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Prego Dio
La pasta è quasi cotta, l’ultima girata gliel’ho data mentre Ciro mi tira i capelli sulla nuca.
Ho paura a stare vicino alla cucina con Ciro in braccio, perché quella creatura è veramente agitata e ci vuole un niente che mi finisce sul fuoco.
Non come Rocco, Roccuzzo mio come mi piaceva chiamarlo.
Rocco si faceva certe dormite in braccio a me. Pure la polenta sono riuscita a fare, tre quarti d’ora a girare il mestolo di continuo, che se si forma un solo grumo chi lo deve sentire a mio marito Michele.
Ciro invece si muove sempre, ogni tanto si incapriccia e butta la testa all’indietro, e io devo tenerlo stretto se no va per terra.
Pasqualino sta seduto a tavola a fare i compiti, si prende un angolo del tavolo già apparecchiato e sposta il piatto e la tovaglia per farci stare il quaderno. Ma quando sente il campanello fa sparire tutto in fretta, prima che suo padre entri in casa.
Michele lavora all’acciaieria, fa i turni in fonderia e si stanca tanto. Di più quando fa la notte, e fa’ quasi sempre la notte perché così lo pagano di più.
Anch’io lavoro, ormai sono dieci anni che faccio la bidella alla scuola materna comunale.
Mi piace lavorare, perché mi svago e non è pesante. Le maestre mi vogliono bene, e anche i bambini mi cercano sempre.
Il lavoro pesante comincia quando torno a casa. Esco all’una e mezza, e se Michele ha fatto il primo, devo correre. Lui rientra alle due meno un quarto, e deve trovare il piatto pronto altrimenti sono guai, si arrabbia che è meglio non provarci.
Quando ha finito di mangiare si butta sul letto, perché è stanco e due orette se le deve fare.
Nel frattempo, dopo che ho lavato i piatti e messo a cuocere qualcosa per la sera, pulisco la casa e lavo per terra. I letti li faccio la mattina, mentre i bambini fanno colazione con le sorelle più grandi.
Meno male che ci sono loro; Maria, la maggiore, ha quattordici anni; ha finito le medie e le professoresse dicevano che è davvero brava, la più brava della classe. Ma Michele non ha voluto che continuasse a studiare perché è femmina, e secondo lui non le serve a niente.
Ha pianto tanto, Maria, e ancora adesso la vedo che apre i libri di scuola dei fratelli e li sfoglia di nascosto.
Antonietta è in prima media. Anche lei a scuola è brava, ma meno di Maria. Le riescono bene i conti, le piace tanto anche la storia.
Michele ha già iniziato a reclamare che a scuola Antonietta perde solo tempo, lui vorrebbe che andasse ad imparare dalla sarta del portone accanto. Vedremo fra un paio d’anni se riusciremo a farlo ragionare.
Poi ci sono Tore e Salvo, i gemelli. Fanno la quarta elementare e sono due terremoti.
Le maestre mi ripetono che sono terribili, ma non li puniscono tanto perché prendono sempre bei voti e fanno tutti i compiti. Però in classe è una disperazione, sono i primi a combinare guai e fare confusione.
Pasqualino invece è in prima elementare, lui si impegna tanto ma fa’ fatica doppia per arrivare a prendere il minimo dei voti, e la sera finisce di fare i compiti molto tardi.
L’ultimo è Ciro, diciotto mesi appena.
Io di figli non ne volevo più, dopo che Roccuzzo mio l’ho trovato morto nel lettino volevo morire pure io.
Ma Michele non vuole saperne di pillole e porcherie varie, così sono rimasta incinta di nuovo e ho lavorato a scuola fino al settimo mese, mentre a casa fino al momento di partorire.
Me lo ricordo quel giorno, Michele è tornato a casa e non ha trovato niente in tavola, perché tutta la mattina avevo avuto male alla schiena per i primi dolori e non ero riuscita a tirarmi su dal letto.
Allora si è messo a gridare parolacce, a dire che non avevo voglia di fare niente, e ha scassato due piatti. Mi sono dovuta alzare di corsa e preparargli da mangiare, poi quando si è messo sul letto ho pulito tutta la cucina che se lascio sporco non dico cosa è capace di fare.
Alle quattro, mentre finivo di lavare il pavimento, una spada mi ha trafitto la pancia: un dolore che mi ha tolto il fiato. Ho suonato a Pina, la mia vicina, perché non sapevo che fare. Quando ha capito la situazione, mi ha fatto una carezza sulla guancia e mi ha convinto a svegliare Michele; io non voglio mai svegliarlo perché poi resta storto fino alla sera. Infatti ha bestemmiato, ma poi si è messo i pantaloni e mi ha portato all’ospedale.
