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PETALI D'ALLUMINIO
“Fragile la via del vento
Irripetibile percorso
Lievità del pensiero
Farfalle coraggiose
Ornato sublime della mente”
(Il vento degli Dei profuma di ciliege e nespole)
Se mai, un giorno, vi capitasse di trovarvi sul lastricato di pietra grigia dello Yasukuni Jinja, accarezzati dalla pioggia sottile di Tokyo, vi prego, attraversate la soglia consacrata allo Shinto. Addentratevi nella quiete e nel brusio discreto dei visitatori.
Passate oltre l’antro vetrato che ospita in modo innaturale un Zero colorato di verde.
Passate oltre.
Giunti al cospetto di una folla di ritratti fotografici in bianco e nero, a volte seppia, fermatevi.
Regalate alcuni attimi a ciò che ormai è oblio da tempo.
Se il vostro spirito avrà ancora qualche piuma di angelo, come mi auguro, avvertirete un flebile bisbiglio di parole cortesi.
Sono certo che vi colpirà l’aspetto pensoso di un giovane in divisa da pilota, lo sguardo intenso e limpido dietro occhiali dalla montatura di metallo, la fronte sgombra dai capelli con l’aiuto della brillantina e una fierezza non esibita che da energia alla sua figura. Non sarà lui a parlarvi ma il capitano del Genio, due foto più a destra. Ne parlerà con convinzione, come solo un padre può fare.
-Benvenuto visitatore. Il mio nome è Yasumori Goro, capitano... in guerra, insegnante di disegno, in pace.
Ma non voglio annoiarla con le vuote parole sulla mia vita.
Mi preme parlarle di mio figlio Yasumori Heizo, quello della seconda foto alla mia destra. Vede?-
La voce sarà pervasa di compiacimento e d’affetto. Lo immaginerete sorridere.
-Onorevole signore, la ringrazio per il tempo che mi concede. ?"
Lo immaginerete togliersi gli occhiali, che anche lui indossa, detergerli con un fazzoletto di candido tessuto e prendere fiato per un lungo esercizio di memoria.
Il racconto si rapprenderà in immagini e vedrete un mondo non ancora troncato dalla sconfitta del Giappone. Potrete osservare la vita quotidiana di una civiltà antica faticosamente innestata dalla modernità.
- Io sono caduto a Okinawa, sulla spiaggia, sotto una bordata di una corazzata americana, prima dello sbarco. Ricordo che pensavo ad una scodella di zuppa fumante che condividevo, con la fantasia, con Nanami, mia moglie. L’immaginavo ancora giovane e sorridente accanto al piccolo Heizo... Lui, Heizo, era asceso agli Dei dopo l’impatto con l’ USS Columbia nel golfo di Lingayen, tre mesi prima.?"
L’ombra sul volto del capitano Goro vi confermerà la pena profonda del suo intimo.
Si addolcirà man mano che il suo racconto recupererà fisionomie e scene indelebili nella sua anima. Tramite le sue parole parteciperete alla vita del figlio.
Racconterà della famiglia Yasumori.
Una lunga discendenza di artisti illustratori-pittori.
Un passato condiviso con la densa storia del Grande Giappone come la cellula di un organismo.
Il ruolo della famiglia era stato consacrato all’arte, generazione dopo generazione. l’istinto del “Bello”, da sempre, il cruccio sublime di tutti i componenti, comprese le donne nel ruolo di vestali.
Le parole del padre dipingeranno un paesaggio d’idillio.
Un luogo fatto di risaie e frutteti, lontane colline e l’imminenza del mare al di là della bruma.
Il cielo solcato da voli di piumaggi diversi.
L’uggioso piacere di un torrente attraversato dalle pale dei mulini.
Rumori di lavori umili e nobili, dai campi e dal retro delle case.
I giovani bambù piegati con garbo dai draghi invisibili dell’aria.
