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QUI VIKINGO
-Qui Vikingo, ciao Condor?"
- Uei pirlazzo, come stai! -
Vikingo è inchiodato in coda dalle parti del casello di Terme Euganee, causa grave incidente con vittime. Possibilità di sbloccarsi nada ne nada, tanto vale fare due chiacchiere con il Condor, che si è fermato all’Autogrill di Roncobilaccio, ma può riprendere a correre quando vuole, beato lui.
Vikingo pensa che il Condor ha ragione a dargli del pirlazzo. La fretta, pensa il Vikingo, è il nemico principale del camionista, però il camionista è sempre in ritardo per definizione, tutti vogliono la merce consegnata al più presto, se è per ieri è meglio, così il camionista viaggia sempre con il suo nemico vicino, accomodato sul sedile del passeggero.
Oggi il Vikingo, che doveva partire da Padova alle undici, consegna prevista a Firenze massimo alle diciotto, code a Bologna permettendo, è partito dal museo alle quattro del pomeriggio. Non è colpa sua, sono stati quelli del museo a ritardare il carico, è successo di tutto. Parti lo stesso, ha detto lo spedizioniere. Minimo vi arrivo alle dieci ha risposto il Vikingo. Ma noi ti aspettiamo, ha detto lo spedizioniere. Ma la mostra comincia fra tre giorni, ha fatto notare ilVikingo. Tu devi fare quello che ti diciamo noi, ha detto lo spedizioniere, e così il Vikingo, come sempre, aveva una fretta boia e il pepe al culo, e si è fiondato in autostrada, casello Padova Zona Industriale.
Vikingo ha la radio rotta, proprio oggi ha deciso di sfasciarsi ‘sta gran vacca. Non poteva ascoltare l’Onda verde, ma poteva sentire due o tre colleghi in giro. Hai cannato alla grande, dice il Vikingo a sé stesso, forse ce la facevi a levarti dai maroni, ma adesso ci sei dentro, e chissà quando si riparte.
Il Condor è sempre informato in tempo reale su quello che succede su tutte le strade d’Italia, e per dire tutte si intende tutte, anche le provinciali più imbucate, quelle che fanno gli ottomila come Messner su per le montagne, o ti portano a vedere il panorama dei campi di mais. Anche questa volta, il Condor ne sa più del Vikingo, che, dopotutto, sta piantato lì a soli cinque chilometri dal macello. Perché è stato un macello, gli ha spiegato il Condor. Un polacco sbronzo si è ribaltato, e ha fatto a pezzi tre macchine. Quattro morti, ma non il polacco, quel figlio di…. Sono quelli come lui che fanno una brutta fama a noi camionari, pensa ilVikingo. Quattro morti. E dieci chilometri di coda. E la nebbia. Uno di quei bei nebbioni padani, che te lo potresti mangiare a cucchiaiate come la pasta e fagioli.
Appena si torna a correre, mi fiondo in un autogrill, e dormo, pensa il Vikingo, sempre se riesco a beccare l’entrata, qui non si vede una mazza. Lo spedizioniere ha sbraitato come una tigre, quando il Vikingo gli ha detto dell’incidente, ma mica posso levar via la coda con le ruspe, ha risposto il Vikingo, così lo spedizioniere se l’è messa via, ci vediamo domani mattina ha detto, ma mi raccomando, al più presto possibile.
- Che cosa c’hai in camion, Vikingo?- chiede il Condor
- Una bionda da farci le bave, caro Condor! Una strafica internazionale!-
- Ma va a dar via i ciap! Stan tutte lì per te le bionde, sedute in fila sul guard rail che aspettano di
salire sul tuo scassone!
- Non offendere il mio camion, e vedi, piuttosto, che quel tuo bussolotto non ti si sbricioli sotto il culo!
Condor manda di nuovo il Vikingo a dar via eccetera eccetera, quando lui gli spiega che la bionda in questione è un ritratto, del millecinquecento, o seicento, roba antica e di valore, e che sta portando a Firenze dei quadri per una mostra.
- Ah giusto! Adesso corri per quelli dell’arte - commenta il Condor?" com’è che hanno preso una bestia ignorante come te per portare in giro roba artistica?
