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Ombre (seconda parte)
“Ragazzi, siamo nei guai”. Venendo da Trent queste parole erano particolarmente allarmanti. La grossa mercedes nera era parcheggiata in una piccola radura ai bordi della strada, in un piccolo boschetto a circa 5 Km da Hallow. Nell’abitacolo pieno di fumo, Trent e gli altri si passavano nervosamente uno spinello. In genere questa operazione era qualcosa di piacevole, ma quella notte nessuno dei quattro occupanti della macchina era in grado di rilassarsi. Il piano preparato da Trent era fallito, e lui e la sua banda erano al punto di partenza. A dire la verità Eddy non aveva ancora capito bene in cosa consistesse questo piano, ma lui era abituato a non fare domande e a obbedire a quello che gli diceva Trent. Così non si era chiesto perché avessero comprato tutto quel fumo, ne perché avessero guidato per così tante ore. Una volta arrivati a destinazione, in una piccola cittadina di cui si era già scordato il nome, lui e Hugh erano stati obbligati a rimanere in macchina, mentre Trent e Lucky erano usciti baldanzosi dicendo che andavano “a concludere un affare”. Chiusi in quella macchina, con Hugh che si rollava uno spinello come sua abitudine, Eddy aveva pensato che non sarebbe stato male se Marion lo avesse visto adesso, lì a trattare gli affari come un duro, e magari si sarebbe detta che lui era molto più forte di quel fighetto di Jimmy, e avrebbe aggiunto che sì, sarebbe voluta uscire con lui, e camminare insieme sulla spiaggia, e che non le importava che lui non avesse la macchina sportiva, o gli abiti firmati, perché a lei interessava solo lui e la sua compagnia, e lui l’avrebbe guardata negli occhi e le avrebbe detto…Fu in quel momento che Eddy si rese conto che se Trent non si fosse procurato i soldi, tutti i suoi sogni, quelle stronzate che gli avevano riempito la testa in quegli anni, non sarebbero serviti a niente, perché Rock lo avrebbe fatto fuori, e contro i coltelli di Rock non sarebbero servite le illusioni che da sempre lo avevano aiutato a rendere sopportabile questa schifosa realtà, e lui sarebbe morto, e se fosse morto allora tutta la sua vita sarebbe stata sprecata, sprecata in un inutile sognare cose che non esistevano e che lui non avrebbe mai avuto, e che mentre i suoi amici si godevano la realtà- forse squallida, ma tangibile e concreta- lui perdeva il suo tempo dietro illusioni che forse non erano nemmeno vere, dietro una donna che non era Marion ne nessun altra, ma la proiezione immaginaria dei suoi desideri, la donna ideale a cui tutti gli uomini aspirano ma che- fu questa la rivelazione- non esiste. Fu in quell’istante, quando la paura della morte lo prese, forte, odiosa, che Eddy riuscì a vedere in faccia la realtà, e l’angoscia che lo invase, il convincimento di aver sprecato la propria vita gli fece venir voglia di piangere. Ma fu solo un attimo: Hugh gli passò la canna, e nelle spirali del fumo la sua mente fu nuovamente intrappolata nelle calde ed accoglienti spire dei sogni.
Quando Trent e Lucky uscirono, le loro facce parlavano da sole. Il progetto di Trent non era andato in porto, e rispetto al gruzzolo iniziale erano riusciti a guadagnare la miseria di 200$. Lucky guardò con viso rabbioso la porta del palazzo da cui era appena uscito, e gridò delle offese a delle persone che si trovavano la dentro; ma Trent lo prese per un braccio, lo obbligò a salire in macchina e gli disse di starsene buono, aggiungendo che non era il caso di farsi nuovi nemici. Sulla via di casa si erano pure fermati a puntare qualche soldo sui cavalli, e non era andata neppure troppo male. Il cavallo che avevano scelto, un certo “Long Prince”, si era piazzato terzo, e aveva fruttato ai ragazzi quasi 300$. Messi insieme ai soldi ottenuti con i traffici di Trent, si raggiungeva la ragguardevole cifra di 2500$; un po poco, e troppo distante dai quasi 12000$ di cui avevano bisogno. Quando il sole era calato, Trent aveva fermato la macchina in una radura, al riparo da sguardi indiscreti, e li aveva detto che, per calmarsi, era meglio fumare la poca marijuana che rimaneva e scolarsi un paio di birre.
Eddy come sempre aveva parlato poco, e di tanto in tanto rimuginava su quello che aveva pensato poche ore prima. La paura della morte era ancora forte in lui, ma un senso di benessere lo prendeva ogni qual volta pensava a Marion. Pur accorgendosi di essere uno stupido, non poteva fare a meno di pensare a lei, e di come sarebbe stato bello se Rock lo avesse cercato al Karma, e lui davanti agli occhi di lei si fosse ribellato al terribile Rock, avesse lottato con lui, senza paura, e gli sguardi di ammirazione sarebbero stati tutti per lui, lui che osava sfidare Rock come mai nessuno aveva avuto il coraggio di fare, e Marion lo guardava fissa, ammirata, e nell’attimo in cui i loro occhi si sarebbero incrociati lui avrebbe visto nei suoi occhi lo stesso sguardo estasiato che aveva quando in cortile fissava il sorriso di Jimmy, ma quel sorriso in quel momento sarebbe stato cancellato, inghiottito dal coraggio senza fine di Eddy, e Marion… Marion gli avrebbe sorriso come mai aveva fatto, e guardando e ricambiando quel sorriso Eddy si disse che allora sarebbe stato bello anche morire. Non sapeva il perché, ma ogni volta che nella sua mente si formava la parola “morire” Eddy era costretto a bere un sorso di birra, sperando che l’alcol riuscisse a ricacciare indietro una fredda paura che albergava nascosta in un oscuro recesso della sua mente…e per quanto lui lottasse, questa paura premeva per tornare alla luce. Era la paura della realtà, del dover affrontare la vita reale senza lo schermo dei sogni che ti protegge; ed Eddy sapeva che senza questa schermatura lui era finito.
