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Una timida intimidente
Sono la sesta di sette figli.
Fino all’età adulta( ma dovrei dire sempre), mi sono sentita sovrastata da tre sorelle e due fratelli maggiori e condizionata da una sorella minore, timida, bellissima e piena di problemi e, per tutto questo, oggetto preferito delle attenzioni di mia madre.
C’era molta confusione ed agitazione in casa. Sarei ingiusta se dicessi che siano mancati l’affetto e l’allegria ma non sono stati tali da farmi superare il senso di disagio profondo che ho provato, soprattutto da piccola; nè da impedirmi di sviluppare difese che mi hanno trasformato, gradualmente, in una persona molto diversa da quella che potevo, e volevo, essere.
Ero una bambina intelligente, vivace ma soprattutto molto desiderosa di affetto. Come tutti, avevo bisogno di far sentire la mia voce ed esprimere questa affettività. Ma ero troppo bloccata e intimidita da voci più forti della mia che in qualche modo mi mettevano a tacere, dalla preoccupazione per mia sorella e dal nervosismo dei miei genitori.
La prima strategia fu l’isolamento. Mi rifugiavo in un mondo di poesie, canzoni, sogni, lunghe pagine di diario e rappresentazioni teatrali, per lo più monologhi, raramente scene di avventura condivise con mia sorella.
Col tempo si consolidò, invece, la strategia dell’aggressività. In particolare quando avevo un problema ( difficoltà a scuola, litigi con qualche amichetta) che nessuno sembrava disposto a condividere, una paura che nessuno sembrava voler prendere sul serio, o che addirittura qualcuno dei miei fratelli derideva.
Allora comiciavo a gridare, piangere e accusare tutti di cose orribili. Finiva a volte con qualche ceffone ma, comunque, questo modo di fare obbligava gli altri, soprattutto mia madre, ad occuparsi di me: se non altro perché non capivano e non sapevano come prendermi, e quindi li intimidivo.
Alzare la voce, esprimere la rabbia ed il rifiuto, mostrarmi petulante e censoria, è diventata, nelle situazioni che mi creavano ansia, come una mia seconda natura.
Per molto tempo non me ne sono resa conto e l’ho giustificato con tutti i nomi possibili.
Nei rapporti personali, si chiamava: essere esigente, amare senza mezze misure, pretendere il massimo, non tollerare indelicatezze. Idealizzavo i rapporti, sia di amore che di amicizia, quasi per mettere gli altri alla prova, costringerli a dimostrarmi che mi avrebbero voluto bene sempre, così com’ero.
Coi risultati che si possono immaginare.
Sul lavoro si chiamava serietà, intransigenza, professionalità eccetera. In apparenza funzionava meglio. La mia severità era considerata un pregio perfino dagli alunni che si sentivano da questo spronati a studiare. Non tutti, naturalmente, per alcuni anzi l’effetto era opposto. Po, col tempo e la conoscenza reciproca, si aprivano falle nella mia corazza e lasciavano intravedere quanto affetto e quanta paura ( di essere schiacciata ma anche di deluderli ) si nascondessero dietro quella durezza. Non diventavamo amici, salvo in alcuni casi particolari; ma imparavamo a rispettarci, a volerci bene e qualche volta a divertirci insieme.
Veniva fuori quello che molti mi dicevano dopo aver preso il diploma, quando ci incontravamo e riparlavamo del passato:
-Professorè, voi sembravate cattiva ma eravate la più buona.
Era vero. Li capivo, li aiutavo, cercavo di fargli superare le loro lacune e li difendevo nei consigli di classe. Molto più dei professori “amici”.
Ma era con quelli che preferivano intrattenersi e confidarsi. Era troppo difficile, per ragazzi e ragazze così giovani, separare le due parti e andare al di là delle cose che li intimidivano: il controllo meticoloso di libri, quaderni e compiti a casa, le regole inderogabili sul comportamento formale, le prediche per le varie intemperanze anche se non si verificavano in mia presenza. Ma, forse più di tutto, la passione per le cose che insegnavo: che gli andava benissimo finchè non pretendevo che fosse la stessa per loro, senza indulgenza per le loro ben diverse preferenze, play-station, Grande Fratello, calcio, sballi di tutti i tipi.
Questa rigidità, fino a qualche anno fa, mi è sembrata logica e giusta. La ritenevo parte di una strategia educativa. Osavo citare Machiavelli, “è meglio per uno principe essere temuto che amato”……Figuriamoci.
