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Il feto
Dato il bacio della buonanotte i genitori uscirono, e Manfred rimase solo in casa, come molte altre volte. Quando sentì il rumore dell’auto che si allontanava, scese dal letto e si diresse in camera dei genitori, per guardare la tv. Per un ragazzino di undici anni era decisamente troppo presto per andare a letto: i suoi amici andavano a letto alle undici! Accese la tv e girò tutti i canali cercando qualcosa di interessante.
Ogni tanto tendeva l’orecchio per accertarsi di non sentire i passi dei genitori che salivano le scale e quindi evitare di essere scoperto dai genitori, ma di solito non tornavano prima di mezzanotte, quindi poteva stare tranquillo.
Come al solito, nel momento cruciale della scena, arrivava la pubblicità; Manfred pensò quindi che fosse il caso di approfittarne per andare in bagno. Per cui scese dal letto dei genitori e si diresse verso il bagno.
Mentre tirava lo sciacquone e usciva (naturalmente senza lavarsi le mani) sbadigliò profondamente, chiudendo gli occhi e spalancando la bocca, senza possibilità di impedirlo. “È la stanchezza della giornata, non certo sonno” pensò mentre riapriva gli occhi ed entrava di nuovo nella camera dei genitori. Ma il suo pensiero venne troncato di netto perché qualcos’altro aveva attirato la sua attenzione: la moquette era bagnata, per non dire completamente inzuppata. D’istinto si allontanò dalla zona bagnata e fece due passi indietro. La moquette era impregnata di qualcosa di viscido. La luce che emanava la tv gli permetteva di scorgere i bordi della macchia… Ma non solo. Scorse qualcos’altro per terra che prima non c’era. Una specie di corda lucida, attorcigliata in un punto; da un capo finiva sotto il letto, e dall’altro terminava… con un bambino. Un piccolissimo bambino bianco e lucido, rannicchiato e immobile.
« N… Non può essere… Sto sognando…» sussurrò Manfred, immobilizzato dal terrore. Voleva chiudere gli occhi, per non vedere quel bambino che non poteva essere certo normale: era troppo piccolo.
Poi riuscì a raccogliere un briciolo di coraggio e scappò in camera sua. Si rannicchiò sotto le coperte e iniziò ad ansimare. Teneva gli occhi chiusi, ma vedeva lo stesso quel bambino… Così piccolo… Quasi deforme… Una cosa era certa: non avrebbe mai più cancellato quell’ immagine dalla sua mente. Ai suoi occhi era apparso come un mostro; non poteva sapere che in realtà prima di nascere i bambini hanno quell’aspetto. Il terrore lo attanagliava sempre di più. Un terrore sempre crescente, che gli faceva scendere rivoli di sudore freddo dalla fronte e gli affannava il respiro. Quella testa e quegli occhi sproporzionati, chiusi e lividi; quelle manine e quei piedini minuscoli, che terminavano arti altrettanto minuti... Poi il cordone ombelicale, che si protraeva fin sotto al letto… Forse il mostro che aveva partorito quell’essere era ancora lì. Decise allora di rimanere assolutamente immobile fino all’arrivo dei suoi genitori.
Passarono solo dieci minuti, ma a Manfred sembrarono ore. Non avrebbe mai resistito fino all’arrivo di mamma e papà. Iniziò allora a considerare l’idea di uscire da sotto le coperte e controllare in casa se c’era qualcos’altro di strano: sicuramente avrebbe avuto una paura incredibile uscendo dalla sua stanza, però era pur sempre meglio che stare immobili per ore. “Tanto se c’è qualcosa sa già che ci sono anche io… E se vuole farmi del male può farlo anche se sto qui…” pensò.
Uscì lentamente dalla sua camera e si diresse in quella dei genitori; si fermò nell’uscio, senza guardare il bimbo deforme. Prima avrebbe fatto il giro della casa, per essere sicuro che “la cosa” non fosse uscita dalla stanza. Accese tutte le luci al suo passaggio, e quando arrivò in cucina prese un coltello, il più grande che trovò. Tornò verso la camera e si fermò nuovamente all’uscio.
« E va bene...» sussurrò; poi deglutì, chiuse gli occhi e appoggiò un piede sulla moquette bagnata da quella sostanza viscida. Si inginocchiò davanti al letto, facendo attenzione a non guardare il bimbo.
Abbassò la testa, alzò le coperte, e guardò sotto al letto…
Non c’era nulla.
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