Mi ha lasciata sulla porta del pronto soccorso, perché “a casa ci stanno i bambini da soli” .
Poi ho saputo che a casa non c’è andato, ma ha passato il pomeriggio al bar a giocare a carte, tanto con i piccoli c’erano Antonietta e Maria.
In reparto la suora era acerba, mi ha fatto firmare le carte e mi ha portata nel salone dove mi ha dato il letto.
A fianco a me c’era una signora che teneva un fazzoletto sugli occhi e piangeva piano piano. Come ci siamo avvicinate ha smesso, ma appena la suora se n’è andata ha ricominciato.
Quando due giorni dopo è uscita dall’ospedale: mi ha raccontato che è scivolata dalle scale e ha perso il bambino, ma la suora dice che è stato il marito con un calcio nella pancia.
Per fortuna Michele non mi ha mai picchiata, almeno non tanto. Qualche schiaffo forse lo meritavo.
Ciro è nato in fretta, i dolori sono durati solo tre ore, il dottore ha detto che essendo il settimo ormai la strada l’ha trovata pronta.
Tre ore però di dolori tremendi, ho pure gridato, tanto che la suora è venuta a dirmi di stare zitta che disturbavo. Ha pure detto: “ti è piaciuto andare a letto con tuo marito, eh? E allora non ti lamentare….” Mi ha fatto vergognare, meno male che poi mi hanno portato il bambino e ho scordato tutto.
Oggi Michele è tornato arrabbiato, io non gli chiedo mai niente perché tanto non mi risponde, ma lo capiamo da come sbatte la porta quando entra, e lancia le scarpe contro il muro. Allora cala il silenzio, e i bambini fanno attenzione anche a respirare.
Io praticamente nemmeno mi siedo per servirlo. Per fortuna Maria mi aiuta, ma sono io quella che deve dargli retta.
Michele non parla, se vuole qualcosa batte al bicchiere con la forchetta, e io scatto cercando d’indovinare di cosa ha bisogno. Sempre col piccolino in collo, che quello guai se lo metti nel seggiolone.
Con Michele la vita è dura: magari un giorno vuole i broccoli, ma se torna e sente l’odore si arrabbia. Se i soldi che mi da’ per la settimana finiscono prima del sabato sono dolori.
Certe volte penso a quando ci siamo conosciuti, sedici anni avevo e lui ventiquattro. Mi ha vista sul corso, e dopo qualche settimana ha mandato suo zio a casa mia, per parlare con mio padre.
Io ero una bella ragazza, me lo diceva sempre mia nonna mentre mi pettinava i capelli.
Mi piaceva vedere i film americani che al sabato mattina davano al cinema della parrocchia: sognavo di sposare un brav’uomo che non beve e non fuma, e nemmeno gioca a carte, ma che alla moglie regala i fiori.
Mi vedevo in una bella villetta col giardino, dove il marito quando torna a casa da’ un bacio alla moglie e prende in braccio i figli.
Allo zio di Michele mio padre ha detto subito di si, perché aveva paura che restavo zitella, e perché i genitori di Michele tenevano le terre.
A me non hanno chiesto un parere, ma mi hanno convinta che mi era capitata una fortuna.
Un anno di fidanzamento e poi ci siamo sposati. In viaggio di nozze siamo andati da una zia che ci ha lasciato la casa per andare a trovare la figlia al nord, ma non ho bei ricordi, perché Michele è sempre stato uno chiuso e taciturno, senza modi civili, abituato ad essere servito e riverito.
Mi ricordo solo che alla sera prima di andare a letto mi prendeva un male allo stomaco, ma per fortuna ci ho fatto l’abitudine.
Le terre che dovevano farci vivere tranquilli, mio suocero le ha perse tutte nel giro di tre anni, per degli affari andati male.
Così, con Maria di quattro anni, Antonietta di due e mezzo e i gemelli nella pancia, siamo andati al nord pure noi, dove la zia di Michele gli ha trovato il lavoro all’acciaieria.
Doveva essere per pochi anni, ma ormai da qui non ce ne andremo più, lo so.
Intanto, Michele è peggiorato. Il lavoro l’ha fatto diventare cattivo e aggressivo, beve e fuma come un dannato e da qualche tempo ha pure preso il vizio delle carte.