Il capitano Goro, come ogni giapponese, costruirà, nel racconto, l’immagine di un paradiso non dissimile dall’arcadia mediterranea, nel quale tutti i valori poetici dell’esistenza sono manifestati con innocenza e con un candore ombrato solo dalla consapevole, non fatalistica, certezza della tragedia, parte necessaria dell’esistenza.
Necessaria, la tragedia, e perciò governata dalle stesse leggi del sublime e della bellezza.
Ed ecco, sotto l’invisibile pennello fatto di parole, la figura di un ragazzino prendere consistenza.
Svago e dovere, le baruffe con i coetanei, i giochi di guerra, le arti marziali e rigore. La spada e il pennello, gesto e pensiero. Fiondate agli uccelli, sassate al cielo. Saccheggio di ciliege e fughe dai contadini... Chi è più felice di un giovane demone pervaso da energie infinite?
- A volte?"
Qui Goro sorriderà con sottile compiacimento.
?" lo vedevo soffermarsi ad osservare, con rapimento, un filo d’erba, il profilo di un monte, la voluta di una nuvola... E così intravedevo in lui l’Heizo artista. Ne capivo la particolarità... ne prevedevo il destino...-
Heizo manifestò una vocazione genuina e profonda, l’Arte divenne parte indistinguibile dalla sua personalità, per cui intraprese un percorso di vita che lo avrebbe portato certamente sulla soglia della saggezza.
Il concetto di “universalità” lo portò ad acculturarsi senza pregiudizio esplorando ogni fenomeno artistico senza limiti geografici o antropologici, passava ore ad osservare particolari d’ogni tipo annotando e schizzando segni fitti fitti su un taccuino che gli aveva regalato la madre per il suo decimo compleanno.
Negli studi ebbe modo de confermare la sua attitudine mostrando una intelligenza vivace ed acuta.
La sua curiosità coinvolgeva anche l’arte della scrittura ideogrammatica, le metriche musicali, letterarie... le arti marziali.
Un giorno, due prima del suo quindicesimo compleanno, suo padre lo sorprese, scuro in volto, circondato da pallottole di carta seduto sotto il portico di casa.
Tremava di rabbia, aveva gli occhi umidi di pianto ma l’espressione era furiosa.
Goro si sedette innanzi al figlio ostentando un largo sorriso.
Raccolto un foglio appallottolato lo dispiegò e si mise a contemplarlo con gravità.
Sulla pagina linee regolate da complessi calcoli geometrici, annotazioni modulari ed armoniche.
- Figlio! Ti affligge questo? Non capisco... spiegami...-
Heizo si era ricomposto con grande sforzo. Aveva abbassato il capo per rispondere.
-Padre, la mia mente mi tradisce, non mi consente di vedere...-
-Heizo cosa non vedi? ?"
Il ragazzo, fissando una pianta fiorita del piccolo giardino attiguo al patio, aveva risposto ispirato:
- Padre, un giorno d’estate al tempo in cui ero bambino, osservavo una piccola rana nuotare nello stagno, quello subito fuori dal villaggio. Guardavo il formarsi delle diafane onde nell’acqua al passaggio di quel minuscolo essere. Una vertigine ha fatto vibrare il mio spirito, una “illuminazione”.
Capii, o così mi parve, il pensiero segreto di Budda.
Compresi la necessità dello spirito di essere compreso dalla materia. Noi siamo materia e diffidiamo di ciò che non è tale.
Gli occidentali hanno esasperato questa diffidenza e hanno inventato la Scienza... Io credo che non vi sia distinzione vera tra spirito e materia... ma che la “Divinità” abbia tagliato con sublime maestria il corpo originario creando la distinzione. L’artista è colui che svela la natura e la forma del “Taglio Originario”che è al contempo il nome del Budda. Il “Segno” è il cardine dell’equilibrio cosmico...
Goro aveva guardato il figlio con meraviglia. Istintivamente aveva proteso la mano per accarezzargli la chioma nera, ma la mano era rimasta a metà via.
- Figlio, ciò che hai detto mi riempie di orgoglio e meraviglia... ma il tuo pianto mi inquieta e la tua rabbia mi spaventa... Un pensiero così ... elevato... spiegami cosa ti affligge.
