Marianella Garcia Villas e Oscar Arnulfo Romero erano entrambi salvadoregni ed entrambi "convertiti". Marianella, che era di famiglia benestante borghese, scelse di stare dalla parte dei poveri. Avvocato e presidente della Commissione dei diritti umani in Salvador usava, come strumento della sua resistenza alla dittatura di destra, la sua macchina fotografica con la quale fissava le immagini degli assassinati dal regime, lasciati sul ciglio delle strade.
I crimini che la dittatura voleva occultare venivano così documentati. Marianella non si riteneva e non si atteggiava ad eroina; era una ragazza normale che amava i profumi ma che chiudeva il termosifone della sua stanza per non avere il privilegio del tepore che ad altri mancava. La sua particolare resistenza nonviolenta la collocò subito nel mirino della dittatura. Una notte fu brutalmente torturata e violentata. Andò subito a cercare conforto dal suo Arcivescovo Romero. Era sconvolta e reclamava vendetta. Chiese all'Arcivescovo una pistola! Quando Marianella venne in Italia per suscitare l'attenzione dell'Europa alla tragedia salvadoregna, raccontò che quella notte, mentre lei era indurita e impietrita, l'Arcivescovo piangeva, piangeva, come un bambino: si rendeva conto di quanto la ragazza fosse stata traumatizzata per ridursi in quello stato. La sollecitò affettuosamente a paci- ficarsi, a perdonare, e la pregò di tornare da lui. Marianella tornò più volte e si rafforzò la collaborazione con Romero che, certo, sollecitandola al perdono, non intendeva che ci si dovesse rassegnare alla dittatura. Romero era arrivato a S: Salvador con un bagaglio teologico tradizionalista, conformista, di supina obbedienza alla gerarchia della chiesa cattolica. Il popolo salvadoregno operò la sua "conversione". Di fronte alle sofferenze del suo gregge Romero fece la stessa scelta di Marianella, scelta che espresse con queste parole: "E se denuncio e condanno l'ingiustizia è perché ciò è il mio dovere come pastore di un popolo umiliato e oppresso". Le sue omelie domenicali erano atti di accusa alla dittatura. Dal pulpito si rivolgeva ai soldati incitandoli alla disobbedienza, a non sparare ai fratelli, a disertare. Il 24 marzo 1980 fu raggiunto da una pallottola mentre celebrava la Messa in una cappella di suore. La televisione ci pose davanti agli occhi l'immagine dell'Arcivescovo che cadeva ai piedi dell'altare, la pianeta bianca macchiata del rosso sangue dei martiri. Marianella si riprese dal trauma di quella notte e continuò la sua battaglia per i diritti umani. Batteva le campagne per sensibilizzare i contadini dei quali diventò compagna e punto di riferimento. La repressione diventava sempre più feroce. Bastava che i poliziotti trovasero la Bibbia in casa di un contadino perché questo fosse arrestato, torturato, ucciso. All'alba Marianella trovava sempre più cadaveri sui cigli delle strade. E fotografava, stampava e conservava le foto non solo per documentare i massacri ma anche perché i parenti delle vittime potessero conoscere il luogo dove era stato ucciso e in seguito sepolto il loro caro. Come avvocato Marianella difendeva gli imputati di sovversione e questo le procurò un forte conflitto con il partito della D. C. al quale era iscritta e che, con Duarte, si era trasformato in dittatura. Ne fu espulsa. Coerente con la sua scelta Marianella continuò la sua battaglia che, il giorno precedente la sua uccisione, la portò in un luogo che Marianella sapeva essere altamente rischioso. Vi andò ugualmente. La mattina seguente era lei a giacere sul ciglio di una strada. Era il 13 marzo 1983. Raniero La Valle e Linda Bimbi, sulla base dei racconti fatti da Marianella, hanno scritto un libro intitolato "Marianella e i suoi fratelli". In fase di preparazione doveva intitolarsi: "Antigone e i suoi fratelli" ma, avvertono gli Autori: "Non c'è bisogno di scomodare la letteratura. Non c'è più bisogno del mito. La realtà è più forte del simbolo. Antigone è lei. È ormai col suo nome, con la sua vera storia, che Marianella, sorella dei morti e antagonista del tiranno, si introduce, come esempio e come speranza, nella memoria storica del nostro tempo". Una bellissima biografia di Oscar Arnulfo Romero è quella di Ettore Masina: "L'Arcivescovo deve morire".