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24 febbraio
È stato un giorno lungo, lungo.
Ricordo quasi tutto di quel giorno. Stranamente non ricordo emozioni: un giorno senza emozioni, mah strano!
Non ricordo gli odori, posso ricostruirli ma non posso dire se appartenessero a quel giorno.
Era un giorno freddo, ma non ricordo se il freddo mi ghiacciò il naso come fa adesso, quando corro.
C'era la brina ghiacciata sulla macchina?
mmm... probabilmente si.
Penso, ma è una ricostruzione, d'aver preso la macchina per andare a lavoro. Ma perché presi un taxi per andare al concorso?... non lo ricordo; ma ricordo che presi un taxi!
Era più di un mese che dormivo da solo nella mia vecchia camera, e loro due di là soli chiusi a chiave.
Chiusi a chiave tutta la notte, chiusi nel fortino da dove io sono stato sbattuto fuori da forse più di un mese.
Ero anche svenuto dieci giorni prima di notte verso le due mentre ero in bagno da solo: avevo la febbre alta! Quando mi ero risvegliato, in mezzo ad un grumo di saliva viscido e freddo, disteso sullo scalino del bagno avevo visto il vecchio armadio a muro della nonna e lì per lì non lo avevo riconosciuto.
Mi ero spaventato non sapevo dove ero e allora l'avevo chiamata.
C'aveva messo un bel po' ad arrivare, eppure dormiva nella stanza a fianco. Mi ero già alzato e asciugato la bavetta dalla faccia quando è arrivata, ma tremavo tutto per lo spavento e per la febbre: ero nudo!
Non si era spaventata più di tanto, mi aveva rimproverato un po' poi era tornata a letto. Lui, per fortuna, non si era svegliato.
Ero tornato a letto e la mattina dopo avevo chiamato il dottore, la sentenza fu: influenza, banale. A volte i dottori si sbagliano: non era vero era il preludio a quello che sarebbe successo.
Quel giorno era freddo e non ricordo proprio perché presi un taxi per andare al concorso? Il traffico probabilmente. Arrivai ultimo e quando entrai in aula ci fu qualche risatina, qualche "mancava solo lui". Alle undici e trenta si era già sparsa la notizia che qualcuno al concorso aveva scritto troppo per una semplice prova d'esame, la prima di tre. E gli altri ridevano come se fosse ridicolo impegnarsi ad una prova per un concorso pubblico, di cui si sapeva già l'esito.
Ricordo che passai a salutare le ragazze del call-center dopo la prova, quelle stesse ragazze che se fossi andato via allora non mi avrebbero elogiato come fecero dopo nella calda mattina di luglio quando me ne andai.
Poi tornai a lavoro, proprio non ricordo dove avevo lasciato la macchina, forse a lì. Mi riportò a lavoro qualche collega e neanche troppo controvoglia. Non ricordo che cosa feci, in quali reparti andai e quante pratiche sbrigai. Ricordo un malessere per tutta la giornata, quello lo ricordo con certezza. Era un malore di natura incerta ma di causa certa, uno di quei malori di cui non conosci la ragione ma conosci la causa felicemente e inconsapevolemte la ignori, pensando che non può succedere a te e semmai non adesso.
Dopo lavoro presi la macchina e andai a vedere se avevano messo fuori i risultati. Sapevo che li avevano messi fuori. Volevo sapere se ero stato ammesso alla seconda prova, sarebbe stato qualcosa di cui parlare a casa quella sera, sarebbe stata una buona notizia. Era un giovedì.
Morire di giovedì è sufficientemente buono: fai il trasporto di venerdì poi per il week-end tutti liberi. Di lunedì o di martedì si costringe amici e parenti a spezzare la settimana lavorativa e, parenti stretti esclusi, tutti devono tornare a lavoro con il fardello dell'assenza di un amico in meno e senza la possibilità di distrarsi troppo da tristi pensieri. Se si muore di sabato e di domenica poi si rovina il week-end a tutti. Di mercoledì proprio non si capisce perché si dovrebbe morire, lì in mezzo un morto che c'azzecca! Il mercoledì c'è mercato e come si fa! Certo, nel mio caso non ci sarebbero stati troppi amici, comunque era giovedì: perfetto!
Ricordo il rumore delle foglie secche ghiacciate sotto i miei piedi mentre andavo a vedere quel foglietto alla vetrata, risultato: non ammesso!
