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Just One Night - Ritorno a Casa
Al mio angelo dalle ali nere
- Sleep with me tonight... -
Una frase sussurrata nel buio, quasi una timida supplica.
Osservo l'uomo che l'ha mormorata nel riflesso tenue della luce verdastra della radiosveglia: occhi sinceri.
La sua mano mi accarezza timidamente i capelli, come se avesse paura che questo gesto così innocente mi facesse scomparire. Le dita esitano un attimo dietro l'orecchio, poi scivolano sulla guancia e si fermano sul lenzuolo ancora caldo.
Guardo l'ora: le 4:32... Un orario che sembra un conto alla rovescia.
4... 3... 2... 1... E la fine.
- I'll have a shower - rispondo, alzandomi dal letto.
Il contatto dei piedi con il pavimento freddo mi riporta alla realtà, sancendo la fine di un attimo di magia.
Per un secondo, quella proposta è suonata pericolosamente allettante: riposare vicino a un cuore che batte, lasciarsi cullare da un respiro regolare e scaldare dal tepore di un corpo caldo...
Sto per alzarmi, ma due braccia robuste si chiudono saldamente attorno alle mie spalle e un bacio delicato si posa sul mio collo. Le labbra scivolano lungo la mia pelle, fino alla spalla, per poi ripercorrere lo stesso stragitto in senso opposto, fino alla guancia.
Sospiro per un attimo, illudendomi che la dolcezza trasmessa da questo bacio possa toccarmi. La verità è che invece non mi tocca come dovrebbe. Quello che provo, è il piacere della carezza gentile, i brividi del desiderio fisico… Nulla di più.
Delicatamente, ma con decisione, mi sottraggo all’abbraccio. Sono stanca di palliativi e l’unica cosa che davvero mi va, ora come ora, è una bella doccia rinfrescante.
Recupero il mio zaino, abbandonato ieri sera nell’angolo della stanza, poi mi dirigo verso il bagno e mi chiudo dentro: di nuovo sola!
Mi osservo per un attimo allo specchio: vuoti. L’ennesimo uomo, l’ennesima notte di sesso… Ma i miei occhi non si sono accesi nemmeno oggi! Sorrido, con un po’ di malinconia a me stessa: perché dovrebbero illuminarsi? Che motivo hanno per farlo? Eppure, dovrei avere un’espressione languida e soddisfatta! Le labbra ancora umide, i capelli spettinati, la pelle del collo arrossata sono tutti segni della passione appena consumata che dovrebbero farmi sentire appagata… Invece sembrano solo squallidi segni di sciupamento.
Scacciando la malinconia con un sospiro, mi infilo sotto il getto d’acqua appena tiepida e rabbrividisco: ecco il vero piacere! Sentire il liquido che scorre addosso e picchietta sulla pelle, che rilassa i muscoli stanchi e porta via con sé la polvere della giornata, la stanchezza e il sudore.
Vuoti… Ma una volta brillavano.
Quando un angelo mi stringeva forte a sé.
Mi insapono i capelli, ripensando a quelle labbra maliziose, alla prima volta che sfiorarono le mie…
Non sapevo nemmeno cosa stesse facendo, ma ricordo come se fosse adesso l’emozione intensa di quegli attimi: il battito rapido del cuore, il respiro veloce, le gambe di gelatina… E il calore di averlo vicino, il sapore un po’ aspro del mandarino che avevamo appena mangiato, la morbidezza del tocco della sua lingua… E quel sospiro un po’ sciocco che mi scappò non appena si staccò da me! Sembrai proprio la ragazzina che ero, mentre mi appoggiavo con la fronte alla sua spalla, per nascondergli la gioia ebete del primo bacio! Sentii il suo sorriso divertito, mentre con le mani mi incorniciava il viso e me lo faceva alzare verso il suo, avvertii anche il suo respiro delicato scontrarsi con il mio… La sua lingua accarezzò le mie labbra, cercò la mia, trovandola. Forse passarono pochi secondi, o forse ore, ma i suoi baci non mi stancavano!
