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Il legame
Un forte odore d’incenso impregnava l’aria e le cose.
Nella piccola stanza, dal braciere posto in un angolo si sollevavano sottili fili di fumo profumato che, fluttuando mollemente a mezz’aria, si dissolvevano disegnando ragnatele nella debole luce ambrata.
Penombra. Quella penombra che rende reali anche le cose meno materiali, così che tutto può apparire diverso da come realmente è; penombra che può diventare uno stato d’animo, tanto che allora anche gli odori possono prendere corpo e il toccarli sembra possibile.
La fragranza dell’incenso diventa una tenda che si scosta sull’immagine di altri e diversi odori: subito sotto, come un velo sottile, appare chiaro l’odore fresco della notte e delle sue brezze e, nel punto più profondo, si svela l’aroma degli olii profumati e delle essenze.
Piani diversi, diversi livelli. L’atmosfera appariva stratificata in un susseguirsi concentrico di odori, fino ad un nucleo centrale che dava valore agli altri e che sembrava esserne lo scopo.
Si riempiva le narici e il cervello degli odori che quella notte gli stava offrendo e senza volerlo li andava fermando dentro di sé. Non erano per lui odori nuovi, così come non erano nuovi ne’ la situazione, ne’ le carni che sotto di lui si agitavano.
Ogni volta che giaceva con quella donna veniva a tal punto preso dai sensi che si sentiva come estraniato dal proprio corpo; immerso com’era nella concentrazione di quegli attimi perdeva l’idea delle cose e si sentiva fluttuare, mosso dai venti irresistibili che agitavano a tempesta il suo intimo.
Ubriaco. Era come ubriaco di passione e, come gli ubriachi non sanno smettere di bere vino, lui non era capace di staccarsi dalla fonte del suo piacere e voleva berne avidamente, fino ad annegare.
Scivolava dentro di lei come in un fiume, ne riemergeva senza fiato, pronto a tuffarsi di nuovo per toccarne finalmente il fondo; ma per quanto in profondità si spingesse, il fondo appariva sempre un po’ oltre, di modo che non gli era possibile neppure sfiorarlo.
Allora si faceva acqua nell’acqua e si sentiva diventare tutt’uno col fiume che lo accoglieva e che cominciava a scorrergli dentro. Il turbinare di quell’acqua, il vorticare dei pensieri, il rimescolamento dei sensi quasi lo spaventavano, tanto che si ritrovava a smaniare perché tutto finisse e potesse così liberarsi di quanto andava comprimendo dentro di sé.
Il suo mare montava a tempesta, squarci di luce e bagliori di onnipotenza gli squassavano la mente e i lombi.
Pochi istanti, pochi istanti solamente, un’esplosione violenta del proprio essere in un altro, poi l’abbandono alla deriva in quello stesso mare fino a pochi momenti prima burrascoso.
Si sentivano allora avvolti da un senso infinito di pace allorché, uno accanto all’altra, giacevano lucidi di sudore e di umori. Senza parlare.
Il loro respiro andava facendosi regolare mentre, sdraiati mano nella mano, lentamente facevano ritorno da quel luogo ignoto dove vanno ad incontrarsi le anime degli amanti.
Una folata del vento notturno fece volare la tenda e li investì come un’onda; Rah’el ebbe un sussulto e rabbrividì, sentì il sudore gelarlesi addosso.
- Non puoi più stare qui, è tardi; ora devi andartene.
Parlava evitando di guardarlo, concentrando lo sguardo sulle volute di fumo che si sollevavano dal braciere. La voce di Rah’el non aveva il tono dolce che l’uomo si attendeva di udire, anzi gli sembrò volutamente dura. Neppure le parole erano quelle che si sarebbe aspettato.
- Non scherzare, Rah’el. Lo so, non sarei nemmeno dovuto venire…, ma non ho potuto evitarlo. Quasi senza accorgermene mi sono ritrovato davanti al tuo giardino, e a quel punto ho solo potuto venire de te. Adesso non voglio andarmene…non ancora.
