremo più dove mettere i morti perché sottoterra non c'è più spazio?"
"Ma che..."
"Gli oroscopi non dovrebbero essere illegali?"
"Jerico..."
"Ti ricordi quanti anni ha tua madre?"
"Smettila!"
"Pensi che gli aborigeni australiani fossero davvero in grado di usare la telepatia?"
"Smettila o riattacco!"
"Com'è possibile che ti piaccia di più il sapore della fragola rispetto a quello del cioccolato?"
"Guarda che attacco davvero..."
"Se le papille gustative sono tutte uguali, come cazzo è che... Cioè, allora il cervello ha un cervello?"
"Ancora una volta e..."
"Hai mai visto un ragno grande con tanti ragni piccoli che..."
Click.
Anzi, TUNK!
Si accese una sigaretta. La cinquantaseiesima. Si versò un bicchiere di vov. Il quarto.
Si chiese che dipendenza fosse mai questa. Si chiese se un giorno, quando lui fosse già morto e anche i figli dei suoi figli, la medicina avrebbe trovato dei rimedi efficaci e permanenti per mali come questo. Dipendenza dagli esseri viventi. Dipendenza da un particolare essere vivente. Che non si può comprare né dal tabaccaio né al supermercato. Una dipendenza che anche nelle rare volte che ti addormenti s'intrufola nei tuoi sogni. S'intrufola nell'autoerotismo. Nei pacchetti di sigarette e nelle lattine di birra. S'intrufola nel libro che stai leggendo e nel film che stai guardando. Nella tua auto, che mentre la guidi e ascolti la musica ti senti sempre bello e affascinante e vorresti sempre che lei fosse lì a guardarti. Si chiese se le sarebbe piaciuto quel film. Si chiese se quel singolo passo di quell'unico libro le avrebbe fatto provare le stesse emozioni. Si chiese con cosa lei sostituisse le sigarette.
Si chiese: "La amo?"
Si chiese: "O è solo che mi manca?"
Si chiese: "Se non l'avessi conosciuta avrei mai provato questa specifica sensazione?"
Si chiese: "Ma i gatti sarebbero davvero simpatici o è solo la loro faccia che è così?"
Si chiese: "Se mi conoscesse davvero tornerebbe da me? O scapperebbe ancora più lontano?"
Si chiese: "Gli scioglilingua, mica potevano farli con un senso logico?"
Si chiese: "Ma dove cazzo ho sbagliato?"
Si chiese: "Cosa mi serve?"
Si accese una sigaretta. Impossibile da numerare. Si bevve un bicchiere di qualcosa. Il numero n.
Si stese sul letto, ma la notte, ovviamente, non lo inghiottì. La notte si sdraiò accanto a lui a guardare il soffitto, dove ora c'erano scritte un mucchio di frasi fantastiche, ma tutte sovrapposte l'una sull'altra. Illeggibili. Pensò di masturbarsi aspettando l'alba ma aveva bevuto troppo per un'erezione utile. E poi non voleva pensare a lei.
Pensò a lei.
Chiese alla notte: "Ma quando cazzo te ne vai?"
Urlò: "Devo andare a lavorare, santo dio!"
Sbraitò: "Stronza!"
Gli uccellini erano in vacanza. La notte una trappola. L'alba un desiderio. Il buio Tutto. L'amore... Quello che viene prima di Tutto.
Si disse che siamo destinati ad amare quello che fa male. Amava il tabacco che contraccambiava baciandogli i polmoni con rossetto nero. Amava i liquori che lo ripagavano con sonori pugni in testa. Amava il sesso che non meritava nessun affetto e che non riusciva a farlo concentrare su quello di cui davvero aveva bisogno. Quello che ami si prende tutto il tuo tempo lasciandoti solo ad aspettare un'alba che non viene. Quello che ami diventa presto bisogno, dipendenza, maledizione. Malattia. Anatema dei tuoi buoni propositi. Si trasforma prima o poi nell'unica cosa che non vorresti amare ma a cui non riesci a fare a meno di pensare. Quando perdi il motivo che ti ha fatto innamorare di qualcosa, perdi anche la possibilità di tornare indietro, il tuo affetto diviene senza causa, senza ragione, senza un buon motivo di esistere. Ma indissolubile.