Mi accarezzo lentamente la nuca e le spalle, come fecero le sue mani quel giorno. Brividi di piacere scorsero su di me quando anche la lingua le seguì, tracciando dolci sentieri sulla pelle scoperta. Poi le sue mani si infilarono lentamente, sinuosamente, sotto il cotone leggero della maglietta, portandolo con sé nella risalita lungo la mia schiena, lasciando libero spazio alla discesa dei suoi baci, delle sue leccate.
Ci abbracciammo strettamente, sentii la sua eccitazione e l’autocontrollo che teneva per non spaventarmi… E poi quel sussurro… Ansimato nel mio orecchio… Quasi una preghiera…
“Ti voglio”…
Lo zittii con la mia lingua, una muta risposta per mettere a tacere le mie paure. Come fece lui, accarezzando e toccando, dapprima lentamente e poi con l’ansia e la frenesia della voglia e del desiderio.
Il suo corpo caldo…
Il respiro deliziosamente corto…
L’amore nei suoi occhi…
Calore, tanto calore!
E il bisogno spasmodico di averlo dentro, mentre piano piano lo sentivo entrare in me…
Nel fisico e nell’anima…
Giro il miscelatore sul freddo: ormai sono momenti finiti, riviverli non li renderà nuovamente reali né farà tornare nel presente quel senso di appartenenza totale, di completezza e… Non lo so, non l’ho mai ritrovato.
Dovrei smetterla di vivere nella ricerca di un ricordo idealizzato… L’illusione di un sogno infantile non porta da nessuna parte. Tuttavia, sfioro con la mano il seno sinistro: il tempo ha cancellato i segni dei baci… Ma quel marchio rosso sul petto non è ancora dissolto.
Scompariranno anche le rimembranze prima o poi? Non sono più certa di volerle ancora con me. Se non mi tormentassero ogni istante della giornata, forse potrei amare un altro sguardo, un altro tocco… Un’altra anima.
Esco sgocciolando dalla doccia, rifissandomi allo specchio: solo con i ricordi brillano.
Mi avvolgo in una morbida salvetta bianca che profuma di sapone di marsiglia. Odore di casa.
Ma stona l’aroma speziato di un altro uomo, del vero proprietario di questa biancheria.
Casa…
Ormai sono due anni che me ne sono andata.
Come vola il tempo! Sembra ieri il giorno che presi lo zaino, il mio orso di peluches, pochi vestiti, l’inseparabile macchina fotografica e il telefono, poi via! Partii alla ventura, senza una meta, senza una strada precisa da seguire. Affittai il mio appartamento a un’amica novella sposa ed andai.
Scappai.
Ora vendo qualche foto ai giornali, traduco dei testi per le case editrici e me la cavicchio con dei lavoretti saltuari. Vagabondo per il Paese, qualche volta anche all’estero, senza fermarmi mai più di una settimana in un posto. Faccio la vita da zingara che sognavo da bambina, senza legami e con il vento come unica guida. Vabbè, una gitana con computer portatile e telefonino, ma pur sempre girovaga!
Mia mamma mi sta chiedendo da quasi un anno e mezzo di tornare a casa, perché le manco. Dice che ha bisogno di me. Dice che la preoccupazione la sta uccidendo. Ma capisce anche la mia voglia di libertà.
Le mie amiche, di contro, non l’avrebbero mai capita. Chissà se qualche volta pensano ancora a me. Difficile, visto che non le ho nemmeno salutate. Sono semplicemente sparita. Se mi incontrassero ora, forse non mi riconoscerebbero nemmeno! Con la pelle scurita dal sole, il corpo più affusolato, i capelli lunghi e ribelli, tinti di nero e di ciocche colorate… E i tatuaggi finalmente finiti! Niente più gonne strette e tacchi alti, basta trucchi e magliettine, finiti i tempi della discoteca obbligatoria il sabato sera, del il drink da consumare stipate in buchi decisamente alla moda!
Che liberazione!
Abbandono in un angolo il salviettone e mi vesto velocemente, fissando un’ultima volta il mio riflesso appannato: non ho voglia di asciugare i capelli, l’aria estiva lo farà per me.
Torno in camera da letto e lui (ormai non mi ricordo quasi nemmeno il nome) è ancora sveglio e mi osserva. Uno sguardo gentile, come è stato lui questa notte. Troppo gentile.
Recupero orologio e ciondolo dal comodino, poi mi volto: un sorriso.
