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Vivere nell’ombra
C’era una volta,
alle pendici di un alto monte, una paludosa valle, lugubre e sconosciuta ai raggi solari, e nonostante, persino durante l’estate, la luce del giorno non riuscisse a penetrare tra la fitta vegetazione di quel pendio, pareva fosse un luogo allegro, dove la solarità si accendeva sui volti di tutti, sebbene avvolta da una densa foschia nerastra.
Sulla vetta più alta della montagna c’era un castello settecentesco, custodito da migliaia di incantesimi ed indovinelli, che solo il consigliere più fidato del re conosceva perfettamente a memoria; si trattava appunto della residenza reale, dove vivevano il re Giacomo, la regina Elisabetta, ed i loro tre adorati figli: Anita, Carlo ed il minore Filippo.
Anche se era un luogo freddo e buio, la valle, che prendeva il nome di Giacomia, dal suo fidato re, avvolgeva i suoi abitanti di un’innata gioia, posseduta esclusivamente da quel paese.
L’unico problema che affliggeva i giacomiesi era il non poter esportare i loro prodotti, per poi importarne altri, poiché venivano definiti dai paesi vicini gente sudicia e malvagia, data la mancanza della luce e della vita nella loro cittadina.
Inoltre gli abitanti della valle vivevano di stenti, a causa della sterilità dei loro terreni, e man mano che passavano gli anni la popolazione diminuiva sempre più o si avventurava nei luoghi più ignoti all’occhio umano per cercare, anche in capo al mondo, la salvezza.
Tuttavia, a quanto si diceva tra il popolo, nessun uomo partito verso Nord s’era mai stabilizzato in una fissa dimora, il più delle volte era ritornato a Giacomia, cacciato via violentemente da tutto e da tutti.
Era una splendida giornata primaverile, le candide margherite si accingevano a sbocciare per il giardino reale, mentre le fatate rose erano già pronte a germogliare con i loro magnifici petali rossi, quando Filippo, il principino più ribelle che si fosse mai visto nel regno di Giacomia, decise con convinzione di rubare il bianco cavallo alato dalla stalla d’oro di suo padre e di volare lontano verso nuovi orizzonti, per assicurare al suo popolo tutto il bene che meritava.
Filippo non aveva mai volato su Pegasus, il magico cavallo parlante, ma per essere la sua prima volta dobbiamo dire che non se la cavò male, anzi percorse i cieli più inquieti con una destrezza formidabile.
La sua meta era ormai vicina ed era perciò arrivato il momento di ritornare con i piedi in terra ed affrontare la realtà così come si presentava ai suoi occhi. Tutti avevano sempre saputo che Filippo era un ragazzo forte e virile, ma nessuno poteva immaginare che il suo coraggio arrivasse a tal punto.
Per puro caso, Pegasus pose piede proprio nella città più importante del regno di Giannovia, al confine con l’oscura valle, un luogo fiorito e verdeggiante, rivestito da un manto di farfalle colorate che svolazzavano felici per i verdi prati. Ma per la fiorente natura non erano solo farfalle a volare, Filippo infatti scorse tra i bei fiori, la sagoma lucente di una giovane donna, dai lunghi capelli color oro e dagli occhi azzurri, come il mare in tempesta.
Il cuore del principino si frantumò in mille pezzi, mentre l’ironico cavallo alato si divertiva a deridere ed a prendere in giro il suo padrone, ormai divenuto rosso per l’emozione.
Si accinsero a varcare le mura del castello quando una forza magnetica attirò Filippo e Pegasus verso l’esterno della cittadina, facendoli cimentare in un salto di un centinaio di metri.
Ma il principe non si poteva di certo arrendere di punto in bianco, dopo tutte quelle fatiche, non poteva lasciarsi andare, raccolse così tutte le energie che possedeva e, con l’aiuto del suo fidato animale, riuscì, grazie ad una magica filastrocca, ad annientare l’incantesimo che proteggeva la residenza monarchica.
Purtroppo però, gli ostacoli non terminarono, le imprese del principe sembravano essere continuamente intralciate: l’accoglienza, difatti, nei loro confronti non fu molto gradevole e cortese.
Un esercito di orchi e mostri squamosi dai volti orripilanti e malformati si avvicinò loro con fare minaccioso, pronti a sferrare un attacco mortale alla prima loro mossa falsa, i due amici si lanciarono vicendevolmente uno sguardo fulmineo e deciso, i due s’intesero a vicenda.
Bastava loro solo incrociare gli sguardi per intendersi alla perfezione e sferrare a quei mostri un attacco mortale, grazie alla velocità del cavallo ed alla tagliente spada di Filippo che, in un sol colpo, atterrò tutti quei mostri viventi.
Ora non c’era più tempo da perdere: i giacomiesi morivano di fame e malattia giorno dopo giorno, ora dopo ora ed il destino di tutti loro era nelle mani di una sola persona.
Purtroppo in quel mondo si era costretti a morire perché esclusi dall’umanità, come figure invisibili all’occhio umano, anche se presenti nei più comuni luoghi; ogni razza credeva di essere superiore ad un’altra, solo il regno di Giacomia pareva volesse stringere un’alleanza con gli altri popoli, ma ogni sorta di tentativo di pacificazione veniva frainteso ed evitato in malo modo.
Tuttavia, come in ogni fiaba, quest’avventura non può certo concludersi con un finale in sospeso che potrebbe deludere voi lettori, ed è per questo che non si può certo trascurare il punto più gratificante di una fiaba: “E vissero tutti felici e contenti!”
Filippo e Pegasus, difatti, riuscirono a liberare la famiglia reale di Giannovia da una brutta maledizione a cui era stata sottoposta, a causa di una malvagia strega dell’est.
Bastò pronunciare pochi versi di una ben nota filastrocca per riportare la pace in ambedue i reami che allora rendevano il regno diviso in due principati contrapposti: la stirpe giacomiese e quella giannoviese.
Filippo, inoltre, non poté assolutamente frenare i sentimenti che provava nei confronti della bella principessa di Giannovia, di cui s’era innamorato a prima vista, ed alla quale chiese la mano pochi giorni dopo quell’estenuante avventura.
Fu così che i giacomiesi poterono unirsi pacificamente ai fidati giannoviesi, oramai liberati dalla maledizione sotto la quale erano stati schiavi per migliaia di anni, poterono così coltivare i loro campi, sposare le loro donne, importare i loro prodotti, ma soprattutto poterono ammirare per la prima volta l’indescrivibile bellezza della luce del Sole. Ed è così che termina la fiaba più bella del mondo, un’avventura che parla di coraggio e di lotta alle differenze sociali tra un popolo ed un altro, sperando così che tutti voi ne afferriate il messaggio, collaborando a costruire una società dove tutti possano essere felici e contenti.
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