Si chiese: "I camaleonti sono consapevoli di cambiare colore?"
Quando trovi una buona ragione per farle, le cose perdono il loro fascino. Da lì diventano prive di attrattiva. Oppure dipendenza. Dipende da quale fosse la buona ragione e da quale fosse il loro fascino.
Si accese una sigaretta. Poi un'altra. E un bicchiere d'acqua. Poi una sigaretta.
Pensò che le sigarette scaldano e logorano. Che per baciarle hai bisogno di un buon filtro. Che il piacere che ti danno fa male. Che presto diventano fumo e che tu hai bisogno di soffiarlo via dal tuo corpo. E che quel fumo per chi ti sta vicino puzza sempre. Per chi non l'ha gustato puzza un casino. Pensò che bruciano troppo in fretta, quelle buone, quelle di cui hai voglia davvero. Quelle di pessima qualità invece sembrano non finire mai. Sembrano non ardere davvero. E quelle che ti accendi per combattere la noia non hanno mai un buon sapore.
Pensò: "Fidanzata. Cristo santo."
Si chiese: "Perché mai per un aggettivo non necessariamente offensivo hanno utilizzato una parola brutta come -logorroico-?"
Si chiese: "Ma sarà vero?"
Si disse: "Non che poi m'importi così tanto, a dirla tutta."
Si chiese: "Ma quanto cazzo di tempo fa è calata la notte?"
Si appoggiò alla finestra per scrutare il cielo. Niente schiarite. Niente di niente.
Decise di dare un'occhiata all'orologio.
Accarezzò il gatto che ricambiò. Si dimenticò dell'orario. Alle solite.
Si disse che doveva fare qualcosa. Non poteva certo rimanere lì dentro ad aspettare che la luce arrivasse da sé. Doveva accelerare gli eventi. Ingraziarsi l'alba. Scovare il bagliore.
Si accese una sigaretta. Minuscolo lume.
Si versò un bicchiere che finì a terra.
Si sfiorò il pene. Morto stecchito.
Si chiese: "Hey?!"
La chiamò.
"Ma chi... Pronto?"
"Hey."
"Jerico?! Di nuovo?! Che diavolo vuoi ancora?"
"Senti, puttana maledetta, modera i toni."
"Jerico?!"
"Cristo santo! Sì! Sono io! Mi sono rotto i coglioni di essere preso per il culo?"
"Ma che..."
"Ma che un cazzo! Mi avete proprio rotto i coglioni! Tutti! Chiaro?"
"No... Di che stai parlando?"
"Di queste cazzo di sigarette! Di te..."
"Stai bene?"
"Della notte..."
"La notte?"
"La notte mi prende per il culo."
"Jerico, stai bene?"
"Che m'inghiottisse, allora. Che m'inghiottisse, perdio! Invece no... Si fa guardare, si fa imparare a memoria, si fa quasi desiderare..."
"Non riesci a dormire?"
"Ho bisogno del mattino."
"Soffri ancora d'insonnia?"
"Ho bisogno di andare a lavorare."
"Da quanto non dormi?"
"Dal crepuscolo."
"Vorrei poterti aiutare. Davvero."
"Mi ami?"
"Non... No. Non credo."
"Nemmeno io."
"Jerico..."
"Amo un sacco di cose, ma non credo di amarmi poi tanto."
"Vai a letto."
"Non riesco."
"Provaci."
"Posso farti una domanda?"
"Certo."
"L'alternarsi della notte e del giorno, credi sia necessariamente un ciclo?"
"Certo."
"Però tu di notte dormi. Perché?"
"Perché ne ho bisogno. Se no al mattino sto male."
"Già. Pensi che la notte possa essere per sempre?"
"No. Smettila di..."
"Voglio dormire."
"Vai a letto."
"Voglio che questa notte finisca."
"Hai bisogno di..."
"Sai di cosa ho bisogno?"
"..."
"Ho bisogno di una grattata al cervelletto. Ho bisogno che tu mi accarezzi la nuca."
"Jerico... Ti ho già detto che è finita."
"Non c'era mai riuscito nessuno, sai?"
"A fare cosa?"
