A volte mi sento fuoriposto…come un soprammobile strano, che appoggi dove capita.
Un oggetto che sta bene un po’ in tutti gli angoli di casa, ma che finisce per non essere mai in quello giusto.
Sento di avere imparato tante cose, ma infondo, di non saperne fare veramente bene nessuna.
È cosi’! È come se avessi camminato su tanti sentieri ed’ogni volta, mi fossi preoccupato prontamente, di cancellare dietro di me le tracce lasciate sul mio cammino.
E mi accorgo di quanto è presente il timore che quei passi riconducano a me, ogni volta che ne muovo uno, o che penso a quanto e dove ho passeggiato fino ad’oggi.
Ecco perché, alla fine, non sono mai riuscito a fare una cosa meglio di tutte le altre.
Forse perché quando ti specializzi in qualcosa, quando la assimili nella sua essenza e la rendi parte del tuo quotidiano, finisci anche per essere quella cosa. Per venire identificato con essa.
E allora a quel punto diventa difficile nascondere le tracce dietro di te.
Le persone finiscono per notarle prima o poi. Per quanto possa essere distratto, ci sarà sempre qualcuno che, prima di vedere te, vedrà le tue orme su quel sentiero.
Il fatto è che io sono sempre riuscito ad abbandonare il tracciato, prima di farmi raggiungere da quegli sguardi che puntualmente il mondo ti sguinzaglia alle spalle.
Ho disseminato, dietro di me, decine di opere incomplete, di torte crude e palazzi non finiti, tanto da poterli considerare veri e propri “casi irrisolti”.
Archiviati non tanto per assenza di prove, quanto più per la mancanza di un imputato da mettere sul banco del tribunale.
Quasi certamente è tutta lì la spiegazione. È probabile che io abbia scelto di non portare mai a compimento nulla, proprio per sfuggire al verdetto di quelle sentenze.
Ho preferito la fredda veste dell’anonimato di una “non firma” su un quadro appena abbozzato, solo per la paura di essere presente il giorno che qualcuno avesse posato lo sguardo su quel quadro... chiedendosi chi fosse mai l’autore.
A quel punto sarebbe stato difficile schivare un etichetta e pressoché impossibile impedire al mondo di chiamarti “pittore”.
Non è stato tanto il “cadere” a spaventarmi, quanto la paura di cadere.
È per questo che oggi mi ritrovo qui, seduto ad un tavolo, con una sigaretta tra le dita e gli occhi rossi dal sonno.
Un sonno che non c’è, come una donna che tutte le sere ti da buca, ma che ancora aspetti.
E mentre il fumo sale nella mia stanza e finisce per creare una cappa di smog che sembra il cielo di Roma riprodotto in scala, io resto quì.
A meditare sull’essere… quell’oggetto fuoriposto.