Oggi me ne rammarico molto. Non tanto per i ragazzi che, almeno in parte, mi hanno capita e mi hanno dimostrato affetto e stima. Ma per me stessa, perché mi sono imbrogliata da sola, negandomi la tenerezza, la semplicità, l’intimità che avevo bisogno di dare e di ricevere, o riservandole uno spazio molto ridotto, con quelli di cui riuscivo a fidarmi.
La cosiddetta strategia educativa era lo stesso meccanismo che usavo con tutti, in modo diversi, e che aveva radici nell’infanzia. La convinzione che solo mostrandomi distante o dura o arrabbiata potessi prevenire la sopraffazione e far sentire la mia voce.
Chi mi conosce e mi vuole bene sa che si tratta di una maschera. O, come mi disse una volta un’amica, di una trappola. Ma, come gli alunni, pochi riescono a non farsi intimidire. E solo quando io glielo permetto.
Cioè, molto raramente.
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0 recensioni:
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- Grazie, Simona, per il tuo commento schietto e incoraggiante.
Sull'autocelebrazione sto riflettendo, non solo in relazione al testo.
Mi verrebbe da dire: magari! di solito faccio esattamente il contrario...
È anche vero che gli estremi si toccano...
- Narrativa autobiografica, solo narrativa, regole, tecniche, basi da seguire... non ci capiscon molto e neppure mi interessa. Mi sembra ben scritto, senza eccessi di aggettivi pomposi che appesantiscono, senza frasi ermetiche, senza giocare all'intellettuale forzato. Scrittura è anche semplicità e svuotarsi l'anima per mostrarla a chi legge è un'azione che pochi hanno il coraggio di fare.
Se poi una persona è consapevole di essere brava nella sua professione e di metterci cura e amore... non mi sembra un'autocelebrazione.
Simona
- Prima di imparare a gestire la mia timidezza, Antonio. O, almeno, questo volevo significare.
Grazie per il commento.
- Prima di imparare tu, Maria, a gestire il tuo potere di intimidazione, hai certamente intimidito tutti i deboli che ti sono capitati a tiro. Poi, ne sono certo, hai cominciato a selezionare il target. La cosa è magari più complessa, ma hai l'intelligenza e l'energia per gestire le risorse.
La tua analisi è di un'onestà intellettuale addirittura disarmante.
Brava brava brava.
AG
Anonimo il 04/01/2009 00:15
ok
- Complimenti per aver definito mielosi i commenti positivi.
Mielosa è stata solo la mia risposta al tuo commento. In certi casi, quando proprio ci vorrebbe, non riesco ad essere"intimidente".
Spero che in seguito mi risparmierai questa fatica.
Anonimo il 02/01/2009 21:04
Scusa Maria, non volevo essere mieloso, ma nemmeno aggressivo. Se questo t'è sembrato scusami.
- Essere diretti è una cosa, aggressivi un'altra. Chiedevo un parere amichevole, non una recensione(o una censura...).
Ho scritto questo pezzo in un seminario di scrittura autobiografica, ad Anghiari(l'ho chiarito all'inizio) e l'ho inviato soprattutto per condividerlo con quelli che considero amici. Se dovessi mandarlo ad un premio letterario lo riscriverei, come dici tu. Ho partecipato a laboratori di scrittura per tre anni e conosco la differenza tra narrazione ed autobiografia. Anche se, secondo me, esiste anche la narrazione autobiografica.
Mi sono presentata come una brava insegnante perchè lo ero, e non me lo dicevo da sola.
Potevo dire le stesse cose, in prima o terza persona, di molte altre persone che ho conosciuto. In questo senso il testo può avere un interesse generale. In quel laboratorio, infatti, molti, anzi molte dissero di essersi riconosciute.
Il tuo racconto non me lo ricordo bene, mi sembra che mi sia piaciuto, andrò a rileggerlo.
Grazie comunque per la collaborazione.
Anonimo il 02/01/2009 13:22
Ritengo farti cosa gradita nel rispondere senza remore alla domanda che poni nel tuo commento.
Una confessione personale scritta in questo modo non ha, a mio giudizio, alcun valore narrativo. La narrativa deve miscelare ironia, poesia, fantasia, originalità mediante l’indispensabile tecnica. Altrimenti non è narrativa o è cattiva narrativa.