Heizo aveva alzato lo sguardo ed incontrati gli occhi di Goro aveva risposto con forza:
-... non riesco a vedere il segno, la traccia. Non ho neppure il senso di cosa cercare. Ma sappi, padre, lo giuro non cesserò mai questa ricerca che è ormai la mia vita.-
Il padre aveva annuito con decisione. Senza proferir parola aveva indossato cappello, giacca e scarpe ed era uscito di casa. Sulla soglia aveva rivolto uno sguardo alla moglie Nanami, entrambi avevano sorriso d’intesa. Poi Goro era partito per Tokio.
Era rientrato il giorno dopo a notte inoltrata accompagnato da un facchino. Con cautela aveva fatto collocare una pesante cassa in un luogo lontano dalla vista del figlio, che riposava sul suo tatami.
All’alba del quindicesimo compleanno Heizo aveva scoperto, con stupore, i genitori sorridenti ed eccitati attorno ad un’abbondante colazione. Al termine della libagione, con impazienza gioiosa, gli avevano fatto notare una cassa celata da un drappo. Goro gli aveva consegnato un piede di porco dicendo:
- Figliolo al lavoro!
Heizo, sotto lo sguardo amorevole di sua madre e suo padre, aveva faticosamente lavorato la corazza di legno. Finch’è, rimossa l’ultima barriera, il tesoro si era rivelato.
Agli occhi cupidi del ragazzo erano apparsi ben 22 volumi della Nuova Enciclopedia Moderna della Sanseido e, meraviglia, un grosso volume d’arte in italiano con riproduzioni a colori di opere europee.
Con grande piacere della famiglia Yasumori il sorriso era tornato sul volto del “futuro”.
La radio, in sottofondo, parlava di un mondo malato di guerra.
Il signor Goro vi dirà di come belli furono gli anni successivi, ricorderà con pacata nostalgia i momenti solari prima della guerra contro gli Americani.
I bagliori delle battaglie, remoti ed invisibili dopo Pearl Harbor, non turbarono, inizialmente, la vita di quei giorni.
Il Tempo della Storia non ha pena per gli uomini, impassibile e spietato trascina con se, come un uragano, le leggere cose della vita.
Da i primi anni di guerra dove il Giappone trionfava, dopo Midway, si era entrati in una situazione dove il barometro della fortuna aveva preso a segnare tempi sempre più funesti ed avversi alle sorti del paese del sol levante.
La morsa della guerra iniziava a stringere il quotidiano della gente comune.
I lutti dei figli morti in battaglia si sommavano a quelle dei civili sotto i sempre più frequenti bombardamenti degli alleati. Il cibo scarseggiava e non vi era motivo sufficiente per riderne. Un grigia nebbia aveva pervaso gli animi e le candele dei morti illuminarono i vivi.
Gli Yasumori serrarono le fila per preservare il più possibile la serenità famigliare, senza venir meno ai doveri di fedeli all’Imperatore e cittadini del Giappone.
Il Dovere!
Per un giapponese tradizionale, il dovere era la stessa essenza della identità come individuo nella società. Era il collante necessario all’unità e alla forza della nazione. Non poteva essere oggetto di ripensamento pena il disonore e la sfiducia dei congiunti e dei conoscenti. Veniva accettato senza particolare enfasi, ma con rigore come si trattasse di una insondabile liturgia.
Fu con senso del dovere che il Prof. Yasumori rispose alla chiamata dei riservisti.
Fu per senso di dovere che la moglie Nanami cucì i gradi di capitano sulla divisa del Genio del marito.
Fu puro dovere che spinse il figlio Heizo a fare richiesta per arruolarsi nelle squadriglie aeree della Marina Imperiale come (shinpū tokubetsu kōgeki tai)...
Kamikaze...
Il buon professore vi dirà di quanto fiero e triste si sente per la sorte del figlio, vi chiederà informazioni sulla moglie, e visto che non saprete rispondergli,... con un sorriso spento vi ringrazierà e tornerà alla sua posa originaria nel ruolo effimero di fotografia.