“ Ragazzi, qui bisogna decidere cosa fare” disse Trent non appena gli spinelli furono finiti “ Domani scade il tempo che Rock ci ha concesso… e noi non abbiamo nemmeno la metà dei soldi che ci servirebbero. La vuoi piantare di bere come un forsennato?”. Trent si era accorto che Eddy continuava a bere senza soste, dando sorsi rabbiosi, ad intervalli sempre più vicini. Trent guardò con disprezzo il suo amico, pensando che bevesse così tanto solo per scacciare la paura che sentiva. Anche Trent aveva paura, ma doveva restare lucido per riflettere sul da farsi. D’altronde una cosa gli era chiara: dei suoi amici, nessuno avrebbe potuto aiutarlo a cavarsi d’impiccio. Lui era l’unico a poter fare qualcosa, e poteva contare solo su se stesso. Lucky era utile quando si trattava di spaventare o picchiare quegli idioti dei loro compagni di scuola, ma di fronte a criminali veri i suoi muscoli non avrebbero potuto fare granché. Hugh era inaffidabile, sempre perso nel suo mondo di fumo a cui era quasi impossibile strapparlo. Hugh non era stupido, e Trent lo teneva con sé perché nei suoi scarsi momenti di lucidità sapeva dare consigli assennati, come quella volta che gli aveva suggerito come conquistare Jenny, la cameriera di quel bar di Greenfield, e cavolo se quella notte se l’era spassata! In quanto ad Eddy… Trent lo conosceva da quando erano bambini, erano andati all’asilo insieme, e lo tollerava perché era un tipo che parlava poco, non rompeva e faceva sempre quello che lui gli diceva. Inoltre i suoi genitori ogni tanto gli mollavano qualche soldo, ed Eddy lo divideva sempre con il gruppo. Eddy poi aveva quella casetta in montagna…più di una volta Trent l’aveva usata per portarci le sue conquiste. Per il resto… Eddy era un idiota, privo di carattere e in sostanza inutile. ”Se Rock ci becca siamo spacciati” disse Trent soppesando le parole “In questo momento è incazzato nero per i problemi che ha, e si vorrà sfogare con qualcuno. Se ci becca in giro…questa volta ci ammazza”. Il silenzio calò dentro la macchina. “Ora, io credo che c’è solo una cosa da fare…sparire dalla circolazione per un po. Non penso che Rock ci venga a cercare se siamo lontani…Non dico per molto tempo, giusto un paio di mesi, per fargli passare l’incazzatura, sperando che nel frattempo si calmi… o lo ammazzino.” Trent guardò uno ad uno i suoi compagni, per vedere le reazioni alla sua proposta. Lucky come sempre lo fissava con sguardo inebetito, aspettando che il capo continuasse il suo discorso, pronto ad obbedirgli come un cagnolino fedele. Hugh ed Eddy tenevano la testa bassa, assorti nei loro pensieri, forse spaventati dal dover dire a Trent che questa volta non lo avrebbero seguito. Trent si sentì soddisfatto: a lui importava avere l’appoggio di Lucky, e che gli altri due andassero pure al diavolo. Si accese una sigaretta, e la fumò lentamente, giusto per lasciare il tempo ad ognuno dei suoi compagni di riflettere sulle sue parole. Poi domandò, anche se già conosceva la risposta: “Allora?” “Io sono con te” disse Lucky “Però… dove si va?”. “C’è un mio cugino, giù a Greenville, che si è offerto di ospitarmi per un po’. Lavora in un bar, e ha detto che mi può trovare un lavoretto. Ci facciamo l’estate là, guadagniamo un po’ di soldi e poi si torna qui verso settembre. Voglio vedere se Rock si ricorda ancora di noi!”. “Per me sta bene, quando si parte?” disse Lucky. Per Trent a questo punto la conversazione avrebbe anche potuto interrompersi, perché a lui interessava solo portare Lucky con se; i suoi muscoli gli sarebbero tornati utile, si disse. Ma essendo il capo del gruppo, aveva l’obbligo di sentire anche i pareri degli altri due. Fissò Hugh e Eddy, ma i due guardavano fuori del finestrino, preoccupati.