"Le sigarette. Le sbronze. Il gatto. La mamma. Le donne. Non c'era mai riuscito nessuno."
"A fare cosa?"
"A farmi addormentare toccandomi. A farmi chiudere gli occhi al buio senza una buona ragione. Solo con le dita."
"Domani mattina."
"Credi ci sia un interruttore termodinamico dietro la testa che scatta solo a determinate pressioni della dita e a una specifica intensità di calore? Una cosa che spenga la notte e allerta l'alba?"
"Domani mattina passo da te prima del lavoro. Te lo prometto. Ora dormi."
"Potrebbe essere notte per sempre."
"Non è mai notte per sempre."
"Aspetto gli uccellini?"
"Come?"
"Aspetto la luce?"
"Sì. Se proprio non ti riesce di dormire aspetta pure che sia giorno. Passo da te appena sveglia."
"Grazie."
"Figurati. Buonanotte."
"Mica tanto."
"Cosa?"
"Buonanotte."
"Su, dai."
"Ti aspetto."
"Certo."
Click.
Jerico si accese una sigaretta e gettò via il bicchiere, deciso ad attendere l'alba.
Pensò che se il mattino non fosse arrivato in fretta sarebbe morto di tumore ai polmoni. Pensò di scendere a cercare gli uccellini e minacciarli di morte finché non avessero cominciato a cantare. Pensò di ucciderli uno ad uno per intimidirli. Perché quando cominciano a cantare loro, significa che la notte sta per finire. Celebrano la luce, lo sanno tutti, lo sanno tutti quelli che almeno per una volta sono rimasti in silenzio in attesa del loro arrivo. Pensò di andare a cercarli per spaccargli il culo, ma poi non aveva voglia di vestirsi e di mettersi le scarpe, così rimase a cercarli dalla finestra, solo con lo sguardo.
Si disse che la parola cinguettare è proprio bella. Forse anche più del suono che rappresenta.
Si ripeté che l'alba sarebbe arrivata senz'altro. Perché è un ciclo. Giorno. Notte. Giorno. Notte. Un benedetto ciclo. Non c'è buio che sia per sempre e non c'è luce che non si sciolga nel buio. C'è solo da scegliere quando e se dormire. Se dormirli.
Si chiese: "Domani mattina lo bevo al bar o al lavoro il caffè?"
Si chiese: "Devo passare a comprare le sigarette?"
Si disse: "Benzina dovrei averne ancora."
Si chiese: "La morte sarà come prima della vita?"
Si chiese: "L'ipnosi non dovrebbe essere vietata dalla costituzione?"
Rimase alla finestra a lungo. Molto a lungo. Rimase alla finestra e il mondo continuò a girare su sé stesso e intorno al sole. Con migliaia di vite che brulicavano sulla sua superficie, dormendo e svegliandosi, lavorando e scopando, amando ed odiando. Le leggi dell'universo non mutarono per tutto quel tempo, i cicli della natura rimasero invariati.
Jerico restò a scrutare il cielo per sempre, accendendosi una sigaretta dopo l'altra, fiducioso dell'arrivo del mattino. Continuò a chiedersi un sacco di cose, a saltare di palla in frasca per non scoprire le risposte. A divagare. Perché se non lo avesse fatto, se non avesse continuato a porsi domande e a far finta di cercare risposte, si sarebbe presto accorto che non sarebbe arrivata nessuna alba. Che quella notte sarebbe durata per sempre. Che gli uccellini erano migrati. Ci sono verità che non si vogliono sapere. Argomenti che è meglio lasciare a metà. Consapevolezze che possono annientarci. Allora forse è meglio scrutare nel buio e magari trarne qualche beneficio. Forse è meglio continuare a divagare. Imprecare al fato. Come chi fuma e crede di poter smettere. Come chi beve e dice di farlo per divertimento. Chi è indemoniato dal sesso e dà la colpa agli ormoni o alla primavera. Come chi ama nella direzione sbagliata e lo sa bene.
Ma divaghiamo che è meglio.
Si accese un'altra sigaretta e sorrise alle tenebre.
Si chiese: "Ma tutte le ore che uno passa a non dormire, incidono di più sul deterioramento del corpo che se le avessimo passate nel mondo dei sogni?"
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