Ma ora saprete di come la sorte e gli dei hanno agito sulla vita di Heizo e di sua madre.
Tutto si dipana da quel memorabile quindicesimo compleanno.
La notte precedente il sonno del giovane Yasumori era stato turbato da un sogno:
“come quasi tutti i sogni anche questo era iniziato in un modo imprecisato in un luogo improbabile ma familiare come un deja-vu.
Un paesaggio fiorito nel pieno sole, sullo sfondo, come in una stampa del medioevo nipponico, il profilo diafano del monte Fuji innevato e fumante.
Una brezza sapiente, resa evidente dall’agitarsi flessuoso del mondo vegetale, rendeva sensibilmente vivo il paesaggio. La sua attenzione si era focalizzata in un punto brillante nella distesa fiorita. Avvicinatosi si era reso conto che uno strano fiore di metallo lucido, forse di alluminio, rifletteva l’intensità della luce solare.
Una folata più forte aveva strappato i petali brillanti che portati dall’aria si erano incendiati consumandosi come meteore nel vento.”
Heizo aveva avvertito il sogno come una profezia, tanto da farne un punto di riferimento della sua successiva esistenza.
Pervaso da nuove energie vitali aveva accolto il regalo dei libri come un’opportunità di progredire nella sua ricerca, certo che vi avrebbe trovato risposte ed indizi risolutivi.
Nell’arco di un anno sviluppò conoscenze impensabili per la sua giovane età.
Guardava le cose del mondo con lucidità, serenità e gioia.
Quando non era impegnato a scuola, nelle sue letture o nel esercizio delle arti marziali, passava volentieri il tempo pescando in un torrentello nei pressi del paese.
Si era reso conto, un giorno, di essere al centro dell’attenzione di due sguardi maliziosamente innocenti.
Gli sguardi, da percezione, si trasformarono in soggetti, per il vero due deliziosi soggetti, due amiche avevano colto la piacevole presenza di Heizo, che “fatalmente” corrispondeva ai loro sogni segreti di ragazzine.
Risiedevano in un villaggio vicino e curiosando nei loro passeggi lo avevano visto, e, con leggerezza, se ne erano invaghite entrambe, da amiche avevano condiviso i sogni fino a generarne uno con un soggetto in comune, si sa quanta determinazione possono esprimere le giovani donne nell’egida dei sogni; le due ragazze, Akiko ed Harumi, avevano trovato facilmente il modo per avvicinarsi a Heizo.
Questi, nella disposizione d’animo in cui si trovava, aveva partecipato con piacere al soave cicaleccio. Sorrisi, risolini e risate avevano creato una atmosfera leggiadra e policroma.
Il ragazzo era estasiato dalla vertiginosa varietà di segni e segnali di una armonia dinamica mai sperimentata prima, il suo corpo aveva reagito sempre più agli stimoli visivi, uditivi, tattili e... olfattivi.
La coralità di sensazioni aveva coinvolto a tal punto i tre ragazzi che il gioco, sempre più ardito, era mutato in qualcosa di nuovo per tutti e senza alcun sentimento del “peccato” il ludico ed il lubrico si erano confusi.
Heizo, in quel momento, aveva capito il significato dei misteriosi sospiri che aveva sentito provenire dall’alcova dei genitori nelle notti insonni d’Estate.
Il gioco, l’amore, l’amore giocoso, il gioco d’amore...
Esausti e nudi, sdraiati supini, tra le fresche erbe sulla sponda del torrente, i corpi a contatto tra loro, lassù le nuvole in pigro movimento e rondini più basse in un elegante sfrecciare, in quel mentre Heizo aveva sentito distintamente un sussurro provenire dalla deliziosa bocca di Akiko:
- ... ora sarebbe bello morire...
Harumi aveva stretto con intensità la mano di Heizo.
Sul volto del ragazzo gioia.
La stessa eleganza, che aveva vissuto in riva al torrente, l’aveva ritrovata raffigurata in immagini nelle pagine di quel volume in lingua italiana che rappresentava opere rinascimentali.
