Raccontami una storia

Papà, raccontami una storia!
Ecco, è forse per questo che ho sempre desiderato scrivere, seppur inconsciamente. Non che fosse esattamente ai primi posti della mia playlist dei sogni da diciassettenne ribelle, scapestrato ed anche, a volte, parecchio rincoglionito, quello di fare un figlio.
E forse però è partito tutto da lì.
È sempre stata viva, sottopelle, l’intenzione di scrivere qualcosa di originale per quella povera creatura che porta il tuo cognome, qualcosa che fosse diverso dalle solite favole che trovi in edizione economica sugli scaffali di ogni centro commerciale e che qualsiasi altro padre grigio e triste, dall’operaio al magnate della finanza, finisce sempre per comprare.
Il ragionamento, a pensarci, fila che è una meraviglia.
Non puoi certo regalare a tuo figlio di due anni un manuale su calce, cemento, travi e calcestruzzi (sempre ammesso che esista, intendiamoci), né tanto meno un trattato di micro-economia o un pesantissimo tomo sui sottili sistemi finanziari di questo nostro, incasinatissimo, XXI secolo.
“Ma se io mi metto a fare lo scrittore?" ho brillantemente pensato?" potrò usare il mio lavoro, un lavoro che mi piace e che mi è sempre piaciuto, per scrivere una storia da regalare a mio figlio, sicuramente la cosa più bella che potrà accadermi in futuro, e sarà un regalo originale, uno dei più bei regali originali che un padre abbia mai fatto. E finirà col farlo sorridere, commuovere, piangere, riflettere o semplicemente addormentare”.
Resta un solo, piccolo dettaglio in questa meravigliosa congiunzione di amenità; io non so scrivere.
E anche ammesso che ne sia capace; io non so scrivere storie per bambini.