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L'angolo buio di Cristina
Cristina se ne stava seduta in camera sua, al buio, fissando quell’unico raggio di luce che entrava dalla persiana vecchia. Era difficile capire perché non voleva vedere nessuno. Voleva rimanere sola, senza dover per forza sorridere ad un mondo nel quale non si sentiva a suo agio.
No, stava bene solo sola. Non si poteva fidare di nessuno.
Se ne poteva rimanere dei giorni interi al buio a riflettere, ad inventarsi una vita che non aveva, perdendo la cognizione del tempo, senza sapere se era notte o giorno. Senza volerlo sapere.
Si mosse nella sedia per sistemarsi nell’angolo buio.
Aveva paura.
Paura della violenza. Già, come quella che aveva subito da Lui. Niente era peggiore del ricordo di quel sorriso gelido nella notte.
Cristina camminava da sola per una stradina secondaria, vicino a casa sua. Era da poco uscita dal lavoro, quella sera avevano finito maledettamente tardi, erano le due e mezza. Sospirò, fare la cameriera non era per lei. Appena avesse trovato un posto migliore avrebbe lasciato perdere il ristorante.
Era così stanca che quasi non si rese conto di essere arrivata a casa. Cercò le chiavi in borsa, poi aprì la porta, non vedendo l’ora di andare a letto.
Entrò nel salotto senza accendere la luce, lasciando la giacca e la borsa nel divano alla cieca, era meglio cercare di far notare il meno possibile la sua presenza. Non voleva che Lui si svegliasse e la vedesse tornare così tardi, non era lo stesso quando si arrabbiava.
Alzò lo sguardo e vide due iridi brillare nel buio. La colpì un tuffo al cuore, Lui era rimasto sveglio ad aspettarla.
Sembrava un vampiro maligno in cerca della sua preda, mimetizzato nel buio, immobile.
- Perché hai fatto così tardi?- disse, autoritario. Sembrava calmo, ma nella domanda c’era qualcosa che stonava, quella calma era troppo tesa.
- Sai, c’era la cena di un matrimonio, il lavoro era tanto… duecentotrenta persone- la sua voce era flebile, un sussurro, risuonava quasi come una scusa.
Lui la ascoltò in silenzio, poi apparvero anche i suoi denti bianchi nel buio, stava sorridendo.
- Tu menti- rispose, sempre con calma.
- Dico la verità.
- No- scosse la testa- tu non hai lavorato. Non avresti mai finito così tardi.
Cristina aprì la bocca per giustificarsi, ma tacque, ormai era già alterato, era impossibile evitare il peggio.
- Non hai nulla da dire?- le chiese- Non provi nemmeno a dissuadermi?
- Io…- tentò. Non aveva niente di intelligente da dire. La verità l’aveva detta, ma Lui non le credeva. Cosa si poteva fare? Nulla.
- Sgualdrina- urlò, poi, con veemenza. Cristina si allontanò con un salto, tremante. Nonostante fosse buio, si potevano distinguere bene le vene di Lui, pulsanti, rabbiose anch’esse.
Lui si mosse veloce e prima che lei se ne rendesse conto l’aveva afferrata per i capelli e la stava tirando per il corridoio. Il dolore era forte quanto la sua presa; le salirono delle lacrime agli occhi. Il cuore le balzava forte nel petto, le cose non dovevano andare così.
Il suo passo era veloce, troppo per le gambe stanche di Cristina. Cadde, ma Lui non se ne curò, continuando a tirarla, trascinandola verso il bagno.
Le diede uno strattone per alzarla:
- Guardati nello specchio- le intimò, e le sbattè quasi il viso contro esso- sei un ragazzina cattiva, le vedi come sono le ragazzine cattive?
Il suo viso era arrossato, i suoi capelli tra le mani di Lui, le lacrime le rigavano il viso, la testa le pulsava.
- Rispondi! Maleducata!- e le premette una guancia contro lo specchio freddo.
- Sì lo vedo!- rispose quasi soffocata.
- Il tuo tono non mi piace. Dovresti lavarti la bocca.
Sorrise, Cristina lo vide chiaramente attraverso lo specchio. Era un sorriso divertito, sformato, maligno.
Aprì il rubinetto del lavandino e lo tappò, poi aspettò che fosse pieno, continuando a tenere Cristina per i capelli.
Poi rise, gelido.
- Te le imparo io le buone maniere.