Ogni opera era magnificamente definita da sapienti relazioni armoniche, cromatiche e formali tanto da ispirare in lui suoni, sonetti e a renderlo smanioso di emulare quei maestri, tutte le sue risorse erano state dedicate alla ricerca del “Segno” perciò ogni esperienza era stata da lui inserita in un insieme organico e finalizzato, quei giorni lo avevano visto produrre disegni e tempere mirabili.
L’entusiasmo era stato sempre corroso dalla sensazione di avvicinarsi ad una svolta illuminante senza mai raggiungerla, finche, voltando una pagina, eccola lì, la figura ritraeva una scena di disarmante, semplice, armonia, un uomo maturo, barbuto, dall’espressione ispirata, paludato di cremisi, assiso innanzi ad una tela in fare di dipinto, eseguiva mirabili disegni di farfalle, le quali, perfette, pigliavano vita e staccatesi dal quadro, si libravano per l’aria in una festa di voli colorati.
Alle spalle del dio assorto, Ermes tacitava una Virtù bacchettona perchè non fosse interrotto il meraviglioso progredire di Giove loro signore.
Il dipinto esprimeva una perfezione radiosa e nutriente, l’artista era un certo Dosso Dossi originario d’una città remota ed inimmaginabile, posta in una pianura nebbiosa e sconfinata, ferita da fiumi e paludi...
La forza del pensiero di Heizo aveva individuato la soluzione della sua ricerca nel senso dell’opera, il “movimento” era stata la rivelazione, per superare il limite del campo geometrico era necessario introdurre il concetto di “spazio-tempo”.
Alla prima occasione si mise con passione ad osservare le dinamiche traiettorie delle farfalle e ne scoprì le innumerevoli variazioni che gli fecero pensare ad un linguaggio elegante e complesso, ne schematizzo i movimenti in disegni accurati e laboriosi, scoprì le variabili dovute alle diverse luci del giorno e alle densità dell’aria.
Un pomeriggio, alla luce primaverile e limpida del sole, la sua caparbietà fu premiata, due farfalle bianche danzarono per lui sulla sponda del torrente, era un rituale di corteggiamento per la riproduzione, ma di una tale grazia ed eleganza da culminare negli ultimi passaggi in un movimento cosi perfetto...
” ...è questo... è questo...” ... gli sfuggì dalla bocca...
nemmeno un secchio di sake avrebbe sortito un effetto simile su Heizo, era semplicemente felice.
Poi venne il tempo di riprodurre quella perfezione con i mezzi dell’uomo.
Da prima pensò al gesto fluente della spada, ma il vincolo della presa delle mani ne limitavano la libertà necessaria alla manifestazione perfetta del “Segno”,
realizzò successivamente che la migliore possibile delle opzioni era indubbiamente il volo e la controversa opportunità gli fu offerta dalla richiesta da parte della Marina Imperiale di volontari suicidi su veivoli esplosivi.
L’idea di morire non lo aveva turbato.
L’onore e l’intrinseca bellezza di immolarsi in volo, convinto di poter sperimentare un nuovo strumento espressivo, gli rendevano plausibile quasi ovvio quel gesto che nella mente dei più appariva folle e disumano.
Il vento mulina odori, foglie, fiori, il tempo... resiste indomita l’idea, il progetto, l’eternità illusoria dell’Esserci.
Heizo aveva fatto domanda e si era visto accettare nei reparti Kamikaze, con passione aveva stretto le mani alla cloche di un vecchio Zero da addestramento fino al giorno mirabile dove si era librato nell’aria con la sola forza del potente motore stellare e della sua volontà vigile e desiderosa di apprendere.
Il tempo, nuovamente padrone dei destini, aveva ripreso il suo potere e i giorni si erano dilatati resi ingombri d’attesa.
Heizo aveva coltivato con attenzione il suo desiderio di riprodurre quel Segno divino nel quale sapeva celarsi una rivelazione, dissimulando la sua abilità di pilota, lo aveva perfezionato frazionandolo in azioni, in apparenti goffaggini e finte imprecisioni,
si era dedicato in modo maniacale al proprio aereo curandone i comandi, il motore, l’anima, al punto di farlo parte di se.