- Where are you going? ?"
- I don’t know…. Somewhere, I guess. ?"
Non lo so manco io dove andrò. Mi piacerebbe essere vicino a casa tra un paio di giorni, nel luogo in cui l’ho incontrato, cinque, lunghissimi, quasi eterni, anni fa. Su quella panchina, vicino a quell’albero. Di fronte a quel bambino che lanciava i sassi nell’acqua per colpire qualche pesciolino ignaro.
Chissà se ormai sarà sposato.
Avrà avuto il bambino che aveva sempre sognato? Si chiamerà Francesca o Emanuele, come scherzavamo sempre? No, forse ne avrà scelti altri che gli piacevan di più, Margherita e Giacomo forse.
Ma soprattutto… Ci sarà sempre lei al suo fianco?
Mi sporgo sul letto e poso un bacio leggero sulle labbra di chi mi ha tenuto caldo questa notte: il saluto più tenero che posso concedere a chi ha provato a donarmi luce, anche se solo per poche ore.
Vorrei quasi domandargli di nuovo come si chiama, ma lo ferirei con la mia precoce dimenticanza. Non lo merita.
Ricambia fugacemente il mio gesto, rinunciando a provare ad attirarmi di nuovo a sé. Si alza e cera qualcosa sul suo comodino, un post-it e una biro. Scribacchia velocemente qualcosa, poi me lo porge: “Michael” e un numero di telefono cellulare.
Mi dispiace, ma non lo posso accettare. Ti illuderei che lo componga e ti richiami. Ma tu per me non sei stato altro che una stella cadente in un cielo d’agosto, a cui affidare la speranza che il mio desiderio si realizzi. Non voglio sapere dove finirà il tuo viaggio, né accompagnarti più a lungo durante esso.
- Farewell, Michael. ?" mormoro, accarezzando la sua bocca in un fugace addio, abbandonando il foglietto sul letto accanto alla sua mano.
Mi dispiace, non sono la donna che cerchi, né voglio che tu diventi il palliativo alla mia solitudine.
I tuoi occhi non sono i suoi, il tuo cuore non ha lo stesso ritmo di quello per cui batte il mio e il tuo respiro non è così inebriante e tranquillizzante per i miei demoni.
Chiudo silenziosamente la porta di casa sua alle mie spalle e osservo per un attimo il cielo: sta già rischiarandosi.
Mi avvio a passo veloce verso la stazione, lo zaino buttato distrattamente su una spalla: con un po’ di fortuna riuscirò a prendere il primo treno e ad arrivare in tempo dove vorrei essere.
Dove vorrei tornare.
Dove lui non mi aspetta più.
Scendo dall’autobus e sorrido: due giorni di viaggio sono valsi la pena di essere di nuovo qui.
Non sono ancora passata a trovare la mamma, non so se mi fermerò o ripartirò. Non la voglio illudere.
Però… dovevo tornare!
Mi fermo in un bar a bere un caffè e mi guardo attorno: la libreria ha chiuso, ora c’è un negozio di videonoleggio. Il negozio di animali invece non si è mosso, probabilmente non sono cambiate nemmeno le gabbiette degli uccelli che espone da quando ero bambina!
La barista mi osserva attentamente, come se fossi un viso conosciuto. Se togliessi le lenti scure, le darei un indizio per capire dove mi ha già visto? Eh, Luciana! Anche il sapore del suo caffè è rimasto inconfondibile!
Pago la consumazione e un pacchetto di sigarette: le vecchie abitudini sono dure a morire!
Guardo l’orologio: mezz’ora…
Mi incammino verso il viottolo che porta all’argine del fiume, su quel sentiero che ho percorso tante volte in bicicletta. Ogni estate, ogni primavera, sempre avanti e indietro a prendere aria pulita e a far movimento per buttar giù quegl’inesistenti chili in più che ogni adolescente che si rispetti si vede addosso.
Sono ancora quella ragazzina o sono riuscita a diventare più donna?
Un tuffo al cuore: la panchina. Quella stessa panchina! Ancora con la vernice verde scrostrata e le incisioni degli studenti sul suo legno: “1998, siamo sopravvissuti al liceo” e tutti i nomi della 5^D di quell’anno.
