Nella valle il sole scendeva lentamente, lentamente, come se restasse legato il qualche oscuro modo alle stelle di cui faceva parte. Piano piano si spostava aggirando le nuvole senza spostarle, infiltrandosi tra loro in un sussulto per poi ritrovarvisi davanti. Giocava, giocava, e lentamente scendeva il sole.
Lui camminava come sospeso in quella luce, come se tutti i suoi dubbi si fossero materializzati in quella fitta nebbia; vapore in mezzo a loro, fra di loro, dentro di loro. Vapore che condensa e si tramuta in acqua, acqua che si infrange contro un marciapiede di marmo.
Non ne ho mai visti, di marciapiedi di marmo.
Ma in quel modo c’era questo e altro, c’erano briciole volanti e lombrichi, animali spaventosi e favole senza senso, alberi senza foglie e dita senza guanti. E poi, quella mattina, c’era quella strana luce, così insolitamente falsa e traditrice per un mondo di fiabe. Iniziamo dall’inizio.
Era l’alba, mattina molto presto, quasi ancora notte. Forse era proprio notte, i tetti delle case si distinguevano appena dalle cime delle montagne; la neve copriva entrambi con un caldo e gelido mantello, qualcosa di soffice ma che dava un senso di pesantezza e di immensità ad ogni cosa. La neve è acqua, la nebbia è acqua. E in quella stravagante mattina neve e nebbia coesistevano, come dandosi l’un l’altra la forza per sorprendere, deridere.
Ma questa è un'altra storia.