“Io non vengo” disse Hugh “Se partiamo adesso mandiamo al diavolo la scuola. Non ho voglia di ripetere un anno solo per una stronzata”. “A me mi boccerebbero in ogni caso” disse Trent “ e poi che ti importa di finire la scuola se ti ammazzano? Vedrete che a Greenville ci si diverte, mio cugino mi ha detto che in estate si riempie di ragazze. Lì andiamo a godercela, altro che, alla faccia di Rock e di tutti quegli stupidi dei nostri compagni di scuola!”. “Io non vengo” ripeté Hugh, con voce monotona e assente, e non aggiunse altro, tornando a guardare fuori dal finestrino. Trent lo guardò un istante, poi capì che non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea; meglio così, meno erano e più facile sarebbe stato cavarsela. Poi si voltò verso Eddy, e con tono secco chiese: “E tu?”. Ma il ragazzo quasi nemmeno lo ascoltava. Con lo sguardo stava fissando un cespuglio ai bordi della strada, e la sua mente volava verso altre terre, altri orizzonti. Già si vedeva in giro per il mondo, e Greenville non sarebbe stato che l’inizio: da lì la vita per strada, senza catene, libero di andare dove voleva, a scoprire quello che il mondo poteva offrirgli. Gli sarebbero bastati uno zaino in spalla, un prato verde su cui dormire, e il suo viaggio non avrebbe mai avuto fine. E poi si sorprese a pensare che chissà un giorno sarebbe tornato, e forse Marion era ancora lì, magari si era appena mollata con un suo compagno di università- perché lui immaginava che Marion sarebbe andata all’università, sicuro- e stufa di perdere il suo tempo con questi figli di papà si sarebbe gettata nelle sue braccia, nelle braccia di quell’avventuriero che aveva conosciuto il mondo, eppure era tornato per lei, solo per lei … E poi via insieme per il mondo, perché si, la vita era anche questa, e non sapeva perché il futuro per lui dovesse essere solo una casa, un posto fisso in ufficio- forse una famiglia- e il grigiore che vedeva ogni giorno intorno a sé e che lo terrorizzava più di Rock non lo avrebbe vinto, lui sarebbe stato libero, sì…libero e senza confini. Sarebbe andato in Australia, si disse, e lì avrebbe vissuto facendo…il pescatore, perché no? Con una barca a vela e in giro per il mare, a cavalcare le onde, e il vento gli avrebbe scarmigliato i capelli e la pelle sarebbe stata cotta dal sole, e non avrebbe avuto nulla di suo, ma avrebbe diviso tutto con i suoi compagni di avventura- perché non sarebbe stato solo, questo e certo- e avrebbero diviso tutto, anche le privazioni, le sofferenze…ma questo era il prezzo della libertà. Fissando il cespuglio, con un sorriso che gli increspava il viso, si domandò se in Australia i cespugli fossero più verdi.
“Io vengo con voi” bisbigliò; poi abbassò gli occhi, e non disse altro. Trent lo guardò, poi bofonchiando un “perfetto” non troppo convinto tornò al volante, accese il motore e avviò la macchina. Di Eddy non doveva preoccuparsi; quello era un tipo che cambiava idea ogni due secondi. Era fermamente convinto che il giorno dopo non sarebbe partito, ma per essere sicuro decise che lui e Lucky si sarebbero mossi quella notte stessa, senza dire niente a nessuno. Il cugino era stato chiaro, ospitare più di due persone sarebbe stato un problema, e poi Eddy sarebbe stato solo un peso. Guardando la strada affollata di macchine che scorreva davanti a lui, Trent si sentì allegro, eccitato per quella nuova avventura che non avrebbe potuto portare altro che feste, donne e notti di baldoria sulla spiaggia. Sulle sue labbra si disegnò un sorriso, e mise a tutto volume la radio. Al suo lato, Lucky guardava avanti a sé, inespressivo. Hugh si era addormentato, e stava russando rumorosamente. Eddy fissava la strada che correva al suo lato, e nella sua mente riecheggiavano le parole “domani cambierò la mia vita, via da tutto questo, dalla paura, dalla tristezza, da domani inizia una nuova vita, sì, migliore, migliore”. Poi lo sguardo gli cadde su un piccolo foglietto che era sul sedile posteriore, che prima non aveva notato. Inviti per il Karma, il giorno dopo alle ore 11. 30, grande festa di inizio estate, con questo coupon ingresso gratuito! Eddy lo raccolse meccanicamente, se lo portò in mano e rimase a fissarlo, assorto. Poi, quando vide che gli altri tre amici non lo stavano guardando, con fare furtivo se lo infilò in tasca. Chissà se domani Marion sarebbe andata alla festa, si chiese.
Luci soffuse, improvvise esplosioni, fumi che oscuravano gli occhi e salivano fino al soffitto... musiche, suoni, grida che si mescolavano in intense spire di melodie e confusione. La discoteca era viva, pulsante di energia e rabbia, furia e vigore, ed i corpi danzavano veloci, ombre soffuse contro l’immensità dei riflettori di mille colori. Eddy era fermo all’ingresso del Karma, indifferente ai colpi di coloro che passavano, agli spintoni delle persone ansiose di gettarsi nelle danze, alle risate sguaiate degli ubriachi; e coloro che passavano a loro volta indifferenti non prestavano attenzione a Eddy, quel silenzioso ragazzo vestito male, con un taglio di capelli ordinario… uno sfigato, pensava sempre Eddy, è così che la gente mi vede. Ma quella sera anche le sue paranoie erano lontane, e la sua mente era un ribollire di pensieri, di sentimenti inespressi. I suoi occhi cercavano lei, solo lei, e nella sua mente le vaghe immagini che andavano formandosi