- Vattene! Non potrai più tornare… sono sicura che Josias abbia capito qualcosa, mi guarda con un’espressione di compatimento, come se fosse indeciso sul mio destino. Mi fa paura. Ti scongiuro, se davvero tieni a me come dici, vai via e non venire più!
Parlando si era messa a sedere abbracciandosi le ginocchia e il suo profilo scuro, alla tenue luce del braciere, aveva l’aspetto immateriale di un’ombra.
Provava per Rah’el un’attrazione morbosa, irresistibile; si sollevò su un gomito, dietro di lei, e lentamente prese a passarle le labbra e la lingua lungo la schiena.
Il sapore salato del sudore gli riempì la bocca e sentì in una vampata il desiderio rinnovarsi; fece per prenderla tra le braccia, ma lei balzò in piedi respingendolo.
- Perché? ?" chiese lui?" Almeno per questa notte c’è ancora tempo, e vedrai che ne verrà dell’altro. Non è giusto che tu mi chieda questo!
Sapeva di mentire anche a sé stesso quando le diceva che avrebbero avuto altro tempo e, in fondo, sapeva anche che quel momento e quella richiesta, così dolorosa, sarebbero arrivati, solo non era in grado di ammetterlo; così, facendo propria un’inutile negazione, sentì il peso di un macigno cadergli dalla gola dritto sul cuore.
Gli abbracci, le carezze e le parole sussurrate che facevano seguito per ore ai loro incontri, d’un tratto gli apparvero realtà illusorie e lontanissime, generate solo dalla sua fantasia.
- Ti prego, è già difficile così, vattene subito; il nostro tempo è finito e non ne avremo più… ci può restare solo ciò che abbiamo avuto di noi, e io non voglio perdere anche quel poco.
L’uomo, deluso e con l’espressione avvilita, si alzò dal letto, esitante nell’attesa di parole che, in cuor suo, sapeva non sarebbero venute; dopo essersi infilato di malavoglia la tunica e i calzari, si allontanò dal luogo che fino a pochi minuti prima gli pareva racchiudere l’universo di tutto ciò che avrebbe potuto desiderare.
Rah’el gli voltava le spalle. Guardava il giardino, le chiome degli ulivi rese argentee dalla luna, ma forse non le vedeva nemmeno; piangeva sommessamente.
Lui avrebbe voluto abbracciarla, stringerla forte e prometterle cose mentre la baciava, ma capiva che le sue parole sarebbero state come semi sparsi nel deserto e che, come quei semi, non avrebbero dato alcun frutto.
Il silenzio, forse, era davvero la scelta meno dolorosa.
Uscito dalla stanza, ombra nell’ombra, percorse il breve camminamento che lo separava dal muro di cinta; gli bastò un salto per trovarsi a camminare, solo col proprio sconforto, per i vicoli della città bassa.
Non la rivide per molto tempo, soffrì come era giusto che soffrisse, la desiderò al punto di provarne dolore fisico, se ne disperò. Sapeva, perché troppo avrebbero avuto da perdere, che era lei ad avere ragione e col tempo accettò la sua decisione.
L’aveva persa, lei sarebbe invecchiata accanto a suo marito, all’uomo cui si concedeva solo per dovere; nulla, credeva, le sarebbe rimasto di loro se non il mero ricordo di attimi carichi di un amore assoluto.
Poi la incontrò, sulla spianata del Tempio; erano trascorsi diversi anni dal loro ultimo incontro.
Lei teneva per mano un bambino, e quando vide il suo amante di un tempo, colui che mai avrebbe potuto dimenticare, si fermò, tirando a sé il piccino.
Si guardarono per pochi lunghissimi istanti negli occhi; lui non la ricordava così bella.
Rah’el accarezzò la testa del bambino e sorrise come può fare solo una madre.
Poi abbassò lo sguardo, annuendo.
Lui comprese subito tutto e sentì il cuore scoppiargli di una gioia un po’ amara.
Fu l’ultima volta che si incontrarono.
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