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Il nipote
L’indomani sarebbe stato un giorno di festa e Jack aveva lavorato tutta la notte nel suo garage per prepararlo nel miglior modo. Adesso il suo regalo si presentava davvero bene e nel giorno del Thanksgiving Day l’avrebbe consegnato, in segno di gratitudine, al suo capo ufficio. Quel porco l’avrebbe finalmente pagata. Torti, insulti, umiliazioni e quant’altro ancora Jack aveva subito negli ultimi cinque anni e ora era giunto il momento di farla finita. Pensava, mentre riordinava gli attrezzi presenti sul tavolo da lavoro. Aveva pianificato tutto e nei minimi dettagli, la posta in gioco era troppo alta per commettere degli errori. Domani avrebbe invitato a pranzo sua sorella Jenny con il marito Robert e il suo nipotino Eugène. Nipotino si fa per dire in quanto sebbene avesse solo undici anni era già molto sveglio, spigliato e spesso arrogante. Aveva adottato un comportamento da bulletto spaccone, anche se con il suo fisico minuto, dava più la sensazione di un piccolo “narigiatello” sottomesso. Ma con i suoi coetanei ci sapeva veramente fare il piccolo Eugène. Il padre, occhi di ghiaccio, portava ancora il tipico taglio alla marines. Era anche lui piccolo, tarchiato e se non fosse stato per la pancia prominente, si sarebbe facilmente potuto confondere con quei quarantenni che per tutta la vita avevano preferito foraggiare i bicipiti in palestra piuttosto che il cervello. Il suo modo di fare e di essere si contrapponeva alla dolcezza, gentilezza e intelligenza di sua moglie Jenny. E Jack non era mai riuscito a capire cosa lei ci trovasse in quel razzista yankee di Robert, che sembrava facesse di tutto per assomigliare ad un bifolco repubblicano del profondo sud.
Il barbecue, la carbonella, la birra, le verdure, i pop corn, le patatine... tutto era pronto. Mancavano solo gli Hamburger e le T bone, ma a queste aveva comunque già pensato consegnando la lista della spesa e il suo indirizzo dove addebitare il conto a sua sorella Jenny che si era offerta di provvedere lei stessa. Tanto meglio. Mancavano ormai poche ore poi, ammesso che fosse riuscito a dormire, si sarebbe svegliato alle sette e, dopo una doccia e un caffè, avrebbe messo in atto il suo piano.
Il sole, con i suoi raggi, incominciava a riscaldare le piante, le case e le strade che, per l'occasione festiva erano deserte. Una sorte di pace, di silenzio avvolgeva stranamente l'inizio della giornata. Il dolce canto degli uccellini, il frinire delle cicale ed altri suoni della natura fungevano da sfondo ai bambini che giocavano. Sembrava di vivere in un sogno e Jack si fermò un istante a sognare. Era però giunta l'ora di agire.
Musica ad un buon volume, bottiglie al fresco, griglia al suo posto. Jack dopo averla rimboccata di carbonella l'accese. Era allegro, cantava e fischiettava dando al vicinato la sensazione della sua presenza in casa. Poi prese il suo regalo, lo osservò e lo mise vicino all'orecchio " tic tac tic tac tic tac ". Dopo aver indossato i guanti ed aver avvolto il pacco in una grossa maglia di lana, uscì furtivamente da una piccola porta posta sul retro del suo giardino, lontano dagli sguardi indiscreti.
Ora si trovava al principio di una selva ricca di piante e vegetazione, ideale per passare inosservato. Prese subito un piccolo sentiero che per lui fungeva spesso da scorciatoia per arrivare al più presto nel quartiere basso della cittadina. Camminava con un buon passo osservandosi attorno, ma nessuno parve vederlo. Era contento. Erano le dieci, tutto quadrava e aveva ancora un'ora per consegnare il regalo. Avrebbe dovuto attraversare il bosco e percorrere quattro isolati ed il gioco era fatto. Mise nuovamente all'orecchio il suo pacco e udì il dolce ticchettio "tic tac tic tac". Poi, improvvisamente vide in lontananza una persona venirgli incontro ed il suo cuore incominciò a battere furiosamente. In quel momento il panico prese il sopravvento e Jack si nascose precipitosamente dietro una grossa quercia. Poi, dopo un sospiro di sollievo, si mise a ridere istericamente. Era solo una bambina che canticchiando e saltellando si stava avvicinando. Decise di uscire allo scoperto, un diabolico pensiero gli era balenato per la testa. Una mente lucida, folgorata, nell'attimo fuggente, da un'atroce geniale idea.