La accarezzo quasi con riverenza, ripensando a quante volte mi sono riposata le gambe stanche sedendomi su di essa. Lo rifaccio ancora una volta, lasciando cadere lo zaino a terra: sono di nuovo qui.
Fisso il vuoto, ma dentro di me lo rivedo ancora…
Stava passando con la sua bici da corsa, mentre io mangiavo un ghiacciolo. Si voltò verso di me con aria distratta e incrociammo gli sguardi: fu per questo che si dimenticò di pedalare forse, o non vide il paletto contro cui picchiò il ginocchio. Fatto sta che cadde! Un capitombolo eccezionale, veramente!
Ridacchio, rivivendo la scena: la brusca sbandata, l’oscillazione pericolosa a destra e poi a sinistra, quindi il fatale impatto con la terra battuta e la gamba scattata per aria! Allora però non risi, gli corsi incontro, preoccupata che si potesse esser fatto tremendamente male. Lo feci sedere dove stavo prima io, lasciando che si appoggiasse a me per zoppicare fino all’ombra.
“Ti sei fatto male? Ma dove cavolo guardi quando vai in bici?!” lo sgridai, scoprendogli il ginocchio ammaccatto e recuperando la bottiglietta d’acqua per lavare l’escoriazione.
“Mai stato meglio!” replicò, un po’ dolorante, facendo una smorfia buffa mentre gli versavo l’acqua.
“Come no…” lo rimbrottai, rassicurata dal fatto che si era solo sbucciato, nulla di grave.
“Mi chiamo Mario.” mi disse, con un sorriso sbarazzino e uno sguardo di scusa.
Lo guardai: non avevo mai visto uno spettaccolo altrettanto bello. Il sole gli schiariva i capelli bruni regalandogli riflessi castani, aiutato dal vento che scompigliava i riccioli corti. Il sorrilo gli illuminava il volto… E gli occhi… Quelle iridi nocciola, profonde e ridenti, mi stregarono il cuore.
Teatrale forse, ma in quel momento seppi che nessun altro avrebbe mai più potuto reggere il confronto con quell'asino imbranato che era appena rovinato al suolo.
Il rumore di un motore che si spegne mi riporta alla realtà e al presente: cinque lunghissimi anni… È ora di chiudere con il passato!
Afferro il mio bagaglio e me lo carico in spalla, pronta a ripartire alla volta di qualche meta senza nome… Ma mi blocco.
Il centauro si è tolto il casco, rimanendo in sella al suo motociclo. La tuta da strada non può nascondere l’esilità del corpo, ma l’espressione rimane indecifrabile nonostante il sole la metta alla luce.
Vorrei voltarmi e scappare, ma qualcosa mi ferma: quello stesso sguardo ipnotico.
Lo osservo smontare agilmente e non posso non pensare che sì, qualcosa l’ha realizzato: si è comprato la moto che così spesso aveva sognato.
Si avvicina lentamente.
Lo zaino cade dalla mia spalla.
Si sta levando i guanti: l’anello non c’è più.
Un tuffo al cuore: non ha più il regalo della sua fidanzata, quel cerchio dorato che tutte le volte mi feriva l’anima ricordandomi che non era del tutto mio. Sbeffeggiandomi che non lo sarebbe mai stato.
Mi è di fronte, ormai.
Contatto.
Come allora…
La sua mano sale, mi accarezza la guancia.
Mi toglie gli occhiali da sole.
Come si fa a respirare?
I nostri sguardi si incrociano e il mio cuore decide che è ora di ricominciare a battere e far male nel petto: perché c’è ancora tutto quell’amore nel tuo? Perché ce n’è ancora così tanto nel mio?
Il suo viso si avvicina sempre di più.
Il suo palmo scivola fino al mio collo e le dita mi premono la nuca.
Chiudo gli occhi, mentre le sue labbra toccano le mie: fuoco. Calore nella gola, nel petto, nella pancia… E sotto le mie braccia salite da sole a stringergli le spalle… Contro il mio corpo premuto addosso al suo, stretto nella sua dolce presa ferrea.
Un solo pensiero: mio!
Di nuovo, sempre, totalmente mio… Stavolta solamente mio!
Sono a casa.
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