- Perché, per andare in giro con roba artistica, come la chiami tu, bisogna saperlo portare il camion. Quelli che mi hanno caricato i quadri sono più o meno gli aristocratici del facchinaggio, ma sono io che devo starci attento. Se faccio una stronzata con questo carico mando a puttane qualche milioncino di euro!
- Ma è davvero così figa, la bionda del quadro? ?"
- Prima classe superlusso Condor! Adesso è ben imballata in una cassa, ma ho fatto in tempo a vederla. Che tette, ragazzi, e che gambe! Non è mica tanto vestita, solo qualche velo rosa qua e là, per i suoi tempi praticamente un pornoquadro! Per me, quello che l’ha dipinta se l’è fatta, garantito! E visto l’occhio che ha quella tipetta, per me voleva farselo anche lei!
- Uei, Vikingo, ma stai parlando di arte, o di maialate! Ma sparati un bel pornazzo, Vikingo, o tirati su una alla prima circonvallazione, invece di sbavare dietro alle puttane del Medioevo!
- Il Medioevo è finito con la scoperta dell’America, ebete! Quella lì ha vissuto dopo, nel millecinque, o millesei, te l’ho anche detto prima. Si chiamava, …. Si chiamava Aurelia... era una nobile… ah sì, adesso mi ricordo, me lo ha detto uno dei facchini, Contessa Aurelia Montefoschi.
- Uei, ’gnurnant! Te la tiri tanto perché lavori con roba culturale, e non sai neanche chi era l’Aurelia Montefoschi? Lo so perfino io, che io, in storia, sempre stato una frana. ?"
- Beh, allora spiegamelo prof delle mie chiappe! ?"
- Ma se era perfino delle parti tue! Anzi, mi sa che stava proprio vicino a dove sei arenato adesso. -
- Sui colli Euganei? ?"
E Condor racconta tutta la storia.
Anche Aurelia era nobile, ma di quelli decaduti, con le pezze al sedere il castello di famiglia ipotecato, comincia il Condor.
Vikingo pensa che il Condor, magari, in storia sarà stato una frana, ma che, oltre a sapere tutto quello che succede su ogni centimetro della rete stradale, è al corrente di ogni pettegolezzo dall’Antica Roma ad oggi. Il Vikingo ascolta volentieri. Un poco ci crede, un poco no, però la storia è intrigante, e la coda è ancora bloccata. Tanto vale farsela raccontare tutta, e il Condor è bravo a parlare.
Figa com’è, Aurelia si rimedia un aristocratico di quelli con tutti i crismi, con terre e castelli, e casse piene d’oro nei sotterranei di casa. Oltre la cinquantina, e pure brutto, ma i soldi sono soldi.
Neanche il tempo di togliersi il velo da sposa, e la giovane signora comincia a riempire di corna il disgraziato coniuge. Da quello che dice Condor, pensa il Vikingo, lì non si è salvato neanche il cavallo.
Il vecchio sopporta, per un po’ anche perché, si dice, l’Aurelia è una mezza strega, lo tiene buono con incantesimi e pozioni varie.
Poi lei si fa dipingere un ritratto. Si chiude in una stanza con il pittore per un’ora o due ogni giorno, non vuole nessuno, perché l’artista deve creare, dice lei.
Poco dopo sparisce. Di lei non rimane traccia, e non si sa più niente neanche del pittore, che era giovane, e stava cominciando a farsi strada, aveva già fatto due o tre cose molto belle, rende noto il Condor.
Il vecchio Conte Montefoschi, va avanti a raccontare il Condor, ha abbastanza soldi e potere per stroncare qualunque indagine, e per far tacere le lingue troppo lunghe.
Si fa dichiarare vedovo, si lima a zero il palco di corna, e sposa una ragazza giovane ma racchia e bigotta, di quelle che non lo fo per piacer mio, ma per dare figli a Dio, e che riesce anche a dare al vecchio conte due rampolli maschi per continuare la stirpe.
- Ma mica finisce qui, Vikingo!- continua Condor, e parte con la storia horror.
