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Lungo il Viale delle Sirene

Mentre scriveva il suo “Il Veccchio e il mare”, Hernest
s’incantava: guardando le onde e sorseggiando un mojito.


Non era la prima volta che la vidi lungo il Viale delle Sirene: seduta da sola, s’una delle panchine di marmo, proprio come me; immersa, come me, nei pensieri e nelle fantasticherie suggeriti dal mare e dalla città. Il fragoroso Tirreno si stendeva dinanzi a noi rumoreggiando sugli scogli; su d’esso, si fissava lo sguardo d’entrambi. Quella figura di donna attrasse la mia attenzione e la distolse dalla consueta, lunga e isolata contemplazione delle onde e delle quiete architetture che si affacciano sul mare; purtroppo, riuscii a fissare il mio sguardo sul suo solo per brevissimi istanti. Il suo volto, in parte celato dai capelli, mi sfuggiva; i bassi raggi del sole disturbavano la mia vista. Ad un certo punto si alzò, fece due passi e s’appoggiò sulla ringhiera prospiciente il mare. Era una ragazza di piccola statura. Stimai avesse poco più di vent’anni. Aveva lunghi e ondulati capelli bruni che il vento agitava e gonfiava. Anche il leggero vestitino chiaro era gonfiato e strapazzato dal vento. Lo stesso vento sibilava forte nelle mie orecchie, agitando tutto il mio essere. A parte me e lei, l’oblungo piazzale era deserto, come lo era spesso – quasi ogni giorno – in quelle ore ottobrine. Ero solito giungere in questo romantico angolo di Trapani, al termine delle mie lunghe e quotidiane passeggiate per la città, durante le ore di libera uscita. “Volontario in ferma annuale” dell’esercito, bersagliere del XII reggimento, di stanza a Trapani presso la Caserma Giannettino, odiavo l’ambiente militare e l’amor di patria, e sfuggivo, non appena possibile, l’ipocrita aria di quella periferica caserma, rintanandomi nella mia solitudine e nei miei pensieri di vagabondo con gli occhi rivolti in su. In quei mesi, avevo perlustrato in lungo e largo quella piccola perla barocca dell’estremo occidente siculo. Quella città – un’allungata e stretta penisola sul mare ordita da un fitto reticolato di strette strade – mi affascinava parecchio: con le sue chiese, i suoi monumenti, i suoi splendidi e romantici lungomari e i suoi angoli angusti e raccolti. Era una città mediamente meno chiassosa degli altri capoluoghi siciliani, più malinconica, a volte noiosa e quasi addormentata. I miei colleghi militari si lamentavano molto della città, dicevano che non c’era nulla da fare, che era un mortorio. Il grosso delle truppe svoltava le proprie libere uscite nella squallida taverna sita di fronte la caserma, o nell’unta pizzeria “del Soldato”, o in uno dei numerosi postriboli di “Casa Santa”: la zona orientale della città dove si trovava la grande caserma. Per me era diverso, io non cercavo agitazione e frenesie, cercavo calma, la mia calma: e quella città sorniona era lo specchio di quella mia inclinazione.  

Ritornai spesso in quella lunga terrazza sul mare che è il Viale delle Sirene; tre giorni dopo il precedente incontro la rividi: la ritrovai seduta sulla stessa panchina. Teneva un quaderno sulle gambe, sul quale scriveva freneticamente. Ad un certo punto interruppe la scrittura e sollevò lo sguardo; mi notò e regalò un lungo sorriso che mi strinse il cuore.  Mi concentrai sul mare, sulle severe mura spagnole, sulle case, sul profilo squadrato della Torre di Ligny; ero turbato: quello sguardo mi aveva toccato nel profondo. Credo di non aver mai visto degli occhi esprimere tanta dolcezza e tanta profondità d’intelligenza, mi sentii stregato da pulsioni che stimai adolescenziali. Ero titubante, volevo alzarmi, raggiungerla, rivolgerle la parola, ma non trovavo il coraggio. Dopo alcuni minuti, fu lei ad alzarsi, a raggiungermi, a rivolgermi la parola: «Ciao, anima solitaria! Che fai, che pensi, cosa ti rattrista?» Inizialmente rimasi di sasso, spiazzato, intontito; dopo qualche istante riuscii però a trovare una certa compostezza e risposi: «beh, potrei rivolgerti la stessa domanda: che fai, che pensi, oh anima solitaria?». Ella sorrise, incantandomi ancora; poi riprese:«Io oggi scrivo, ascolto il mare e trascrivo quello che mi dice. Altre volte sogno, sogno il mare e osservo quello che mi mostra». 

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11 commenti:

  • Giovanni Ibello il 07/10/2009 03:41
    eh già...
  • Aldo Occhipinti il 22/08/2008 13:37
    ma condurla per mano nel mio sogno... bhe, non credo sia il caso se tengo cara la pelle
  • Aldo Occhipinti il 22/08/2008 13:36
    cmq, si ha a che vedere con la "sirena", anzi la "musa" qui presente...
  • Aldo Occhipinti il 22/08/2008 13:35
    Versante di Prosapoesia; Aldo gradirei davvero molto un tuo commento per il mio "Stato di Grazia" - inoltre; ti chiedo un opinione: secondo te, i nostri testi rischiano stando qui? io sono stato - fin adesso - molto geloso e protettivo con essi... ma la necessità-bisogno di farmi leggere e l'eleganza e la qualità di questo sito e di questa community, alla fine hanno avuto la meglio... anche se, le cose a cui tengo di più stanno nel cassetto in attesa di invio verso lidi editoriali più ambiziosi!
  • Aldo Occhipinti il 22/08/2008 12:43
    grazie Aldo per il commento articolato e gratificante. Purtroppo mantenere il livello espressivo su toni ti ispirazione poetica rischia di rendere troppo poco narrativo l'ordito di un racconto. Grazie, di cuore a te, alla tua trapani e sopratutto a chi ha ispirato questo sogno notturno d'agosto Ciaoz
  • Aldo Occhipinti il 21/08/2008 15:57
    Confessato al mio amore la verità che sta dietro l'ispirazione di questo racconto. Mi sento liberato da un peso

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