Ma come non ammesso, ma io ho scritto tantissimo fin nei più piccoli dettagli... mmm... ero io quello che canzonavano. Già stamani era tutto chiaro.
Il malore aumentò!
Fu una sorta di premonizione: quella non era proprio la mia giornata o per certi versi quella era proprio la mia giornata: si l'ultima!
Strano pensare alla propria ultima giornata. È più significativa l'ultima giornata o la prima? Ok, la prima tutti giù a festeggiare e questo è una prassi. Ma l'ultima giornata per se stessi è, forse, quella più significativa. Ricordo l'ultima giornata di mia nonna perché fui svegliato da Sorella mentre dormivo placido: era il 25 dicembre. Sorella piangeva per telefono ma non ricordo quello che mi disse. Ricordo che quella giornata cambiò il suo programma in fretta e furia, ricordo che dopo tutti pensammo che era stato il più bel regalo che la nonna potesse avere e poco importa se noi eravamo tristi in una giornata che per tutti è di festa. Poco importa, perché ciascuno di noi ricordava la nonna, la mamma che si era regalata di morire e la sua gioia di vivere e i suoi insegnamenti ci coccolarono per l'ultima volta. Regalarsi un altro giorno di vita sarebbe stato inutile per lei, ormai non si sarebbe potuta godere il pranzo di Natale con noi e sarebbe rimasta da sola a casa. Invece, beffarda, ci aveva radunato tutti a casa sua per l'ultima volta tutti insieme. Chissà come se la rideva.
Non l'ho trovata adesso. I giusti vanno davvero all'altro mondo, non dove sono io ora. Già me la vedo per l'eternità col nonno. Si ok, se tutto fosse andato diversamente, avrebbe potuto avere il nonno in questa vita. Ma adesso spero se lo goda per l'eternità: non so cosa sia meglio. Fatto non meno secondario lo avremmo potuto avere anche noi per un po' e tutto sarebbe stato davvero diverso.
Io non sono di quella razza di persone lì, quelle che vivono amando, come i miei nonni. Io non posso sperare!
Ricordo che tornai a vedere la vetrata almeno due o tre volte. La terza volta per vedere come si erano classificati gli altri. Infondo la classifica era giusta: risatine e malelingue erano giù in graduatoria. Ma io ero proprio fuori. E ora! E la bella notizia da dire a casa per rompere il ghiaccio con lei! E ora!
Come fanno tutti i moribondi presi fiato. Presi fiato telefonando a qualcuno, dovevo capire cosa fare se dire qualcosa a casa o no. Telefonai ad Annalisa mi disse di calmarmi. Che nervoso quel peremtorio "calmati!". Eppure aveva ragione se mi fossi calmato non avrei certo fermato gli eventi ma forse li avrei affrontati meglio. Non so! La sua risposta alla mia inutile esuberanza fu:
"Mah, se ne parli male non fa. Magari può essere un nuovo inizio per capire cosa volete fare insieme." "Insieme" mi piacque, almeno due èun insieme ma noi eravamo ormai due uni.
"Ma se è più di un mese che non parliamo!"
"Ragion di più per iniziare a farlo!"
Tornado a casa pensavo al discorso da fare:
"Sai ho pensato di fare questo concorso che potrebbe rappresentare una svolta. Ma è andata male. Che facciamo adesso. Sono pronto ad ogni scelta tu pensi sia utile fare!"
Non ricordo quanto tempo ci misi ad arrivare a casa, ma ricordo che presi l'ultimo respiro dopo aver parcheggiato la macchina ripassai il discorsetto e dissi quasi rincuorato:
"Ma si magari!?"
Che stupido non ebbi neanche il tempo di fare quel discorso.
Ricordo dove parcheggiai la macchina. Presi la borsa da studentello da dietro il seggiolino e scesi. Respirone e via.
Certo non si può dire che fossi allegro in quei cento metri, però il mantra delle parole di Annalisa mi aveva messo di buon umore: "... insieme... insieme...". Dicono che quando uno sta per morire avvengono due cose: passa tutta la vita davanti in un attimo e uno sta un po' meglio e per qualche minuto sembra che la falce implacabile non stia per segarti la vita. Com'è misericordiosa la morte non si nota mai eppure è forse più misericordiosa della vita. Quando arriva ha un progetto chiaro che tu sai in partenza: è lì per finirti quindi ti concede il tempo necessario per assaporare qualche ultima boccata di vita e poi via.