Ai primi del ‘900 la famiglia fa ristrutturare il castello, e che ti scopre, abbattendo un muro?
Un quadro, e due scheletri. Pare che al vecchio gli siano girati, e, mentre i due che ci davano che ci davano, e anche di brutto, visto che non si sono accorti di niente, ha fatto tirare su un bel muro, e li ha lasciati là, a morire di fame e di sete. Chissà perché non hanno provato a scappare dalla finestra, si domanda il Vikingo. Vabbè che il Condor ha detto che la stanza era in alto, su una torre, ma potevano almeno tentare, piuttosto che morire in quel modo orrendo.
È proprio vero che quelli di fuori ne sanno molto di più su quello che succede a due passi da casa tua, considera tra sé il Vikingo. Quando è andato a caricare i quadri al museo, uno dei facchini gli ha detto che il ritratto era una donazione di circa cento anni fa, e che era rimasto sepolto in un magazzino fino a quando uno storico d’arte lo ha scoperto, e ha cominciato a parlare a destra e a manca della riscoperta di un giovane talento dimenticato ingiustamente, e cose di questo genere.
Fino a poco fa il Vikingo non ne sapeva niente di più. A parte che quella era figa, una gran figa, e che l’avevano pure imballata da schifo, tanto che, proprio quando stavano per caricarla sul camion il coperchio della cassa ha cominciato a staccarsi, e hanno dovuto rifare tutto daccapo, lì, sul momento, così il Vikingo, finchè aspettava, si è rifatto l’occhio, visto che i veli coprivano ben poco. E adesso il Vikingo spera che tenga, anche se lui sta attento perfino ai tombini sporgenti, quando porta roba d’arte.
- Io quel quadro lì l’avrei bruciato?" fa il Condor?" altro che musei!
- Adesso ti lascio Condor. ?" taglia corto il Vikingo - Qui ci si muove, ma ci fanno uscire dall’autostrada. Al primo paese scendo, e mi faccio un caffè, e magari anche una grappa, tanto dopo mi trovo uno spiazzo e mi faccio un pisolo storico.-
Fuori dall’autostrada la nebbia è un muro bianco. Altro che caffè. Meno male che viene un po’ di luce dai fari di quelli che stanno qui, in fila, alle dieci di sera, avanzando a ritmo di lumaca verso casa, o verso dove diavolo vanno. Chissà se anche loro, si chiede il Vikingo, stanno tirando porchi qua e porchi là che bucano il nebbione e arrivano in cielo, fino a chi di dovere.
Il Vikingo arriva ad un distributore. Nella nebbia quasi lo manca, vede l’insegna all’ultimo momento. C’è un bel parcheggio ampio, nessun rischio di portarsi via una pompa. Il Vikingo guarda fuori attraverso il parabrezza. Adesso che si trova più lontano dalla strada, gli sembra di essere finito dentro uno zucchero filato gigante. Uno zucchero filato di quelli tutti gonfi, e rosa. Rosa? Meglio farsi un bel sonno. Quando si guida il camion bisogna imparare a capire quando davvero stai andando fuori di cranio, e se fai solo un altro metro ti ci giochi la pelle, e magari anche quella di qualcun’ altro.
Devo essermi addormentato sul sedile, pensa il Vikingo, e prende il telefonino, e trova in rubrica il numero del Condor, ma non pigia subito il tasto di chiamata, perché, pensa il Vikingo, il Condor, a quest’ora, o dorme, o s’è trovato compagnia. Però, pensa il Vikingo, devo raccontarlo a qualcuno, devo raccontarlo questo sogno che mi pesa in testa come una pila di mattoni, e, mentre lo pensa, preme il bottone.
- Chi è che scassa a mezzanotte e mezza? ?" è l’accoglienza del Condor?" ah sei tu Vikingo? Motivo dello scassamento? ?"
- Ho fatto un sogno, Condor!-
- Senti Vikingo, io porto il camion, mica faccio lo strizza!
- Lo strizza cosa?
- Lo strizzacervelli, ’gnurant, lo psicologo, bestia! Sono loro quelli che si fanno raccontare i sogni della gente! Vabbè, visto che a quest’ora di strizza non ne trovi, spara ’sto sogno, ma poi lasciami dormire!
