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QUELLE INDIMENTICABILI ESTATI SULL'ALTOPIANO
Cap. 1
Per Andrea, per Giuseppe, per Mariolino, per Stefano, per Rolando, Lorenzo, Tiziano, Ervedo, Paolo, Ricky, Gianni, Giannino, Vittorio, Beppe, Armando, Giorgio, Silvano, si aggiungano Anita, Maria Luisa, Barbara, Mary, Paola, Rosy, Francesca… quelle estati sull’Altopiano dei Faggi, nel verdebruno dei prati protetti dai monti intorno, nelle nottate vissute nel delirio dei sogni adolescenziali, furono e resteranno indimenticabili, e Aldo Antonelli - Aldino, più semplicemente - ne fu il fulcro.
Ancor’oggi è presente e quasi palpabile il ricordo di colui che degli anni Sessanta/Settanta fu il Sire incontrastato di quelle terre. Esordire descrivendone i tratti fisici offrirebbe una sua immagine fuorviante, se non offensiva, ci si limita a riportare gli asfittici dati della carta d’identità: altezza e peso appena superiori alla media, occhi sinceri, carnagione abbronzata, capelli castano scuri per niente curati, all’apparenza. Professione: studente. ( Dapprima al liceo Manzoni di Milano, successivamente alla Facoltà di Medicina, sempre con eccellenti risultati.)
Già si erano provati, senza successo ovviamente, parecchi individui invidiosi, gelosi, meschini, accidiosi o qual’altro aggettivo in tema, ad insinuare quello che Aldino non era e, soprattutto, quello che pretendevano apparisse per sminuirne, almeno in parte, la grandezza. Lui stesso, per quel tubo che gliene importava di detrattori e di cortigiani, si era sempre guardato bene dal negare di essere “lievemente “ soprappeso per colpa dell’amore sviscerato che nutriva per i cappuccini e le brioche al cioccolato, anzi, di buon grado ci aveva romanzato sopra. Di essere indolente invece se ne era sempre fatto un vanto, il suo sangue “ aristocratico “non gli consentiva nessun tipo di attività sportiva. (Aldino trascurava di nominare il tennis al quale, per ottemperare al desiderio-ordine del genitore, si era dedicato per una decina d’anni con risultati non particolarmente esaltanti.)
Meno che meno il Nostro possedeva “ le physique du role,” eppure era verità incontestabile che Aldino aveva sempre attirato le donne come il miele le mosche. Forse a causa della lievissima sordità all’orecchio destro?... Via, questa imperfezione, questo senso materno che suscitava, poteva avere contribuito ai suoi successi, non a determinarli. Unita alla sua cortesia?... Al suo tratto signorile?... Mah... Certo che il nostro aspirante medico senza soste era passato da una ragazza ad un’altra. Malattia di famiglia, dal momento che l’Antonelli senior, identico al figliolo sia nell’aspetto sia nella passione per le sottane, era sì separato dalla moglie e dimorava un po’ con una, un po’ con altra, ma non disdegnava di tornare a cuccia.
Aldino era venuto al mondo ammalato di donne, ma all’acido salicilico non era mai ricorso. Delle donne si sentiva un apostolo, seppure non fosse sua intenzione convertirle. Pigliato in un momento di confidenza, aveva finito con l’ammettere, sottovoce, che non con tutte era riuscito ad approfondire la conoscenza: che lo si comprendesse, sino ai diciotto anni, avvicinare una ragazza, prenderla per mano e sfiorare il seno fingendo indifferenza mentre ballavano, l’aveva valutato un risultato più che apprezzabile, con il “clima” che aveva tirato sul loro altopiano.
Ciononostante di donne non lo avevano mai visto scarseggiare, soddisfazione che Aldino non aveva regalato né ai suoi detrattori né, va detto, agli stessi amici. Le donne sapeva abbordarle, lui; sapeva sorridere loro; sapeva leggere in loro. Le ammaliava, evidentemente, se poi non gli bisbigliavano che dei sì, ricorrendo ai telefoni, alle lettere, ai telegrammi, ( ancora non avevano escogitato wind & vodafone), sospirandolo per ore sotto casa, davanti al liceo, al suo bar, neanche permettendogli di gustare indisturbato il suo cappuccino pur di ottenerne un mezzo sorriso.