gli facevano vedere loro due che danzavano, lei che lo abbracciava…ma Eddy respinse queste immagini, basta sogni si era detto, ”Basta coprire la realtà con immagini che sono solo nella mia mente, per non sentire il dolore, per ingannare me stesso e farmi pensare che possiedo cose che fino adesso non ho mai posseduto. Lei ora non è qui, non mi sta baciando, non correrà da me e chissà non mi degnerà nemmeno di uno sguardo. Devo essere io- io e solo io- che andrò da lei, la guarderò negli occhi, le dirò qualcosa…qualcosa di figo, da uomo duro, e la convincerò a venire al bar a bere qualcosa, e inizieremo a parlare, e anche se non sono bello, se non sono ricco, se non ho la macchina, i vestiti…con le mie parole, con il mio sorriso riuscirò a sedurla. Le parlerò di quello che ho sempre sognato, delle immagini fantastiche che stanno nella mia testa, le dirò che voglio fare lo scrittore, e le racconterò una storia che la laerà snza fiato, forse quella dlla città di Kruyter e dell’assalto dei negromanti oscuri, e di come un gruppo d sole tre persone riuscì a salvare la città e la gemma di Rutyee, caduta dal cielo secoli prima e in grado di prevedere il futuro. O forse le parlerò del viaggio di Juyden, e dei reami meravigliosi che visitò per riportare la mitica spada Redfti ai suoi legittimi proprietari, i monaci del Ghyt, e come insieme evitarono la caduta del regno di Trge, la terra dell’eterna primavera” questa storia l’aveva inventata la sera prima, ed era decisamente la più buona. ”Si, con le mie storie riuscirò a conquistarla, la porterò nel mio stesso mondo di fantasia, e da lì vedremo che la vita non è solo questa discoteca, quei ragazzi con vestiti attillati che ballano laggiù, quel dj che sorride come se fosse un dio, e le ragazze intorno a lui in adorazione… tutto questo ci sembrerà ridicolo, meschino, perché i mondi infiniti che andremo a visitare saranno perfetti. E poi uno scrittore…come può non essere affascinata?”. In verità l’idea di fare lo scrittore era venuta a Eddy la sera prima, quando, steso sul suo letto, pensava a come poter far colpo su Marion. Della fuga si era già dimenticato, e tutte le sue energie erano concentrate sulla festa del giorno dopo al Karma. Ogni volta che pensava a qualcosa- mi vestirò bene, un nuovo taglio di capelli, un modo di parlare originale- alla sua mente venivano le immagini dei suoi “avversari”, degli altri ragazzi che fino ad allora avevano attraversato la sua strada, e lo facevano sentire piccolo in confronto ai loro sorrisi, a i loro fisici perfetti…una nullità, insomma. Così, sforzandosi per ore e ore, era arrivato alla decisione che se nella realtà oggettiva non era in grado di competere con nessuno, chissà nel mondo delle idee, dove tutto era vago e nebuloso, avrebbe potuto essere qualcuno. E siccome un mago non poteva diventarlo, decise che d’ora in avanti sarebbe stato uno scrittore, non pensando al fatto che in vita sua non avesse mai scritto nulla o che a scuola in letteratura avesse solo insufficienze. Così, il resto della notte era corso via fantasticando sopra storie di guerrieri e magie, principesse e mostri mitologici, e quando l’alba era sorta, per la prima volta da tanti anni, senza che avesse fumato o bevuto, Eddy stava sorridendo felice.
Kevin aveva intravisto Jane e Quick all’ingresso del Karma, e se c’erano quei due voleva significare che Marion era nei paraggi. Fece un segno di saluto ai due conoscenti, e questi ricambiarono senza molto interesse, e non lo invitarono a mettersi in fila con loro. Nel rumore che vi era all’ingresso del Karma, Kevin vide Jane che bisbigliava qualcosa a Quick e questo di rimando mandò un’occhiata a Kevin e poi si voltò, coprendosi il viso; poi i due scoppiarono a ridere. Kevin dentro di se si disse che sarebbe stato bello se Jane avesse detto a Quick “Guarda, c’è quello che piace a Marion!” “Te l’avevo detto che veniva qui, chissà che faccia farà Marion quando lo vedrà!” “Però… è proprio carino!” “Non vorrai rubarlo alla tua amica, vero?” “No. E poi ho idea che stasera succederà qualcosa fra quei due…e sai cosa intendo!” E giù a ridere. Sarebbe stato bello, pensò Kevin, ma le parole che aveva udito sembravano piuttosto un “C’è quel tipo che è in classe con noi” “Speriamo non venga a romperci, è un palloso!” “Però forse ci conviene scappare” “Si, e nasconderci in macchina!” “No, non serve, guarda…sta per entrare. E poi noi non abbiamo la macchina!” E via con le risate. Kevin si disse che forse aveva udito male, anzi si augurò che fosse così. “Iniziamo bene” disse fra se e se, e nel momento di pagare l’ingresso si fermò un attimo, valutando l’opportunità di tornarsene a casa prima di gettare via 20$. “Ci diamo una mossa?” brontolò il buttafuori, e gli appoggiò una mano sulla spalla. “Un ingresso, grazie” bofonchiò il ragazzo, e quella mano pesante gli ricordò quella di Rock, e non poté fare a meno di sentire un brivido di paura. Quando attraversò l’atrio ed entrò nel locale, fu investito da un’onda di decibel. Davanti a lui decine di corpi si agitavano in modo frenetico, seguendo il ritmo di suoni assordanti che venivano riversati dall’alto con forza selvaggia incessante. Kevin si ricordò che prima di allora era stato poche volte in una discoteca, e quelle poche volte non gli era piaciuto. Si chiese se andare al Karma fosse stata la scelta migliore.