Per farne un racconto, questo tuo brano non necessita di revisioni: andrebbe completamente riscritto tenendo conto delle opportune tecniche. Inoltre, attenzione a non scivolare dalla "confessione" all'autocelebrazione della brava insegnante: è una buccia di banana.
Perdonami se cito brevemente il mio brano ”L’ingegnere” che tu hai letto da poco. Ebbene quel racconto parla dell'intransigenza giovanile che riguarda, o ha riguardato, molti di noi e dalla quale si guarisce crescendo (a volte). Era stato anche un mio problema e l’ho trasferito in un racconto come faccio sempre quando voglio parlare di cose mie personali (e come dice l'amica Adele) perché so che il lettore medio è mille volte più interessato alle faccende di un personaggio immaginario che a quelle private di chi scrive. Capisco di essere stato molto diretto, ma spero di esserti anche utile. Ciao
- Vincenzo, è un commento, anzi un messaggio così bello e personale che vale anche la pena di leggerlo tre volte! Comunque ho chiesto di rimuovere gli altri due, solo per una questione... estetica, diciamo, se restano va bene lo stesso. Grazie infinite. Non mi sono affatto liberata di quella maschera ma se non altro l'ho "vista", nel corso degli anni, e riesco a parlarne.
La scrittura autobiografica ha il limite di spingere sia l'autore che il lettore a concentrarsi più sulla persona e sui problemi sollevati che sul racconto o sullo stile. Mi piacerebbe per esempio sapere che cosa pensano gli amici del sito sul valore narrativo di questa che viene considerata soprattutto una specie di "confessione"; se, cioè, qualcuno ritiene che, con le opportune revisioni, possa diventare un vero e valido racconto.
Naturalmente anche la condivisione dei sentimenti è importante, anzi è il primo motivo per cui l'ho mandato.
Ciao e ancora grazie(tre volte...)
- Non so cosa è successo, Maria, ma è venuto fuori un triplice commento.
Scusami.
- Questa tua "lettera confessione" ti fa onore, Maria. Mi piacciono molto le persone che non hanno paura di parlare di se stesse, dei loro problemi, delle loro difficoltà, e tu con questo tuo scritto ci sei riuscita benissimo.
Ci vuole coraggio, lo so, perché anch'io sono molto autobiografico in quello che scrivo; forse sono addirittura incapace di scrivere di cose che non mi coinvolgano in prima persona.
Mi ha colpito molto nella tua analisi di te stessa il tuo rifiuto della rigidità che ti eri in qualche modo imposta: era solo una scelta razionale, Maria, una scelta che veniva dalla testa e non dal cuore, e, prima o poi, il cuore ha il sopravvento. A te è successo, e piano piano la persona dolce, sensibile che era dentro di te, è venuta fuori; dài sempre più ascolto al tuo cuore, lascia uscire fuori la tua vera natura, sii te stessa fino in fondo, e i tuoi conflitti interiori troveranno una risoluzione.
Quando si segue fino in fondo se stessi ci si scontra con la realtà, e si paga spesso con l'isolamento, con le delusioni, con le derisioni, con le illusioni, con le ferite che gli altri ci procurano; quando invece si nega la nostra vera essenza e si cerca di adattarsi alla realtà travestendoci, indossando le maschere, si paga con i conflitti interiori, con lo scontro titanico tra la maschera, il personaggio che abbiamo razionalmente scelto di essere, e quello che veramente siamo, e la sofferenza non è affatto minore.
C'è un'altra cosa che mi ha colpito, Maria, ed è la tua risposta al commento di Ivan, quando dici: "non so se mi costa parlare di me, ma ho l'esigenza di farlo". Questo, in questo momento è importante per te, parlare di te, perché scrivendo di te riesci a tirare fuori te stessa e a liberarti dalle catene che tu stessa ti eri messa; fallo, Maria, e non avere paura di annoiare chi ti legge; almeno per quanto riguarda me, che cerco sempre di scoprire dietro le parole soprattutto le persone, leggerti non mi annoierà mai, perché apprezzerò sempre tutti gli sforzi che stai facendo per liberarti e far uscire all'aria aperta la vera Maria.
Un abbraccio con affetto.
- Questa tua "lettera confessione" ti fa onore, Maria. Mi piacciono molto le persone che non hanno paura di parlare di se stesse, dei loro problemi, delle loro difficoltà, e tu con questo tuo scritto ci sei riuscita benissimo.