Ma non mi importa più niente, in dieci anni ho anche perso mia madre e mio padre, e i miei fratelli sono tutti lontani.
Mi interessa solo che i miei figli possano crescere in una maniera diversa dalla mia, e di questo prego Dio.
Ma in silenzio, che Michele di preti e preghiere non ne vuole sentire.
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0 recensioni:
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- Sì, così non è, Matteo, e la Sig, ra Maria Teresa, a cui Rossella ha dedicato questo stupendo racconto, lo sapeva benissimo! Purtroppo so benissimo di mariti che stanno al bar a giocare a carte, quando la moglie ha appena partorito il loro primo figlio, e che approfittano per andare a prostitute, quando la moglie è in ospedale a partorire il secondo e col terzo... non si ricorda neanche più! Realtà molto triste e purtroppo molto veritiera. Bravissima Rossella! Scrivi davvero molto bene!
- un racconto che mi ha lasciato tristezza... mi chiedo se è autobiografico, se il marito sia davvero così prepotente o se la protagonista in preda ad un periodo depressivo tenda a vedere più nero di quanto non sia e ad immaginare atteggiamenti e situazioni che non esistono ma che la mente tende a generagli, come ad esempio dal racconto sembra che da quando è sposata lei a tavola non si possa sedere a mangiare perchè deve servire il marito, e il bello è che ne è convinta, ma non posso credere che ria così, magari si sarà alzata un paio di volte a prendere due cose che mancavano dal tavolo e le è pesato come se al tavolo non si fosse mai seduta...
- Grazie Luigi, non sai quanto impari io. Il senso è non smettere mai di farlo.
ross
- Brava. Racconto molto crudo ma, temo, più reale di quanto è possibile immaginare. Sai scrivere e per questo ti leggo più che volentieri... e nel frattempo imparo... luigi
- Che tu fossi brava lo sapevo già. Un racconto di vita vera, un racconto che mi ha attanagliato lo stomaco.
Va bene, Ross... anche quest'anno ti accompagnerò alla fiera del libro... so già che ci sarà il tuo racconto. baci
tere
Anonimo il 31/08/2008 01:19
Certo che l'ho letto e mi sono detto d'accordo con i commenti che mi hanno preceduto. Ciao
- Fulvio, ma hai letto il racconto?
Anonimo il 22/08/2008 07:42
Non si può mettere una virgoletta o una parentesi che ci scappa l'emotion. Dicevo semplicemente "La sniffata"
Anonimo il 22/08/2008 07:39
Bentornata nella narrativa cara Rossella
Sono d’accordo con Etrus e Giacomo. Sono ancora tante queste storie, comunque troppe, e me ne rendo conto.
Poi c’è la cosiddetta minoranza silenziosa, soprattutto nelle province del profondo Nord dove frequente è il matriarcato. Dove la finanza, l’educazione dei figli e le vacanze le decide la moglie che di solito non va a lavorare ed ha un solo figlio, max due. Ha la “donna” (come la chiama lei femminista) che viene per i lavori più pesanti (anche stirare è pesante), vive in villetta perché il marito, non importa se direttore o cottimista, s’ammazza di lavoro per pagare “anche” il mutuo e quando torna dall’ufficio o reparto deve badare al giardino, alla manutenzione e a tutte le cosucce che “toccano” a lui. Trova la moglie incazzata perchè insoddisfatta come tutti coloro che s’annoiano e prima o poi si arriverà alla separazione. Per lei cambierà poco, lui invece finirà in un monolocale e la sera non s’occuperà più del giardino perché, fortunatamente, s’è trovato un secondo lavoretto che gli permette di pagarsi “anche” quest’altro affitto, oltre al mutuo e gli alimenti. Ma dovrà stare attento a tenerselo segreto ‘sto lavoretto sennò gli aumentano gli alimenti da pagare e torna daccapo.
Cara Rossella, tu hai raccontato, benissimo, in prima persona una storia d’altri. Io ho riassunto in terza persona e hai già capito perché (qualcosina di simile lo trovi, se ti va, nel mio raccontino “La sniffata&rdquo
Ciao cara, grazie per la lettura davvero piacevole, a dispetto della drammaticità del racconto. Ma tu sei brava.
Anonimo il 22/08/2008 06:41
Mi sembra di leggere un pezzo di "verismo"... bel testo, fa pensare, sorge spontanea la solidarietà per questa donna forte e coraggiosa. Sei riuscita a farmi leggere questo racconto come se la protagonista fossi proprio tu... brava.
- Alla signora MariaTeresa, che non lo saprà mai