" Ciao piccola, come ti chiami?" Le si rivolse. La bimba non sembrò essere molto interessata a lui e continuando a cantare guardò i suoi piedi poi, con uno scatto fulmineo della testa, il cielo che in quel momento appariva velato da piccole nuvole bianche simili a panna montata. " Oh guarda" disse "Sembra la panna che mia mamma mette sulla torta di cioccolato! " Esclamò.
" A te piace la torta di cioccolato?" Gli chiese. Questa fu la domanda che permise a Jack di trovare il giusto aggancio. "Certo che sì, io quand'ero piccolo ed avevo all'incirca la tua età la mangiavo in continuazione giorno e notte". Le rispose. "Fortunato tu che potevi. Io con i pochi soldi di mia madre riesco a mangiarla due o tre volte all'anno". Un velo di malinconia e tristezza traspariva ora dai suoi occhi. "Su piccola non ci pensare, se vuoi te la faccio avere io una grossa fetta di torta." Le disse. "Davvero? E come? Ce l'hai in quel pacco?" Gli chiese mentre le pareva di sentirne già il gusto in bocca. "No cara, ma se mi fai un piccolo favore ti cedo volentieri due dollari, così potrai comprare una torta intera!" Esclamò. "Va bene, cosa devo fare?" Gli chiese. "Vedi questo pacco? Lo devi consegnare ad un signore, sai si tratta di un regalo. Percorrerai quattro isolati, ma è assolutamente indispensabile che tu glielo consegni entro le undici." La bambina sembrò rifletterci su, poi scuotendo la testa disse "Non posso, la mamma mia ha detto di non dare confidenza agli sconosciuti e di non accettare regali e soldi." A quella risposta Jack si spazientì e replicò "Sì, ma la mamma non ha soldi mentre guarda qua!" Jack estrasse dalla tasca due dollari e glieli mostrò.
"Wow, sono proprio due dollari!" Esclamò stupita la bambina. "Va beh, vorrà dire che il pacco lo consegnerò io e la torta la mangerò solo io." Fece, rimettendosi i due dollari in tasca. "No, un attimo. Lo consegno io, lo consegno io!" Gridò la bambina vedendo sparire il denaro. "Finalmente ti sei decisa! In fondo è un lavoretto facile che non ti occuperà più di una mezz'ora." L' apostrofò."D'accordo." Gli rispose. "Dunque dovrai portare il regalo a questo indirizzo" E le mostrò l'indirizzo scritto sull'etichetta a lato del pacco. "Sai dove si trova?" La bimba leggendolo a fatica mosse la testa in segno di approvazione. Jack si assicurò che la bimba fosse realmente a conoscenza del luogo di consegna poi, soddisfatto le porse il pacco e i due dollari raccomandandosi di non perdere altro tempo e di consegnarlo assolutamente entro le undici.
Era fatta. Se prima era allegro, ora era gioioso. Cantava, saltellava come una lepre e visto che era in anticipo sui tempi, si fermò. Si sedette su un tronco ad osservare il paesaggio. Il sole che saliva all’orizzonte irradiava ormai tutta la piccola valle con i suoi alberi raggianti e verdi più che mai. Due tortorelle giocavano a rincorrersi richiamandosi vicendevolmente, cercando si sedursi. Un leggero venticello accarezzava le foglie degli alberi e muoveva in una danza rituale i lunghi ciuffi d’erba che, come alghe nel mare, fluttuavano in ogni direzione sospesi nell’acqua in una sorte di magia. Che spettacolo! Quando mai nella vita di tutti i giorni aveva aperto gli occhi, la mente e il cuore a tutto questo? Quando mai, al rumore continuo e snervante del traffico, alla musica assordante, era riuscito a contrapporre e godersi queste nuove e celestiali emozioni sonore?