Eddy era fermo ai bordi della pista, e la folla davanti a lui danzava veloce, scatenata. Era contento che vi fosse tutta quella gente, perché in questo modo non correva il rischio di essere visto prima del dovuto. Aveva bisogno di tempo per prendere le sue decisioni, per agire nella maniera migliore. Infatti, se si fosse incontrato con Marion adesso non avrebbe saputo cosa dirle, e così si sarebbe bruciato tutte le sue possibilità: sapeva che l’approccio era fondamentale, e da ciò che avrebbe detto sarebbe dipeso l’esito della serata. Immaginava dovesse iniziare con qualcosa di simpatico, qualche battuta divertente che attirasse la sua attenzione senza offenderla, senza farle pensare "Ehy, che vuole questo scemo?". Si, era importante presentarsi bene, anche se questo era un po strano, poiché era quasi un anno che loro due erano in classe insieme, da quando l'anno prima lui era stato bocciato, ma in tutto quel tempo non si erano quasi mai scambiati parola. "In fondo questo è un vantaggio" pensò, “visto che così Marion non avrà preconcetti su di me”. Eddy l'avrebbe avvicinata, gli avrebbe parlato, e lei avrebbe pensato "Però…é proprio simpatico!" e avrebbero iniziato a chiacchierare, e poi avrebbero ballato, a lungo, sempre più vicini, e lui le avrebbe sussurrato dolcemente all'orecchio che moriva per lei, che erano mesi che la guardava ogni giorno, che le sue mattinate a scuola passavano perdendosi dietro i suoi occhi, che ogni volta che lei in classe parlava, rideva, per lui era come ascoltare una canzone melodiosa suonata dalla migliore orchestra del mondo, e, sì, ora sapeva cosa doveva dirle, sapeva che il modo migliore per conquistarla era confessargli che "È tanto che volevo uscire con te, è tanto che sogno una notte come questa, e non mi importa come finirà, non mi importa del domani, adesso io sono qui e per me non importa altro, null’altro che di noi due qui in questa discoteca, noi due qui a ballare e così vicini tanto vicini che Marion…Marion, io ti amo, ti amo come non ho mai amato nessuno in vita mia, e non mi importa di quello che vuoi dirmi, non m’importa se tra noi un giorno finirà…a me importa ora, l'averti qui, ora e sempre" Ah già, e poi c'era la storia dello scrittore, doveva assolutamente dirgliela, magari quando lei gli avesse detto "Che belle parole, come sei poetico" lui avrebbe accennato un sorriso e le avrebbe spiegato che era normale, visto che era uno scrittore, e se lei era interessata poteva raccontargli qualche storia, magari quella di... Qualcuno gli diede una spallata, strappandolo ai suoi pensieri. Si voltò, e davanti a se vide Jimmy, gli abiti perfetti, i capelli in ordine, il suo solito sorriso stampato sul viso. Il ragazzo si girò verso Eddy, e in un primo momento non lo riconobbe. Poi tornò a guardarlo, lo identificò e gli diede una pacca sulla spalla, dicendogli"Come va?". Eddy fece di sì con la testa, cosa che poteva significare qualsiasi cosa... e rimase immobile a fissare Jimmy mentre se ne andava verso il bar, e si sedeva in mezzo ai suoi amici, uno più perfetto dell'altro, tutti alti, vestiti bene, sorridenti... ed Eddy non si sentì più tanto sicuro che tutte quelle stronzate sugli scrittori avrebbero funzionato.
Kevin era in preda al panico. Il rumore della discoteca lo disorientava, la confusione lo spaventava, la spessa coltre di fumo gli rendeva difficile la respirazione, gli occhi gli lacrimavano. Doveva andare in bagno, ma non sapeva dove fosse, e si vergognava a chiederlo a qualcuno. Guardò il foglietto che gli avevano dato all'ingresso. "Consumazione gratis" recava scritto, e Kevin si disse che in effetti bere qualcosa gli avrebbe fatto bene. Andò al bar, e tentò per un buon dieci minuti di richiamare l'attenzione della barista. Quando questa si girò, il ragazzo rimase immobile a fissarla, dicendosi che era proprio carina, con quei penetranti occhi azzurri, i capelli biondi, la minigonna provocante, e sentì la timidezza che iniziava di nuovo a bloccarlo. Si sentiva come se stesse affogando in un mare scuro, profondo, con le acque torbide che accoglievano il suo corpo inerme e lo trascinavano a fondo, sempre più giù, finché la pallida luce del sole non scompariva del tutto e lui si trovava sospeso in un gelido universo di tenebre, umide, vischiose. La sua mente languiva per la salvezza, voleva lottare per ribellarsi a quel destino già scritto: ma il suo corpo non rispondeva, bloccato dalla fredda morsa delle acque. E mentre andava sempre più a fondo, e strani pesci dalle forme assurde iniziavano a cibarsi del suo corpo, Kevin pensò che forse era il caso di prendere qualcosa di forte da bere, invece di una semplice coca. Fissando il bicchiere pieno di vodka, con la gente in pista che ballava, saltava, si divertiva, si disse che doveva essere proprio un coglione a perdersi sempre dietro a certi pensieri. "Pesci che mangiano il mio corpo.. mah!"