Ci vuole coraggio, lo so, perché anch'io sono molto autobiografico in quello che scrivo; forse sono addirittura incapace di scrivere di cose che non mi coinvolgano in prima persona.
Mi ha colpito molto nella tua analisi di te stessa il tuo rifiuto della rigidità che ti eri in qualche modo imposta: era solo una scelta razionale, Maria, una scelta che veniva dalla testa e non dal cuore, e, prima o poi, il cuore ha il sopravvento. A te è successo, e piano piano la persona dolce, sensibile che era dentro di te, è venuta fuori; dài sempre più ascolto al tuo cuore, lascia uscire fuori la tua vera natura, sii te stessa fino in fondo, e i tuoi conflitti interiori troveranno una risoluzione.
Quando si segue fino in fondo se stessi ci si scontra con la realtà, e si paga spesso con l'isolamento, con le delusioni, con le derisioni, con le illusioni, con le ferite che gli altri ci procurano; quando invece si nega la nostra vera essenza e si cerca di adattarsi alla realtà travestendoci, indossando le maschere, si paga con i conflitti interiori, con lo scontro titanico tra la maschera, il personaggio che abbiamo razionalmente scelto di essere, e quello che veramente siamo, e la sofferenza non è affatto minore.
C'è un'altra cosa che mi ha colpito, Maria, ed è la tua risposta al commento di Ivan, quando dici: "non so se mi costa parlare di me, ma ho l'esigenza di farlo". Questo, in questo momento è importante per te, parlare di te, perché scrivendo di te riesci a tirare fuori te stessa e a liberarti dalle catene che tu stessa ti eri messa; fallo, Maria, e non avere paura di annoiare chi ti legge; almeno per quanto riguarda me, che cerco sempre di scoprire dietro le parole soprattutto le persone, leggerti non mi annoierà mai, perché apprezzerò sempre tutti gli sforzi che stai facendo per liberarti e far uscire all'aria aperta la vera Maria.
Un abbraccio con affetto.
- Questa tua "lettera confessione" ti fa onore, Maria. Mi piacciono molto le persone che non hanno paura di parlare di se stesse, dei loro problemi, delle loro difficoltà, e tu con questo tuo scritto ci sei riuscita benissimo.
Ci vuole coraggio, lo so, perché anch'io sono molto autobiografico in quello che scrivo; forse sono addirittura incapace di scrivere di cose che non mi coinvolgano in prima persona.
Mi ha colpito molto nella tua analisi di te stessa il tuo rifiuto della rigidità che ti eri in qualche modo imposta: era solo una scelta razionale, Maria, una scelta che veniva dalla testa e non dal cuore, e, prima o poi, il cuore ha il sopravvento. A te è successo, e piano piano la persona dolce, sensibile che era dentro di te, è venuta fuori; dài sempre più ascolto al tuo cuore, lascia uscire fuori la tua vera natura, sii te stessa fino in fondo, e i tuoi conflitti interiori troveranno una risoluzione.
Quando si segue fino in fondo se stessi ci si scontra con la realtà, e si paga spesso con l'isolamento, con le delusioni, con le derisioni, con le illusioni, con le ferite che gli altri ci procurano; quando invece si nega la nostra vera essenza e si cerca di adattarsi alla realtà travestendoci, indossando le maschere, si paga con i conflitti interiori, con lo scontro titanico tra la maschera, il personaggio che abbiamo razionalmente scelto di essere, e quello che veramente siamo, e la sofferenza non è affatto minore.
C'è un'altra cosa che mi ha colpito, Maria, ed è la tua risposta al commento di Ivan, quando dici: "non so se mi costa parlare di me, ma ho l'esigenza di farlo". Questo, in questo momento è importante per te, parlare di te, perché scrivendo di te riesci a tirare fuori te stessa e a liberarti dalle catene che tu stessa ti eri messa; fallo, Maria, e non avere paura di annoiare chi ti legge; almeno per quanto riguarda me, che cerco sempre di scoprire dietro le parole soprattutto le persone, leggerti non mi annoierà mai, perché apprezzerò sempre tutti gli sforzi che stai facendo per liberarti e far uscire all'aria aperta la vera Maria.
Un abbraccio con affetto.
- Grazie, Ugo, sono particolarmente contenta del tuo giudizio.
- Un racconto personale risoluto e attraente; molto gradito.