Solo ora capiva che nella sua vita aveva dedicato troppo poco tempo a se stesso. Jack era fondamentalmente altruista. Lo era stato con sua moglie Julie che si dedicava unicamente ai suoi futili interessi e tra i quali al primo posto, situava quello di apparire esteticamente perfetta. Ma è risaputo che una cozza, malgrado tutto, resta sempre una cozza e che mai potrà trasformarsi in vongola. E lui, pur di assecondarla, gli aveva finanziato tutta una serie di interventi chirurgici di estetica. Alla fine però pure la deficiente si era resa conto di rimanere quella solita comune conchiglia nera. Jack era sempre pronto a soddisfare le richieste dei suoi colleghi d’ufficio. Di favori e turni fuori orario ne aveva fatti molti e spesso senza ricevere neppure un misero ringraziamento. E malgrado ciò il suo capo lo aveva più volte accusato di assenteismo e di essere un tremendo fannullone. Ma ora basta, oggi avrebbero conosciuto il nuovo Jack.
Con una mano teneva, sotto il braccio, il pacco, mentre con l’altra sembrava brandire una spada. In realtà teneva stretti, stretti, i due dollari, gustandosi già la torta che con essi avrebbe potuto acquistare. Però anche quei bei dolcetti dai mille colori che ci sono nella vetrina da “Robert Candies”, non sono male quale alternativa alla torta. Poi, in uno sprazzo di lucidità, decise che la prima cosa da fare sarebbe comunque stata quella di consegnare il pacco. Lo vide sotto il suo braccio con quella bella carta a fiori azzurri e chissà cosa conteneva. Posto vicino all’orecchio udiva una sorta di “tic, tac, tic, tac”, ciò che le fece pensare un orologio. L’immagine della vetrina con i dolciumi e la torta, la fecero desistere dall’aprirlo.
Dopo alcuni passi si trovò fuori dal bosco e incominciò a percorrere le vie del primo isolato. Erano le undici meno venti e ne rimanevano ancora tre da attraversare. Ecco in fondo alla strada avrebbe svoltato a destra per proseguire fino a quell’ altra che si inseriva perpendicolarmente alla sua sinistra.
La brace era pronta. I peperoni puliti e tagliati a spicchi erano già in padella a rosolare. I pomodori e l’insalata erano conditi separatamente in due scodelle. Sul giradischi suonava un vecchio successo di Johnny Burnette intitolato “Lonesome Train”. Jack cantava e sbraitava cercando di imitare la voce di Burnette. Il risultato era pessimo, ma se non altro tutto il vicinato avrebbe potuto confermare che Jack a quell’ora si trovava in casa.
Il secondo isolato era di dimensioni più contenute e la bimba pensò che sarebbe stato più facile percorrerlo. E questo lo fu sicuramente fino a quando, svoltando a sinistra, non si trovò di fronte proprio la vetrina che sognava. “Robert Candies” citava l’insegna all’entrata. Uno sguardo all’orologio. Erano le undici meno un quarto. Poi i suoi occhi caddero sulle caramelle giganti incartate in stupende carte colorate. Torte al cioccolato con una montagna di panna o con le mandorle. Enormi caramelle di zucchero bianche e rosse, avvitate su se stesse a spirale e avvolte in carte trasparenti. Biscotti con uovo e zucchero. Questa visione la mandò in estasi, poi con grande decisione, mollò il suo pacco all’entrata e si precipitò a fare acquisti. Mancavano solo dodici minuti alle undici. Spese tre quarti di dollaro, si riempì le tasche di caramelle e divorò una fetta di torta al cioccolato e panna. Era felice e sembrava volersene andare non curante di niente e nessuno quando, improvvisamente si ricordò del suo pacco. Lo mise nuovamente sotto il braccio e incominciò a correre a perdi fiato. Si trovò ben presto nel terzo isolato, poche vie e nel quarto sarebbe arrivata a destinazione. Mise nuovamente il pacco vicino all’orecchio udendo il solito “tic, tac, tic, tac”. Era sempre più convinta che si trattasse di un orologio, magari di quelli a cucù. La voglia di aprire il regalo si fece ancora sentire, ma sul punto di farlo una vocina dentro di lei la esortò a non farlo e a mantenere fede alla sua promessa. Dopotutto aveva ricevuto un lauto compenso. In questo pensiero confuso le parve di udire non unicamente la voce della sua coscienza, ma bensì un’altra ancor più viva e presente. Si strofinò gli occhi e voltandosi di scatto si trovò davanti un ragazzino più grande di lei che la fissava.