Eddy si era portato in mezzo alla pista, ma non perché avesse voglia di ballare. Al bar non poteva stare, perché la vicinanza con Jimmy e i suoi amici lo abbatteva, lo faceva sentire una nullità. Continuava a pensare a quei ragazzi, ai loro vestiti, ai loro visi, e si stava chiedendo con insistenza ossessiva perché Marion lo avrebbe dovuto preferire a Jimmy. Jimmy era perfetto, allegro, e lui…cos’era lui? Se lo chiedeva ogni sera, prima di addormentarsi, quando l’effetto degli spinelli finiva, quando la realtà tornava ad affacciarsi pesantemente alla sua mente, e lui si ritrovava da solo con se stesso. “Cosa sono io?” si disse “ Perché qualcuno dovrebbe essere attirato da me, quando io stesso non riesco a piacermi, e sento che c’è qualcosa di sbagliato in me, e non capisco cosa sia, forse questi maledetti sogni che continuano a offuscarmi la mente, a impedirmi di vedere la realtà, oppure…oppure questo, questo che sta succedendomi anche adesso, questa maledetta abitudine a non pensare a cosa sta accadendo ora, ma inseguire sempre il flusso dei miei pensieri e perdermi dietro inutili paranoie, dietro illusioni che mi creo e mi impediscono di vedere la realtà, che forse non sarà perfetta, non sarà grandiosa come le avventure che si vivono quando si sogna…ma è la realtà, è tutto quello che abbiamo, e non capisco perché continuo a farmela sfuggire, a guardarla come attraverso una cortina fumogena, e questa notte devo fare di tutto per pensare solo a dove sono adesso, basta sognare a occhi aperti, basta illusioni…io questa notte andrò da Marion, e le dirò che sono uno scrittore, e non mi tirerò indietro anche se Jimmy è più bello di me, anche se non so che dirle, non so come comportarmi, ma è questo ciò che voglio adesso, e con lei al mio fianco riuscirò a sentirmi più sicuro, riuscirò a essere…felice…si, felice come non sono mai stato, e inizierò a scrivere storie fantastiche, e il futuro sarà nostro, e insieme faremo qualcosa di speciale, qualcosa di…di magico.”. E mentre intorno a lui la gente ballava, mentre davanti ai suoi occhi i corpi si incontravano e si allontanavano scandendo il ritmo dei suoi pensieri, lei apparve, stupenda nel suo abito azzurro, perfetta con i suoi capelli neri sciolti sulle spalle. Ci fu un attimo di sospensione, di pausa, come se tutta la discoteca si fosse fermata per ammirare quella regina che scendeva in mezzo a loro, poi la folla sembrò aprirsi e Jimmy, il passo sicuro, l’incedere veloce, il sorriso aperto avanzò verso di lei. I due iniziarono a ballare, uno di fronte all'altro, e ad Eddy parve che quei due comunicassero non a parole, ma solo a sguardi, a sorrisi, e chissà se lui avrebbe potuto fare qualcosa, se adesso correre da lei sarebbe bastato, perché in quel momento gli sembrò che il tempo, il futuro, il destino si fossero come congelati, bloccati, ed egli non avesse nessuna possibilità di modificarli. Lui era lì, immobile, e la gente si agitava, il dj gridava, i baristi sorridevano e lei e Jimmy ballavano, ballavano e lui non poteva intervenire, perché non era in suo potere, poteva solo stare a guardare, a pregare che lei dicesse "Guarda, sei molto carino, ma non sei il mio tipo: addio" oppure lui "io con te non voglio una storia seria, voglio solo divertirmi" e lei lo schiaffeggiasse e fuggisse via, e corresse sul terrazzo per piangere sotto la fredda luna indifferente, e allora sì che Eddy avrebbe potuto raggiungerla, consolarla, parlarle dei suoi sogni, del fatto che era uno scrittore e il primo libro lo avrebbe dedicato a lei, e le lacrime nei suoi occhi sarebbero scomparse, il suo sorriso avrebbe oscurato quello della luna, e guardandosi negli occhi- occhi che rendevano pallide e insignificanti le stelle- si sarebbero detti: ti amo...
Kevin, attaccato al bancone del bar, la testa che gli girava per la vodka che stava bevendo- era forse il terzo bicchiere?- si sentiva euforico. Le paure erano sparite, la calca sulla pista da ballo, il fumo che bruciava gli occhi, il calore che lo faceva sudare copiosamente, tutto sembrava dimenticato, e Kevin si gustava quello spettacolo di corpi che si dimenavano, di forme vaghe e indistinte che s’incontravano, si attraversavano, disegnavano strane configurazioni il cui significato gli sfuggiva, ma che sicuramente avevano qualcosa a che fare con la musica assordante che veniva riversata dagli altoparlanti. Tutte le angosce, la timidezza, la tristezza sembravano scomparse, e nella sua mente vi era posto solo per pensieri allegri. Si augurò di incontrare di nuovo Jane e Quick, così, che lo volessero o no, si sarebbe unito a loro, e questo era un punto a suo vantaggio per conquistare Marion. Poi magari avrebbe ballato- sì, aveva proprio voglia di ballare, di lasciarsi andare in mezzo alla pista, così Marion o qualche altra ragazza- magari la barista, era così carina- lo avrebbe notato, e magari avrebbe provato a conoscerlo, quel ragazzo così interessante che ballava tanto bene... Poi la settimana dopo di nuovo in discoteca, perché era proprio divertente, e quella ressa, quella confusione ora lo attiravano. Ordinò un altro bicchiere, e tentò di sorridere alla barista. Il sorriso non doveva essergli venuto molto bene, si disse, visto che in cambio ricevette solo una smorfia annoiata, il cui significato era: lasciami perdere, non faccio per te. Peccato, si disse, ma lì era pieno di ragazze, e al diavolo la barista! Si appoggiò al bancone, e mentre esplorava la pista con lo sguardo, vide una cosa curiosa. Eddy, il suo compagno di scuola, stava fermo in mezzo alla pista da ballo, immobile, lo sguardo fisso davanti a sé. Kevin lo guardò, si ricordo dell’imprevisto che avevano avuto due giorni prima, e si disse che forse era il caso di andare a salutarlo, e offrirgli da bere, perché in due era senza dubbio più facile conoscere nuove ragazze, e poi loro due erano compagni