Ed ecco il giorno.
L’alba della gloria lo sorprese mentre usciva da sotto il telone che mimetizzava il suo veivolo. Aveva le mani, il volto e la tuta di lavoro sporchi di vernice argentea ed era corso a lavarsi e prepararsi per il consueto rituale dedicato ai piloti prescelti per la missione.
Preghiere, saluto, te caldo, sake e patate dolci poi verso gli aerei.
Un mormorio di sorpresa si era levato tra i presenti quando gli avieri avevano rimosso i teloni dagli Zero, quello di Heizo brillava al sole come uno specchio, ma nessuno, tanto meno il suo comandante, aveva avuto cuore di redarguirlo, non v’era più tempo, la bianca morte delle battaglie non poteva aspettare.
Come in una vecchia pellicola vediamo i giovani piloti, con gli sguardi fermi, attenti ai comandi degli aerei volare chi con l’espressione rassegnata chi con una luce limpida negli occhi, alterati nell’animo dalla chimica delle emozioni.
La squadriglia, preso il volo, aveva raggiunto la quota massima raggiungibile, onde evitare eventuali scorte di caccia americani, da li ogni aereo aveva ricevuto le coordinate del proprio bersaglio e con risolutezza i piloti si erano lanciati nell’ultima e nell’unica carica.
Ora, solo nella la sua abbagliante farfalla tecnologica, l’”artista” Heizo aveva preso il sopravvento e via via che procedeva verso il cacciatorpediniere americano ripassava mentalmente le manovre necessarie alla realizzazione di quella sua opera d’arte per il quale era vissuto come predestinato.
I responsabili della centrale di tiro antiaereo del cacciatorpediniere USS Columbia avevano rilevato con apprensione un oggetto volante, lucente e visibile da grande distanza. Il radar lo aveva individuato come un caccia giapponese ma la sfrontatezza dell’aspetto aveva reso inquieto il personale della nave.
Il nervosismo si era propagato tra l’equipaggio.
L’aereo d’argento si stava avvicinando risoluto ed ogni bocca da fuoco contraereo gli era stata puntata contro. Le sirene d’allarme del Columbia avevano suonato a distesa mentre l’aereo era quasi a tiro.
E brillava, abbagliava nei mirini gli occhi degli artiglieri, pareva un demone... un fantasma ultraterreno... e l’ansia cresceva nei petti a “stelle-e-strisce”, pochi istanti ancora e si sarebbe scatenato l’inferno.
In quel preciso momento era avvenuto l’inaspettato. La macchina volante si era impennata risoluta, ancora fuori tiro, aveva compiuto un mezzogiro della morte all’indietro, un avvitamento poi ancora un verticale riflettendo la luce abbagliante del sole vivido, e via procedendo aveva compiuto manovre di una tale eleganza ed abilità ... nessuno aveva mai assistito ad una esibizione di tanta bellezza paragonabile ad un danza ma priva di peso e straordinariamente armoniosa...
Non un colpo era stato sparato per circa tre minuti.
Ecco che l’aereo di Heizo si era impennato ancora e con un mezzo looping rivolto verso la nave si era trovato ad una distanza minacciosa... pochi secondi e il Columbia, come un essere vivente conscio della propria esistenza, aveva reagito riempiendo il cielo di metallo incandescente ed esplosioni... Ma l’arco elegante dell’ultima figura aveva portato l’abbacinante veivolo troppo vicino al suo destino.
Lo Zero era risultato alto all’uscita della manovra ed in vece del corpo della nave il muso aveva centrato un fumaiolo, si era prodotta una poderosa esplosione e la carlinga del veivolo si era spezzata all’altezza della cabina del pilota.
Il Columbia aveva riportato gravi danni ma non risolutivi, l’equipaggio aveva contato tre feriti non gravi e, incredibile, il folle pilota nemico era stato catapultato in mare in una sfera di fuoco... ancora vivo!