“Che cosa hai in quel pacco?” Le chiese “È un regalo che devo consegnare ad un signore.” E estraendo dalla tasca i soldi che Jack gli aveva dato aggiunse “Guarda li ho ricevuti in cambio di questo favore.” E gli mostrò il dollaro e i quindici cents che gli rimanevano. Il ragazzino agrottò le ciglia, si irrigidì. “Dammi subito tutto o te le suono!” Esclamò. La bambina impaurita tentò la via della fuga, ma il giovane fu più lesto e con una fulminea mossa le strappò di mano i soldi e il pacco e si mise a correre a più non posso lungo la via. La bambina spaventata e allo stesso tempo furiosa scoppiò in un pianto isterico. Non sapeva se essere arrabbiata più per i soldi persi o per il pacco. Tant’è che poco dopo si riprese e questo grazie anche a quello sfogo liberatorio. Si sentì decisamente meglio e si diresse sconsolata verso casa sua, passando nuovamente davanti alla vetrina dei suoi sogni.
Jack mise le verdure sulla griglia, stappò una bottiglia di champagne e dedicò il primo brindisi a sé stesso e al suo ingegno. La giornata era splendida e si incominciava a sentire il profumo di bacon fritto provenire dai giardini dei vicini. Fischiettava, cantava e non stava più nella pelle dalla contentezza.
Il ragazzo si era voltato più volte per osservare se la bimba lo seguisse. Poi incontrò una signora anziana alla quale chiese. “Senti vecchia mi sai dire che ore sono?” La signora si voltò lentamente e vide il giovane. “Certo che so che ore sono!” Indignata e offesa se ne andò. “Che vecchia befana!” Pensò il ragazzo emettendo una risata che più che ad essa sembrava un raglio di asino. Più avanti si fermò ad una vetrina dove regnavano, in bella mostra, gli ultimo ritrovati dell’elettronica. Ne approfittò per ascoltare gli ultimi risultati di baseball. Dopodichè la cronista annunciò che erano le undici meno cinque. Ricordatosi improvvisamente del pacco e scorgendo l’etichetta con l’indirizzo del destinatario, pensò che i cinque minuti erano più che sufficienti per completare la missione. Avvicinò il pacco all’orecchio e udì il solito e flebile “tic, tac, tic, tac”. “Si doveva trattare di un’orrenda sveglia” Pensò e incominciando a correre si diresse verso la meta.
Jack decise di controllare nuovamente il garage eliminando eventuali resti del suo lavoro. Perdiana! Nella fretta e furia si era dimenticato i bossoli dai quali aveva estratto la polvere da sparo proprio lì sul tavolo. Soffiò via dal banco i resti di polvere nera e proprio in quell’istante udì aprirsi la porta dietro di sé. Si voltò gesticolando e imprecando pensando di trovare sua moglie. Quell’impicciona! Quante volte le aveva detto di lasciarlo in pace quando si trovava nel suo garage. Lei non aveva mai osato contraddirlo fino ad ora. C’era un poliziotto sulla porta che, osservando il tavolo, vide i dettagli che lo tradivano, i bossoli e i resti di polvere che lo incastravano. Jack terrorizzato si precipitò verso l’uscita, ma un’enorme mano lo afferrò e lo voltò come un fuscello. Sette, otto, dieci pugni gli distrussero il viso e Jack, in una pozza di sangue, rantolava a terra. “Alzati bastardo è solo l’inizio!” Urlò il poliziotto. “Non mi interessa cosa mi farà passare il mio capo in centrale, ma so solo che io adesso ti faccio a pezzi!”
Con il viso devastato da tanta violenza, Jack cercò di portarsi ancora in posizione eretta. “Tua sorella è stramazzata al suolo quando glielo abbiamo detto. È stata lei a mandarci qui da te. Vedi questo pezzo di carta bruciacchiato? È l’unica cosa rimasta dopo l’esplosione. La lista della carne da acquistare con l’indirizzo della persona alla quale andava addebitata. Jack Palmer, Silver Street 7, Memphis. Tua sorella ha mandato suo figlio Eugene e tu gli hai dato una bomba da consegnare, ma il bambino non è arrivato in tempo. Tuo nipote! Dio Santo..”
Jack si rimise in piedi e piangendo riuscì, con le ultime forze che gli rimanevano, ad estrarre dalla fondina della guardia la pistola. Il poliziotto dal canto suo non reagì. Era come se avesse intuito la prossima mossa di Jack. Uno sparo. Il poliziotto non raccolse l’arma, si girò e fissando negli occhi la moglie che nel frattempo era apparsa in garage, se ne andò.
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