d'avventura- non era forse così? Mentre con calma sorseggiava il suo drink, gli venne da ridere a vedere Eddy là immobile in mezzo alla pista, lo sguardo perso nel vuoto. Si chiese se avesse fumato qualcosa di strano, perché i minuti passavano ed Eddy rimaneva là fisso, assurdo in mezzo a tutta quella gente che si agitava, ma che cavolo stava guardando? Kevin tentò di individuare l'oggetto dell'interesse del compagno, ma in mezzo alla calca non era facile distinguere qualcosa, così si avviò verso il centro della pista. Eddy era girato di spalle, e lui si trovava circa due metri dietro di lui. Seguì lo sguardo di Eddy... e li vide. Erano là, in mezzo alla pista, e danzavano uno di fronte all'altro, agili nei movimenti, leggeri nei passi, vicini... troppo vicini, si disse Kevin. Si avvicinò, guardò meglio, vide che Marion e Jimmy si stavano abbraciando, le sue mani dietro la schiena di lei, la sua testa reclinata sul petto di lui, e quando la canzone finì, quando per un attimo il rumore dentro la discoteca cessò, le luci si alzarono e la gente smise di ballare... Jimmy avvicinò le labbra a quelle di Marion, e la baciò. Kevin sentì un brivido freddo dentro di sé, e la sbronza gli passò di colpo, lasciandolo confuso, frastornato. La musica era ricominciata, le luci si erano abbassate nuovamente, la gente era tornata a danzare sulla pista. Marion e Jimmy erano spariti, inghiottiti dalla calca, perduti per sempre in un gorgo di corpi danzanti e suoni cacofonici. Kevin sentiva il bisogno di uscire di li, di correre via dal locale, dalla pista da ballo, dalle luci psichedeliche che gli ferivano gli occhi. Facendosi largo fra la folla si avviò verso l'uscita, e l'ultima visione che ebbe della discoteca era Eddy ancora inerme al centro della pista. Chissà perché gli sembrò che stesse piangendo.
Kevin corse a perdifiato fino alla spiaggia, senza fermarsi, incurante del cuore che gli batteva all'impazzata, delle gambe che gli dolevano, dello stomaco che gli faceva male. Il pontile era deserto, e un vento gelido soffiava dal mare. Il ragazzo sentì un brivido, un infinito senso di solitudine ed angoscia. Gli parve che tutta la sua vita fosse come quel pontile solitario nella notte, una lunga e monotona distesa priva di luci, di persone. Kevin si avviò lungo il molo, ma a metà si bloccò e si appoggiò alla balaustra, fissando il mare. Nel tumulto dei suoi pensieri, si disse che questa volta era la fine, che niente sarebbe stato come prima, che quella maledetta notte aveva segnato la fine dei suoi sogni, delle sue illusioni. Fissando le nere acque, si ricordò del racconto del vecchio, delle città sottomarine, delle strane creature che escono all'aperto per innalzare colonne di luce, e si chiese se fosse vero quello che aveva visto il poeta. Il pensiero di quella storia gli dava un senso s'angoscia, ma la tempo stesso uno strano desiderio, una voglia di gettarsi nelle fredde acque marine per andare ad esplorare quelle città che risplendevano sotto la volta oceanica, per scoprire i segreti di quella razza extraterrestre che aspettava da miliardi d'anni nell'eterna immobilità dell’oceano. Si disse che forse nel freddo abbraccio delle acque avrebbe trovato una risposta ai suoi dubbi, “il nostro posto in questo mondo”, come aveva detto il vecchio; si domandò se stesse piangendo, perché sentiva qualcosa di umido che gli scivolava sulle guance. Salì sulla balaustra, fissò le acque oscure, e sentì che sì, stava piangendo, e lacrime salate gli rigavano la faccia, ma non importava... era meglio così.
Rimase immobile alcuni secondi sopra la balaustra, pronto a gettarsi, quando vide uno strano bagliore sorgere dalle acque, una luce soffusa eppure splendente che riluceva in mezzo al mare. Con il dorso della mano si asciugò la faccia, e fissò la sua attenzione su quel bagliore irreale, chiedendosi cosa fosse. Era la luna. La luna si rifletteva sul mare calmo, e quella luce aveva un chiarore irreale, rassicurante. Kevin alzò gli occhi al cielo, e vide che la volta celeste si era riempita di stelle, e ognuna brillava con forti bagliori chiari, puliti; e la luna era la regina di quella corte splendente, assisa sul suo trono di marmo nero circondata dalle stelle sue cortigiane. Kevin fissò il cielo, fissò quel bagliore perfetto, e si chiese perché dovesse gettarsi nel freddo oceano, perché volesse raggiungere gli sterili fondali abissali, perché volesse passare l'eternità nel abbraccio indifferente dell'acqua... perché volesse privarsi per sempre della vista delle stelle. Se le città sottomarine sono come cimiteri, se le creature avevano bisogno di uscire furtivamente di tanto in tanto per benedire i propri occhi con la vista della volta celeste, degli astri che rischiaravano il mondo, perché lui che ogni notte poteva vedere quello spettacolo, che ogni giorno poteva far baciare il proprio corpo dal sole, perché doveva andare per sempre nel buio eterno? Kevin sentì fortissimo il desiderio di vedere il sole, di uscire da quella notte buia e di pensare... al domani. Sì, al domani, a tutte le cose belle che avrebbe potuto portargli, quando i caldi raggi solari avrebbero scacciato il buio della notte… e chissà anche il buio che aveva dentro l’anima. Scese dalla balaustra, e si avviò verso casa. La notte stava finendo, il dolore non era passato del tutto, ma chissà che il domani avrebbe portato nuove speranze, nuove emozioni, la voglia di scoprire nuove sensazioni. Quando arrivò sulla strada, Kevin si fermò un istante, e si voltò verso il mare. Le stelle stavano lentamente scomparendo, ma la loro luce prometteva di tornare l’indomani notte. Uno stormo d’uccelli attraversava il cielo, diretto chissà verso quali paesi, verso quali strani orizzonti. Il sole iniziava timidamente ad alzarsi, e colorava i monti di un rosso fuoco. Sicuramente, domani sarà una buona giornata, si disse.