Il comandante del cacciatorpediniere aveva ordinato il recupero del pilota, che era risultato parzialmente ustionato, vistosamente ferito sulla fronte e privo di conoscenza.
Mentre lo avevano soccorso un sentimento di profondo rispetto aveva condizionato il comporamento dei marinai del Columbia, qualcuno aveva coniato per lui il termine “crazi-j” che veniva pronunciato benevolmente senza l’ acrimonia che quella guerra aveva insegnato a tutti i suoi attori.
Due occhi avevano assistito con particolare meraviglia all’esibizione volante ed erano quelli di un giovane tenente di vascello originario del New Messico.
Henry Colleman, scultore esordiente prima della guerra, aveva capito e riconoscito quelle traiettorie... quei disegni aerei, li aveva visti mille volte nelle pieghe di un captus, nel movimento di un crotalo del deserto... in quel particolare solco tra il pube e la coscia che si produceva in certe posizioni delle belle “chiquita” del bordello in un paesino oltre la frontiera messicana...
Il coma era divenuto il padrone della coscienza di Heizo e lo aveva preservato dall’evoluzione disastrosa della guerra per il Giappone. Trasportato negli Stati Uniti era stato ricoverato in un ospedale militare della marina nei pressi di San Diego.
Ogni occasione possibile Henry Colleman gli faceva una visita e si intratteneva a parlargli come fosse suo amico da sempre, era stato mosso da un sentimento di affinità che sovente accomuna gli artisti.
Le condizioni, nonostante il coma, erano risultate incoraggianti per i medici che non avevano disperato in un risveglio del pilota giapponese.
Il tempo ci conduce a balzi.
Mesi dopo l’ultima visita Henry si era ripresentato speranzoso di trovare sveglio e cosciente quello che considerava ormai come un fratello.
Il sole della California entrava tiepido dalle veneziane quel pomeriggio del 9 Agosto 1945, Henry Colleman, mosso da curiosità, aveva aperto il cassetto del comodino a servizio del letto di Heizo Yasumori, scoperta una agendina tozza con la copertina di cuoio bruciacchiata ed ingiallita dall’umidità, si era avvicinato alla finestra per vedere meglio e aveva cominciato a visionarla.
Con meraviglia ma senza sorpresa.
Le figure e gli appunti, pur in nipponico, gli avevano comunicato il percorso mentale che il giapponese, di cui ancora non conosceva il nome, aveva intrapreso. Ne era stato affascinato. La bellezza dei disegni era inedita per Henry. Aveva trovato gli schemi del “Segno” fino al disegno di una farfalla bianca.
La stava ammirando quando il prodigio divino si era manifestato.
Ai suoi occhi increduli la farfalla aveva avuto una vibrazione, si era staccata dal foglio e in tutta la sua bellezza aveva preso il volo.
La sorpresa fu genuina! L’agenda cadendo aveva prodotto un tonfo sordo a contatto con il pavimento mentre il candito lepidottero varcava un vetro aperto, i prodigi non si erano esauriti.
Con un mugolio ed un colpo di tosse soffocato Heizo aveva ripreso conoscenza.
Henry concitato aveva chiamato l’infermiera che si era prodigata.
Il sole era più rosso al di là della vetrata ed Heizo, con uno sguardo presente ed interrogativo incrociava quello di Henry stupito ed ansioso...
A migliaia di miglia, oltre il blu cobalto del Pacifico, lo sguardo triste e luminoso di Nanami era stato rivolto verso il cielo terso sopra Nagasaki attirata da un lungo tuono sommesso. Uno splendente veivolo aveva lasciato cadere un grosso uovo nero frenato da un paracadute.
Anche li il prodigio si era manifestato in un piccolo intenso sole brillante e la dolcezza di Nanami Yasumori si era vaporizzata lasciando una ombra sul muro del tempio dove aveva pregato per il figlio e il marito.
Ogni prodigio esige un prezzo, il più alto... crudeltà e bellezza sono le spezie del mondo.
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