- È autobiografico, Ivan, con lievi forzature narrative, specie nella presentazione delle..."intimidazioni"(ma non tanto).
Non so se mi costa parlare di me ma ho l'esigenza di farlo. Spero solo di non annoiare troppo.
Grazie.
- Se é una pagina del diario, complimenti per il coraggio, ti conosco quel poco che basta per sapere che qualcosa ti é costato. Se é solo un racconto (... ma é improbabile), complimenti per l'incisività e la capacità narrativa. Sai che non mento, piuttosto sto zitto... Entrando dove di solito evito: ha ragione la tua amica, in ogni caso penso che bisogna essere persone di valore (e valori) per guardarsi dentro, per mettersi in discussione. Se potessi però, rimuoverei la malinconia, troppa, che accompagna tutti i tuoi scritti (poesie comprese). L'ultima fermata é ancora lontana e ci sono ancora molti "alunni" felici di incontrare... professorè a me, siete sempre sembrata buona.
- Freud a una mamma... giusto per precisare
- come diceva Sigmund Freuda una mamma che gli chiedeva cosa doveva fare per essere un bravo genitore, lo psicanalista le rispose "tanto, sbaglierà comunque"...
Perchè dici "Purtroppo non penso più la colpa sia della società"? Cosa significa purtroppo?
Noi siamo quello che siamo, ci sono tanti fattori, sicuramente che intervengono a "formarci", e tanti sono i modi in cui noi ci rapportiamo con essi. Certo, un po' l'educazione, la società, la scuola, le amicizie, la casualità, magari hai avuto una vita dura e allora passi il resto del tempo a lamentarti della sfortuna, o invece diventi forte per lo stesso motivo, come dici tu, puoi scegliere di cavalcare il tuo destino o di rimanere a terra.
Ma non si può tornare indietro e riavvolgere il nastro, l'unico modo è cercare di vivere bene il tempo che ci rimane, è l'unicomodo per riscattarci dagli errori.
- certamente sbaglieremmo lo stesso...
ma, sì, lo riavvolgerei quel nastro se potessi... Purtroppo non credo più che la colpa sia della società, non solo almeno... anzi non credo che ci siano colpe, nemmeno nella famiglia per complicata che sia. Credo che ci sia un destino per tutti e sia necessario saperlo cavalcare, capire qual è la spinta interiore più forte, senza fuggire
- io, quinto di sei, "la prima strategia fu l'isolamento", vedo che sia per me che per gli amici che ti hanno già letto, tutto sommato c'è comunione di esperienze di vita, abbiamo sbagliato? Non c'è dato saperlo! Potendo riavvolgere la vita come un nastro di un film, rifaremmo gli stessi percorsi? Prenderemmo le stesse decisioni? Le stesse "cantonate"? Non c'è dato saperlo... io propendo per il SI ma è opinione... opinabile!
Il problema, forse, è nella "società" che ci "ospita", oggi, temo a parlar di poesia... ad una platea che si "accultura" davanti alla TV, dove i "vati" sono Fede e Vespa (vati o water?) gigi
- Non so perchè si assumano certi atteggiamenti, cosa fa scattare il meccanismo dell'autodifesa, cosa nella quale mi riconosco, anche se ho avuto un'infanzia diversa dalla tua, nel senso che non mi è mancato l'affetto e nemmeno ho subito vessazioni da fratelli maggiori, eppure cercavo spesso e volentieri l'isolamento, mi rifugiavo nel mio mondo fatto di letture e di canzoni, passavo ore a leggere o ascoltare musica e trovavo banali e insulsi gli interessi magari più "frivoli " dei miei coetanei. Questo creava a volte dei malintesi, in quanto passavo per saccente e supponente, solo chi mi conosceva bene, sapeva delle mie fragilità, anche se raramente mi lasciavo sorprendere in quei momenti.
E come mi disse qualche tempo fa una mia amica "Sonia, sei un libro chiuso, sei una persona dolce, falla uscire, ogni tanto "
Grazie della lettura
- Grazie, Adele. Quello che hai sottolineato è uno degli aspetti che abbiamo esaminato nel seminario... e che ho analizzato per buona parte della vita.
Per me, era un modo per farmi sentire. Ora non funziona più tanto.
- L'ho scritto durante un seminario di scrittura autobiografica e ho voluto condividerlo. Spero che non risulti troppo noioso.
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