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MILO
Li pensava esseri fantastici e misteriosi.
Piccoli elfi della notte.
Probabilmente perché non aveva motivi per credere che non fosse così, non gli era mai capitato di vederli durante il giorno e in generale capiva molto poco della realtà che gli stava attorno.
Li desiderava come un sogno... esseri ineffabili, difficile incrociare il loro sguardo, il loro viso nascosto sempre a metà, invisibili come folletti, creature fantastiche che la notte colorano la città con strane scritte che ai più non è dato capire. Qualcuno poi gli aveva detto che neanche esistevano e quegli incomprensibili scarabocchi, che ammirava incuriosito dalla piccola finestra in realtà altro non erano che opera di vandali. Ma ciò lo aiutò soltanto ad accrescere la curiosità con il gusto del mistero.
Con la disperazione e col tempo imparò a capire quegli strani grovigli: i simboli dai colori schizzoidi, quelle brevi sequenze di lettere, in realtà custodivano qualcosa di molto importante, erano il nome segreto del loro artefice, la sua verità che urla al mondo ignorante: "io esisto ". Gli risultò abbastanza logico che fosse questo il motivo per il quale a molti non fosse concesso di capire, in fondo è giusto che solo tra di loro fossero capaci di conoscere i nomi dei propri compagni. Un urlare che ha in se qualcosa di silenzioso, ha un po' il sapore di una provocazione bastarda. Forse è solo la superbia spocchiosa di chi ha trovato un trucco per guardare il resto del mondo dall'alto in basso senza che nessuno glielo abbia concesso. Era sicuramente la cosa più bella che gli fosse mai passata per la testa, l'unica che in qualche modo poté giustificare per la prima volta quella strana speranza, che nessuno aveva mai pensato un ritardato come lui potesse desiderare.
Un giorno una scritta colpì particolarmente la sua attenzione, si faceva notare tra le altre perché eccezionalmente lunga: un treno inconcepibile per quel po' che aveva capito di quel mondo, una lunga fila di lettere deformi e belle che sicuramente dovevano un'altrettanto lunga storia da raccontare.
Fu curioso e decise di saperla e cosi quasi ogni notte cominciò ad appostarsi nel balcone della cucina, quello che dava sul grosso parcheggio di cemento, con un modo di fare da segugio improvvisato. Spesso, in quelle notti che cominciavano a farsi un po' più fresche, ma non abbastanza da far sparire quelle fastidiose zanzare, si trovava a pensare su ciò che volessero realmente indicare quelle poco gentili perifrasi con cui veniva spesso additato dai suoi coetanei, su cosa fosse realmente quella sua condizione. Cominciava solo adesso a farsi un'idea sempre più precisa e dai contorni sempre meno sfocati. era qualcosa che non gli piaceva, era qualcosa che faceva magicamente in modo, che nessuno lo ascoltasse, se non per deriderlo o per fargli dire cose strane di cui non capiva il significato, cosa che ogni tanto gli aveva dato una certa illusoria sensazione di avere anche lui quelle poche attenzioni, che in fondo ogni essere umano desidera; comprese le reali intenzioni dei suoi interlocutori, anche quel suo piccolo momento di gloria era finito. Talvolta- cosa ancora più tediosa- si imbatteva in persone dall'aria forzatamente gentile, che, all'apparenza, sembravano dare tutta l'attenzione del mondo alle sue parole, senza ascoltare in realtà niente di ciò che si sforzava di comunicare, specie certe 'signoremaestre' che lo difendevano svogliatamente.
Passò diverso tempo in questo modo: lunghe nottate a rimuginare sul significato da attribuire alla sua persona, al suo ruolo in mezzo al resto del suo piccolo e complicatissimo mondo, finché una notte non vide finalmente colui che stava aspettando, lo capì subito perché, quasi con una magia, gli lesse addosso quella lunga storia, che lo aveva quasi sfiorato la prima volta che lesse il suo nome.
Era solo e di per se questa era un'anomalia, in quelle notti, infatti, aveva potuto notare che erano soliti girare in gruppo; ma, cosa che lo colpì maggiormente, ogni suo movimento era caratterizzato come da una precaria delicatezza.
Cercò di farsi piccolo piccolo dietro la ringhiera del balcone per paura di essere visto, infatti si era accorto che appena si sentivano osservati fuggivano via. Lo vide all'opera, era veramente bravissimo e finalmente ebbe la conferma che proprio di lui si trattava.
Quella notte non poté far altro che osservare in silenzio, quasi tremando, totalmente vinto dall'emozione, ma nei giorni seguenti decise di organizzare un piano per poterlo avvinare almeno una volta.
Ormai sapeva come ognuno di loro fosse profondamente legato a una sorta di propria zona e come tendessero spesso a tornare negli stessi luoghi, l'offesa gravissima di scrivere nel territorio di altri, o peggio coprire le scritte altrui con le proprie.
Era solo questione di saper aspettare.
E aspettò... e aspetto ancora finché una notte finalmente non lo rivide, allora si diresse con velocità sgraziata verso l'ingresso aprì la porta sistemò lo zerbino in modo tale che non si richiudesse e via velocissimo verso il grande parcheggio.
"Perché? perché è il nome più lungo di tutti. voglio saperlo."
E allora per la prima volta si verificò l'irrealizzabile: l'essere misterioso non scappò e gli rispose e fu la prima e unica volta che qualcuno gli si rivolse come se fosse una persona-non-nella-sua condizione, senza neanche interrompere ciò che stava facendo disse
"io sono kor H, Lmlk era mio amico ed è morto, facendo ciò spero continui a vivere presso di me; un giorno morirò anche io e allora non saprò che succederà ma fino ad allora Lmlk vivrà presso di me".
da allora stette sempre li ad aspettare korH. Ed ogni notte spiava dalla finestrella per osservarlo, poi non lo rivide più, allora pensò a quelle parole che risuonarono nella sua mente come una profezia...
Poi un giorno nel grande parcheggio comparve una nuova scritta.
MILO x Lmlk@Kor H.
perché Milo era diventato uno di loro, aveva compreso che l'eternità gli aveva lanciato una sfida.
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