Aprii il portone, il solito portone di casa mia e via i primi tre scalini: fin qui tutto bene! ebbi quasi il tempo di pensare.
Poi lei in cima alle scale:
"Ciao, vedi un po' c'è qualcuno per te!"
Non ricordo se ebbi più il tempo di pensare che era strano che mi accogliesse così con tanta cordialità e neanche se ne fui felice.
Mi piace riconoscere qualcosa di romantico nel mio ultimo gesto, testimonia involontariamente quello che ero stato fino a qual momento. La misericordia della morte mi concesse, ripensandoci adesso, molto più che stare bene nell'ultimo secondo di vita. Mi concesse di stamparmi nella memoria quell'ultimo gesto che era mio al cento percento. Lo ricordo come fosse ora: mi voltai, scesi i tre scalini e aprii la porta. L'ultimo gesto di un uomo ancora vivo: aprii la porta di casa mia alla morte come l'avevo fatto tante volte alla vita e all'amore. Esattamente lo stesso identico gesto semplice breve e umano ma allo stesso tempo sconvolgente.
Il primo fratello della Morte, Algor, arrivò poco dopo e si piazzò proprio lì in mezzo al cuore. Quel cuore che batteva che era contento che vedeva tutto il bene del mondo: quel cuore che apriva sempre le finestre, i portoni e se stesso. Con la sua temperatura glaciale spense ogni movimento spontaneo di quel cuore e lo costrinse alla sua fredda e monotona funzione naturale battere poco e male.
Come tutti i cadaveri mi lavai. Perché mai si lavi i cadaveri non lo so ma lo feci anch'io. Lavai il mio corpo con cura prima che l'altro fratello della Morte arrivasse: il duro Rigor.
Poi lo tolsi di braccio a lei perché stava piangendo e lo presi in braccio e si rilasso. Come era bello sentirlo vivo pacifico. Se sei freddo e morto riesci più facilmente a percepire chi è vivo. Vivo mi guardava con quegli occhioni fanciulli: semplicemente bellissimo!
Mi stesi sul letto grande nella camera (il fortino!) dove si era chiusa con lui per quasi un mese e dove non si sarebbe più chiusa. C'era un buon profumo di vita in quella stanza, avevo sempre lui in braccio: il mio piccolo. Mi addormentai, tutti i morti sembrano addormentati, ma non sognano più!
Si dice che quando un santo muore si senta profumo di violette nella stanza, perché mai violette? Io sentivo il suo odore di latte, di felicità, di buono e di futuro. Mentre fratello Rigor lentamente e indisturbato faceva la sua opera pietosa io, già morto, sentivo odore di vita. Sentivo il suo odore di vita e lui dormiva davvero cuore a cuore, il mio non batteva più ma il suo era assordante: bum... bum... bum..
Rigor completò il suo lavoro verso le due, stava nevicando e questo forse facilitò il compito. Le smorfie che mi lasciò furono e sono ancora sconvolgenti.
Lui se ne andò, meglio fu portato via da lei. Tutto quel freddo attaccò solo me non fece nulla a lui. Lasciamo i morti ai morti: lui era vivo non poteva rimanere con me.
I ladri di vita, quella notte, partirono via lontano a bordo di un'auto rossa. Rossa come il sangue che fratello Livor della Morte mi avrebbe tolto per sempre lasciandomi privo anche del mio colore.
Sono passati tre anni tre mesi ventidue giorni e una manciata di ore da quel momento oppure millecentosettantasette giorni dal giorno della mia morte. Il mattino dopo era già tutta un'altra vita da zombi senza più differenza tra la mia temperatura e la temperatura esterna. A lavoro mi congratulai con il primo della lista del concorso, non ricordo altro se non il senso di vuoto dei morti.
Ci sono morti giusti ma noi zombi non siamo morti giusti, siamo marchiati e siamo lì in un limbo sconfinato senza vita ne morte senza amore ne passioni. Siamo condannati a contare i giorni dalla data della nostra morte le ore i minuti e i secondi per l'eternità.
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0 recensioni:
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- le cose belle sono le più faticose... è parecchio lunga ma ne vale la pena ciaoooo
- Grazie Francesco sei l'unico che l'ha letta e commentata. Grazie davvero!
- Veramente molto toccante e bella. Bravissimo
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