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L'incubo di jenny

Inorridì, e sul suo volto il tempo sembrava fosse passato due volte per imprimere meglio i segni e il dolore.
La porta si spalancò nel buio, un boato. Il grido le rimase dentro al petto strozzato dalle mani del silenzio di quella notte che non voleva essere disturbata.
La pioggia aveva smesso di battere sulle finestre, le ultime gocce scivolavano tremando sui vetri gelidi e appannati, andavano di fretta perché non volevano partecipare allo scempio che stava per avvenire. Dalla porta avanzò un'ombra nera, e gli stivali di gomma scura che entrarono fecero vibrare le vecchie tavole di legno tarlato che costituivano il lurido pavimento di quella catapecchia dimenticata dal mondo.
Lei rimase immobile, il petto si alzava e abbassava ad un ritmo estenuante, i capillari degli occhi le si erano infiammati di rabbia e delle fiamme gelide le scorrevano nelle vene e nelle arterie impedendole di compiere qualunque gesto.
L'ombra nera fece un altro tuonante passo, non si vedeva nulla di lei, stagliata contro lo sfondo scuro delle montagne solitarie si mescolava all'orgoglioso governo delle tenebre.
- Jenny... piccola Jenny - la voce falsamente dolce accarezzò con una frusta la pelle della ragazza che adesso si era rannicchiata in un angolo della stanza.
- Non è bene che tu stia tutta sola al buio... nono.. povera piccola- ancora una volta quella voce ruvida l'abbracciò con gli artigli di un falso amore. Ci furono dei fruscii molto lenti, un 'tic' veloce che fece schioccare la fiamma di una sottile candela che ora l'ombra nera teneva con le sue ossa sottili.
Si avvicinò con il suo ghigno e dando una pedata alla porta la fece richiudere alle sue spalle con un tonfo secco. I vetri tremarono, gli infissi delle finestre ebbero un brivido. Poggiò la candela su un tavolo zoppo e il suo ghigno distorto fu illuminato parzialmente mettendo in mostra la follia del suo sguardo.
E lei era sola. Oggi come ieri. Era senza nome e senza volto in quella sera. Era in silenzio quando dentro lei il rumore era assoluto.
Chiuse gli occhi e decise di morire. Riaprì gli occhi e si accorse che non bastava chiuderli per spegnere il dolore.
- Jenny, tesoro mio.. non sei contenta che lo zio Epar sia venuto a prenderti? - con la mano si sfiorò il corpo, non sarebbe riuscito a resistere ancora a lungo. Sentiva che il momento stava giungendo e lei era là, pronta per lui, per farlo entrare, per accoglierlo. Il freddo la rendeva più bella, più desiderabile e la voglia cresceva.
Socchiuse gli occhi, era difficile in quella penombra scorgere le sue forme da ragazzina, ma non importava. Fra poco l'avrebbe conosciuta, o meglio, l'avrebbe ripassata. Conosceva fin troppo bene la dolcezza di quella pelle bianca. Era stato quel ricordo a farlo tornare.
La piccola Jenny sperava che cambiando casa non l'avrebbe più trovata, ma lui, lui l'avrebbe ritrovata sempre e comunque, avrebbe continuato a bramare quel corpo, e sarebbe stato suo, solo suo fin quando la morte non li avesse uniti di nuovo, ancora una volta, per l'eternità.

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0 recensioni:

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12 commenti:

  • Giulia Felici il 07/08/2010 15:51
    ... bello ed intenso ogni volta che lo rileggo.
  • Ethel Vicard il 28/11/2009 14:08
    ... non saprei che dire a parte ringraziarti per l'attenzione con la quale hai letto questo racconto... molti dei consigli che mi hai dato li farò sicuramente miei, mi hai fatto notare molte cose alle quali non avevo fatto attenzione o forse avevo sottovalutato, come ad esempio le diverse cadute di stile, e fatto riflettere su altre che pensavo fossero la scelta migliore, come l'ambientazione "americana" o il nome dello zio Epar (Rape, stupro) che spesso allontanano il mio racconto dalla realtà... Ti ringrazio soprattutto per le spiegazioni ad ogni tuo commento, sono state davvero un aiuto importante...
    Spero a presto... Saluti...
  • bute 76 il 28/11/2009 12:10
    La violenza con assassinio liberatorio nel finale è un topos letterario.
    Tu tratti la cosa con un'ambientazione che ricorda vagamente l'horror middle west americano, quello fatto di boschi, boscaioli e relative case abbandonate, per intenderci. La protagonista si chiama Jenny, lo zio Epar e c'è pure un lupo, suppongo siamo in America. Personalmente sono contrario a che uno scrittore italiano faccia racconti in costume di questo genere - la maremma toscana ha conosciuto mostri spaventosi quanto i peggiori mostri americani...
    Fossi in te renderei quindi il racconto più interessante usando nomi e ambientazioni italiane, o almeno europee (la Francia è spaventosa a volte, in Belgio ci sono stati i peggiori casi di pedofilia, ecc..).
    Detto questo, la lingua tiene abbastanza bene, ma scade qualche volta in un'aggettivazione eccessiva: sembra che tu tema di non essere capita, o che non sappia scegliere, ho raccolto vari esempi:
    "le vecchie tavole di legno tarlato che costituivano il lurido pavimento di quella catapecchia dimenticata" - non c'è un sostantivo senza aggettivo, dovresti lasciare più spazio all'immaginazione del lettore;
    "sfondo scuro delle montagne solitarie si mescolava all'orgoglioso governo delle tenebre" - idem, con un appunto sul fatto che spesso anteponi l'aggettivo al sostantivo ("orgoglioso governo" e poi "tuonante passo" ad esempio), uso corretto in inglese o tedesco, che in italiano risulta spesso forzato e che va usato quindi con estrema cautela.
    I problemi di eccessiva aggettivazione derivano secondo me da un desiderio ansioso di precisione che dovresti attenuare, altro esempio "poggiò la candela.. ecc.. la follia del suo sguardo" - qui ci sono quattro elementi che rendono sinistra la scena, troppi, scegli: il tavolo zoppo, il ghigno distorto, l'illuminazione parziale ed infine la follia dello sguardo del violentatore.
    Questa ansia descrittiva diventa addirittura minuteria anatomica quando parli di "capillari degli occhi", arterie e vene della protagonista - attenzione: bello lo zoom da film horror negli occhi della ragazza, ma si poteva scegliere, come al solito, sfumando il particolare anatomico da inquadrare.
    C'è infine una caduta di stile in "l'avrebbe conosciuta, o meglio, l'avrebbe ripassata" (e così un'altra nel "fregarsene" del lupo di cui sopra) qui è il narratore a parlare abbassando troppo il proprio tono; in "le dovevano solo spiegare perché la vita fa così schifo", invece, non c'è caduta di stile perché parli attraverso il punto di vista della ragazzina.
    Ragazzina che purtroppo nel finale si esprime con un "Fuck" in inglese, che a mio avviso si potrebbe rendere con altrettanto sonori "fottiti", "fanculo", "bastardo" o quel che ti pare.
    Per "contorna", infine, intendevi forse "contorta".

    Sembrano tante critiche, ma, se fai attenzione, ti sto solo consigliando di sfrondare e lasciare parte della scena al lettore, concedendogli peraltro, a tale scopo, un'ambientazione più familiare di quella americana.
    Non si potrà mai dire se sia più facile cavar fuori le parole ai taciturni, o far tacere noi chiacchieroni.
    Nel complesso bene.

    Saluti,
    l'apicoltore
  • Anonimo il 11/10/2009 23:00
    Ben scritto, coinvolgente
  • Matteo Pizzini il 31/08/2009 08:35
    Molto ben scritto.
    Mi ricorda un po' lo stile di Spillane.
  • Ivan il 19/08/2009 16:24
    ... riletto. Ciao.
  • Anonimo il 15/07/2009 02:00
    Bello, ma prevedibile nel finale... in fondo finito un incubo c'è spazio per gli altri.
  • Rocco Burtone il 09/07/2009 14:34
    Sono contrario alla pena di morte.
  • Vincenzo Capitanucci il 19/04/2009 10:15
    Sembra che sia un'ombra eterna... che ci trova sempre... perchè abita dentro di noi... a porre fine ai nostri incubi...

    Piaciuto molto... Ila...
  • Ivan il 07/04/2009 14:37
    ... brava. Bello anche se é una scrittura un po' diversa dal tuo...
  • Riccardo Brumana il 05/11/2008 22:47
    un bel racconto, una giusta fine.
    bravo.