La piegò con violenza e le mise la testa sotto l’acqua.
Era fredda, maledettamente fredda, e il suo naso premeva forte contro la ceramica. Aveva le ginocchia piegate per mantenere quella posizione innaturale. Era difficile, doloroso.
Le sue ginocchia stavano per cedere e le mancava l’aria. Lui la tirò su, così che riprese l’aria.
- Manca il sapone, sennò come faccio a lavartela, questa boccaccia?
Prese il sapone liquido e lo aggiunse a caso all’acqua.
Cristina sentiva qualcosa scorrerle sulle labbra, guardando nello specchio vide che le uscivano rivoli rossi di sangue dal naso. Le faceva male. Ma il dolore peggiore era il cuore che batteva all’impazzata nel petto, il nervosismo, cosa sarebbe successo?
- Sei pronta?- le disse rimettendole la testa ne lavandino, costringendola a ripiegare le ginocchia per entrarci.
L’acqua le entrò nel naso, cercò di rialzare la testa, ma la mano grande di Lui la imprigionava. Soffocava.
Proprio in quel momento le ginocchia le cedettero, facendole sbattere il mento contro la dura ceramica. Faceva male, tanto male.
- Non ce la fai, eh? Hai imparato la lezione?- le disse tirandola su.
- Si- sussurrò lei nervosa. Respirando più che poteva.
- No, non ti credo, sgualdrina.
La presa di Lui sui capelli di Cristina si rafforzò e la testa iniziò a pulsarle più che mai.
Guardò l’acqua rosata dal sangue che continuava a perdere dal naso. Voleva scappare.
La immerse per la terza volta.
Cristina tenne gli occhi chiusi nell’attesa che lui la ritirasse fuori, bisognosa d’aria.
Nell’acqua non si sentiva il rumore della sua risata. Nell’acqua non si sentiva il battere del cuore e il pulsare della testa.
Ma quanto tempo era passato? Perché Lui non la tirava fuori per torturarla in qualche altro modo?
Soffocava. La stava soffocando.
Cristina aprì gli occhi nell’acqua ma il sapone bruciava, doveva respirare, ne aveva disperatamente bisogno.
Si divincolò, cercò di alzare la testa, ma Lui era forte, troppo forte. Aprì la bocca, riempiendola di acqua insaponata. Le bollicine d’aria salirono, lui doveva averle viste, ma continuò a spingere.
Stava male, tutto le faceva male, ma mai quanto faceva male quel battito del cuore. Batteva, sembrava che le strappasse la carne, che muovesse il suo corpo senza che il suo cervello volesse, la faceva tremare.
Cercò di urlare, ma l’acqua nascose il suo grido disperato.
Poi, Lui la tirò su; respirò.
- Volevi dirmi qualcosa?
- Sta-vo sof-fo-can-do- cercò di dire, ma non era sicura di averlo pronunciato.
- Ah, sì? E credi che questo ti dia il diritto di violare la mia autorità? Se io dico che devi fare una cosa tu la fai finchè io non ti dico di smettere- aveva perso ogni lume di ragione. Era davvero impazzito- devi capirlo, ragazzina, devi capirlo!
In meno di un secondo riabbassò la sua testa, ma non verso l’acqua, verso la ceramica.
Le voleva sbattere la testa al lavandino. L’impatto fu duro, ma non troppo forte. Non abbastanza da farla svenire. Il dolore era insopportabile. Il dolore al cuore, il dolore alla testa.
Urlò. Lo fece più forte che poteva, con più voce di quanta ne aveva davvero, con più aria di quanta ne aveva nei polmoni. Il sangue caldo le iniziava a scorrere anche sulla fronte.
Lui la afferrò maglio per ripetere l’azione. Basta, disse la sua testa pulsante.
Basta, disse il suo corpo morato da tutte le botte che lui le aveva dato negli ultimi due anni.
Basta.
Basta.
Non gli avrebbe permesso di ucciderla, Lui non aveva questo potere.
Ormai la sua testa era vicinissima alla ceramica del lavandino, era la fine.
No. Strattonò la sua testa dalle mani di Lui, con una forza che non sapeva di avere.
Alcuni capelli rimasero a Lui, ma ora era libera.
Vacillò, incapace di stare in piedi, con la vista offuscata dalle lacrime e dal sangue.
- Cosa fai? Osi disubbidirmi?
- Mi facevi male.