- Sicuro di non esserti impasticcato, amico? ?" domanda il Condor, dopo avere ascoltato tutta la storia.
Il Vikingo non si offende. Il commento del Condor gli pare, anzi fin troppo generoso.
- Allora, Vikingo?" fa il Condor?" ti ho raccontato di quell’Aurelia lì, lei ti è rimasta in testa, e te la sei sognata. Ma mia nonna, che era una che del mondo capiva tutto, diceva che i sogni sono come le scoregge, Vikingo!-
- Sarebbe? ?"
- Sarebbe che il cervello si sfoga con i sogni, fa aria come il sedere, un poco di puzza, e poi non rimane più niente. Senti Vikingo, la cura è mettersi in cuccetta, e dormirci sopra. Domani mattina ti svegli bello fresco e col cervello ripulito, dai retta al sottoscritto!
Il Vikingo si arrampica sulla cuccetta, tira giù i tendalini, e chiude gli occhi.
- Ancora fermo Vikingo? Muovi subito quelle chiappe, o il viaggio non te lo pago!- gli dà il buongiorno lo spedizioniere, non sono neanche le sette, ma la nebbia, almeno è andata via. Si sta preparando una di quelle belle giornate d’inverno, limpide e secche, che ti mettono energia, e voglia di correre, ma non di correre a fare la consegna, di puntare il muso del camion verso l’altrove, verso l’avventura.
Il Vikingo, prima di partire, apre il cassone, e dà un occhio al carico. Tutto a posto, anche la cassa dove hanno chiuso la bionda. Il Vikingo sale, guarda da vicino, tanto per essere sicuro.
Ogni chiodo è perfettamente fissato, e il Vikingo ridacchia. Le casse non possono richiudersi da sole, succede solo nei sogni.
La mente gli rimanda una serie di flash spezzati e violenti, qualcosa come le luci stroboscopiche delle discoteche.
Lo strano rumore nel cassone. Lui che si fionda fuori dal camion. Quella nebbia color rosa.
La cassa col ritratto aperta.
Nebbia rosa anche dentro il cassone. La bionda che, dal ritratto, gli parla.
Devono essere passati secoli, gli dice. Devo andare via di qui, gli dice.
Lui che chiede come ci è finita, dentro a quel quadro. Meglio che tu non sappia, lei risponde.
Allora sei viva, lui dice. Sono riuscita a non morire, lei risponde.
Lui che chiede che fine ha fatto il pittore. Non ce l’ho fatta a salvarlo, lei dice. Almeno sono stata capace di non farlo soffrire, lei dice.
Bella, mentre lo dice, bella e triste.
Il bacio di un uomo mi libererà, lei gli dice.
Lui che bacia il quadro. Invece della tela, labbra vere. E un bacio di quelli che ti tirano fuori l’anima.
Lei che esce dal quadro. Non è più triste. E nemmeno più così bella.
Quei veli rosa, ricamati di perle, che gli sfiorano una mano.
Lei che, in mezzo al piazzale, ride come riderebbe il Demonio. Lui che pensa, ma che cazzo ho fatto!!
Lui che le dice, ehi, mi lasci tutto ‘sto casino. Lei che ride anche di più. Lei che fa un cerchio in aria con le braccia. Il coperchio del cassone che si rialza, e torna a posto.
Lei che sparisce in un vortice.
Il vortice è rosa.
Poi rosso.
Poi nero come l’Inferno.
Ha ragione il Condor, pensa il Vikingo, osservando il coperchio perfettamente sigillato, i sogni sono come le scorregge.
Richiude il cassone con cura, controlla le gomme, manda a quel paese lo spedizioniere, che sta scassando di nuovo, ma quando ti muovi, Vikingo!
Benzina, pisciata, e caffè, e già non ci pensa più.
Adesso che è partito, si sente proprio bene. La strada, sotto le ruote del camion, scorre liscia e docile, proprio come piace a lui.
Sulle curve, una piccola perla rotola, ora da una parte, ora dall’altra, sul pianale del cassone.
Se ci fosse luce, manderebbe riflessi color arcobaleno. O color rosa.
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