Eddy uscì come inebetito dalla discoteca, la mente in confusione, lo sguardo vacuo. A chi lo vedesse sembrava che si fosse appena ubriacato, o peggio. Quando uscì nella notte fredda, si fermò e fisso il cielo, senza sapere che fare, cosa pensare. Una mano pesante si posò sopra la sua spalla, e lo strappò ai suoi pensieri. Confuso, si girò e lì davanti a se vide una persona, alta quasi due metri, vestita elegantemente. Stentava a metterla a fuoco, e rimase immobile a fissarla, inebetito. "Ci si rivede, eh?". Con un brivido, Eddy riconobbe una delle persone che lo avevano malmenato sulla spiaggia. Farfugliò un "No... io...", ma un colpo sferrato con forza al suo stomaco lo fece cadere a terra, senza fiato. Lo scagnozzo di Rock rideva sguaiatamente, e Eddy poteva sentire distintamente l'odore di alcol che emanava. Voleva solo divertirsi, si disse e lui era veramente nei guai. Eddy fu fatto alzare, fu violentemente spinto in un angolo buio, sempre sghignazzando lo scagnozzo tirò fuori un coltello, e lo puntò alla gola di Eddy. Il ragazzo smise di pensare a Marion, a Jimmy; non desiderava più nemmeno andare in giro per il mondo, vivere in Australia, fare lo scrittore; voleva solo scappare, scappare il più lontano possibile. "Hey, Jack, dove sei finito?" Tre uomini erano apparsi dietro il primo; Eddy non li riconobbe, ma pensò che non potevano portare altro che ulteriori guai. Con violenza afferrarono il suo aguzzino, e lo scostarono violentemente. Questi barcollò all'indietro, rise e si tirò fuori dal taschino una piccola fiaschetta da cui bevve avidamente; Eddy percepì chiaramente il puzzo di whisky. "Tranquilli ragazzi, volevo solo spaventare il ragazzo... E poi non è stato Rock a dirci di dargli una lezione, se li beccavamo?". Eddy ebbe un brivido freddo. Ora Trent e Lucky se ne stavano al sicuro a Greenville, Hugh era a casa, e lui avrebbe pagato per tutti. "Non sapete cosa è successo ieri?" disse uno di quegli uomini, che per come era vestito e per come parlava sembrava quello preposto al comando. "Rock e gli altri ragazzi hanno beccato gli amici di questo qui che se la volevano svignare. Che coglioni... prima di scappare sono andati a comprare del fumo. Erano ubriachi, e hanno parlato troppo. Dicevano che se ne andavano per fregare il grande Rock, che loro erano più intelligenti di lui. Per fortuna due ragazzi del capo erano in zona: e l’hanno avvertito- gli hanno bloccati giusto prima che entrassero in autostrada!". Eddy ascoltava tutto questo assente, evitando di pensare a quale potesse essere stato il destino di Trent e Lucky …perché aveva paura che il suo destino fosse molto simile a quello dei suoi amici "E che è successo?" domandò uno degli uomini" "Rock li ha gonfiati di botte, che altro? Dovevi sentire come frignavano quei due mocciosi! Io ero là, e a un certo punto ho temuto che li facesse fuori! Poi uno dei due ha iniziato a implorare Rock, a dirgli che gli avrebbe ridato i soldi, e ha detto che avrebbe venduto anche la macchina per trovare il denaro necessario! La macchina di quel tipo è una bella mercedes nera, un po’ vecchia ma ancora buona, e Rock l’ha accettata come pagamento per il loro debito. La macchina finirà all'estero, credo, e Rock ci ricava almeno 15000$, non male come affare! I due idioti ora sono all'ospedale, penso che ne avranno per un po’!" E tutti risero "E di questo che ne facciamo?" "Non so cosa fosse venuto a fare qui, ma Rock ha detto che l'affare è chiuso. Quindi mandalo via, e digli di non farsi più vedere in giro!". Con passo incerto, non anocra convinto che fosse veramente riuscito a cavarsela, Eddy iniziò ad allontanarsi, con il capo basso, evitando di guardare quelle persone negli occhi. Passando vicino a quello ubriaco, questi gli sorrise malignamente, poi gli assesto una gomitata al setto nasale, spaccandoglielo. Eddy si allontanò barcollando, dolorante, inseguito dalle risate crudeli di quei quattro.
Trascinandosi, cercando di arrivare a casa, si trovò a passare per il centro della città. La vetrina era ancora lì, assurdamente risplendente nel buio della notte, e le sue luci riversavano ombre che invadevano la strada silenziosa. Eddy si fermò a fissarla, assorto, e vide i vestiti che gli sorridevano, vide quelle chiavi d’accesso ad un mondo di illusioni e desideri che erano li ad aspettarlo, che lo chiamavano, che gli offrivano i piaceri proibiti di un mondo che aveva immaginato solo nei propri sogni. Ma Eddy non poteva vederli. I suoi occhi erano offuscati dalle lacrime.
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