Era semplice, lampante.
- Davvero? E questo ti fa male?- le diede un calcio nello stomaco e la buttò per terra- Bugiarda, impara a non mentire.
- Io non mento mai- rispose con rabbia.
- Tu non mi rispondi così, hai capito?
Era un urlo anche il suo, di rabbia di rancore, di pazzia.
Frugò nella tasca dietro dei pantaloni e vi estrasse un pistola, poi la puntò addosso a Cristina.
Dove diavolo l’aveva presa? Cosa voleva farne?
- Io ti ammazzo.
- Papà, mi fai paura, basta! Smettila- disse flebile. Aveva finito le energie, la testa pulsava troppo, era stanca. Poteva anche ucciderla, se voleva?" papà, per favore.
Nel sentirsi chiamato per quello che era Lui cambiò.
I suoi occhi si persero nel vuoto, era davvero ora di smetterla. Lasciò cadere la pistola nel pavimento del bagno, senza nemmeno accorgersi.
Ma in un secondo tutto cambiò di nuovo:
- Bugiarda, sgualdrina!- le disse e le assestò dei calci allo stomaco come non avrebbe risentiti in tutta la sua vita.
Cristina si raggomitolò in sé stessa, li sopportò tutti, conscia del fatto che Lui la stava insultando, ma non sentendo cosa diceva. L’unica cosa che sentiva era il battito veloce del suo cuore.
Voleva che tutto tornasse normale, voleva smettere di avere paura.
La sua pelle sentiva il freddo delle mattonelle, il suo corpo sentiva il dolore delle botte, i suoi occhi vedevano il pavimento lucente e… La pistola.
La afferrò lenta, senza nemmeno pensarci. La prese nella mano tremante e la puntò su di Lui.
La vide e si fermò, come di sasso.
- Cosa fai?- le chiese. Non ebbe nessuna risposta.
- Cosa fai?- richiese.
- Ti ammazzo.
Rise.
- No, non hai il coraggio. Sono tuo padre. Lo pagherai caro, questo affronto- poi fece per avventarle uno schiaffo. Cristina continuò a puntargli la pistola.
- Toccami e io sparo.
Rise di nuovo, sicuro di sé. Si sentiva indistruttibile, nessuno poteva fargli del male.
Non fermò il braccio e tentò di picchiarla ancora.
Basta, ripetè il suo corpo.
Fu allora che Cristina fece fuoco. Nemmeno si alzò. Sparò dal basso verso l’alto. Da lì Lui sembrava un gigante inarrestabile. Ma non era così.
Bastò un colpo. Uno solo, dritto al cuore. Un tonfo, un rumore fortissimo, un uomo che cadeva per l’ultima volta.
Era finito, non c’era più. Cristina si accasciò a terra e sentendo il rumore delle sirene della polizia si abbandonò alla calma. Il suo cuore aveva smesso di battere all’impazzata, il dolore era finito. L’inferno si era ripreso il suo vampiro.
Cristina si guardò attorno nel buio della stanza. Le sembrò di risentire il rumore sordo dello sparo.
Le sembrò di risentire il dolore al cuore, la paura.
Respirò lenta. Non era successo nulla, erano solo i ricordi.
Continuò a fissare il raggio di luce che entrava dalla persiana vecchia. Erano passati sette anni.
Legittima difesa. Questo aveva detto la polizia e aveva archiviato il caso.
Non era successo nulla, l’incubo era finito.
Bastava rimanere lì, sola, al buio, dove nessuno poteva sapere dov’era.
Non si poteva fidare di nessuno. La paura poteva essere dappertutto.
Cristina si schiacciò di più nella sedia, nessuno la doveva vedere. Non voleva sorridere.
Stava bene da sola.
Non ci si poteva fidare di nessuno, nemmeno del proprio padre.
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0 recensioni:
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- povera cristina... raccontato benissimo, anche se scritto un po' meno; ma ho notato più di un punto in comune col mazzo di rose: il genere botte deve scompifferarti anzicchennò, a meno che tu non voglia liberarti di qualche tuo demone scrivendone... ti auguro le migliori cose nat
Fisix il 17/05/2009 00:30
Rileggendolo ritrae veramente una storia affascinante e nello stesso modo struggente, ne vale la pena leggerlo, coinvolgente!
Fisix il 17/05/2009 00:20
bellissimo componimento
- bello mi paiace assai
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