Una sera, nauseato dalla vacuità e dalla ripetitività di queste discussioni, Aldino si era tirato su dalla sua sedia al bar, aveva spento la sua Marlboro, aveva preteso una biro, aveva afferrato lo scontrino della consumazione, l’aveva girato e vi aveva scritto i suoi dati caratteristici. Non aveva sprecato molte energie psicofisiche; tralasciati altezza, peso, sesso e stato civile, si era limitato ad evidenziare tre punti: le donne, la medicina ed il desiderio di tranquillità.
L’ultimo restò nel Nostro un sogno irrealizzabile che gli permise di essere ben altro sull’Altopiano. Fu, innanzitutto, il fondatore dell’Invincibile, la grande squadra di calcio che per un decennio furoreggiò, fu l’ideatore delle “ Miss, “ fu colui che scalò in notturna il campanile della chiesa parrocchiale, colui che trovò il coraggio di trascorrere una notte ( di pioggia battente ) chiuso nel cimitero e, in un assolato pomeriggio di luglio, d’impossessarsi del confessionale del prevosto. Grazie anche ai suggerimenti della Madonnina protettrice dell’Altopiano, Aldino non si limitò a queste imprese, quando si presentò la necessità, mise il suo altruismo al servizio della collettività. Supportato dai suoi amiconi e dal “Fanella, “ divenne in quattro e quattr’otto lo spauracchio di autorità civili più propense al bene delle proprie tasche che a quello dei cittadini che li avevano eletti, ed anche, va doverosamente aggiunto, il nemico numero uno del parroco dell’altopiano, sacerdote eccellente nelle omelie, assai meno nella pratica cristiana.
Ed è questo “ ben altro “ che le pagine successive si sforzeranno di riportare…
2
Programmare ed attuare scherzi era stato il cordone ombelicale che aveva accomunato sin dal primo giorno Aldino Antonelli, Andrea Bigi, Giuseppe Bianchi e Dario Slavezzi.
Portavano ancora, i quattro campioncini, seppure con grande fastidio, i calzoni corti e le loro giornate volavano via in sogni ed in chiacchiere, quando diedero il primo vagito della loro personalissima adolescenza scegliendo per giocare a pallone, fra i tanti prati disponibili, l’interno del cimitero. Nottetempo logicamente, per allontanare il rientro a casa, e non si affermi che era stato uno spasso correre, dribblare e calciare tra lapidi, lumini e vasi di fiori verso una porta difesa da un Aldino imperforabile, semmai si era trattato della più evidente dimostrazione di un coraggio ineguagliabile.
Un altro modo abbastanza curioso di concludere le serate era consistito nel bersagliare con sassolini le coppiette che erano solite appartarsi dietro il tratto di muro di mattoni rossi di un campetto confinante con quel per niente tranquillo camposanto. Questo diversivo era riservato alla sera del sabato, quando l’affluenza era massima.
Quanto se l’erano spassata nel sorprendere i fidanzatini che, senza manco riabbottonarsi, se l’erano battuta! Se qualche spasimante, per mostrare la tempra virile alla morosa, aveva minacciato e non era stato scoraggiato neppure da un ulteriore lancio di sassi di diametro più consistente, a darsela a gambe erano stati i nostri moschettieri, Aldino e Dario in testa. Chi in bici ( a fari spenti), chi a piedi ed a precipizio perché, qualora fossero stati agguantati da uno di quegl’inferociti e surriscaldati innamorati...
Erano stati interventi alla buona, i loro, senza pretese, non canagliate come degli sputasentenze avevano sostenuto, che nondimeno avevano conferito un’emozione inconfondibile alle prime estati sull’Altopiano dei Faggi rendendole più guascone e più intime. Esclusivamente in quattro ne erano al corrente, e casomai uno di questi si fosse provato a riferire una parola in casa…
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