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Sperando che cambi il tempo
Una trasferta in pieno luglio in quella bella città, tutto sommato ne era contenta. Se tutto fosse filato liscio, una pre vacanza. Il suo lavoro le piaceva e la realizzazione di un progetto così importante con gente nuova la elettrizzava. Le piacque subito, appena le fu presentato, il suo nuovo e temporaneo collega aveva una bella faccia. L’avevano subito colpita quello sguardo da bimbo spaurito, i suoi tanti capelli mai a posto e i suoi denti bianchi con i canini appuntiti, leggermente all’infuori.
Magro, leggermente spallato come chi non è mai andato in palestra ma per tutta la vita ha corso, ha saltato, ha camminato e continuato ad andare in bicicletta anche dopo l’età dell’adolescenza. Arrivava in ufficio in giacca e cravatta ma appena entrava nello studio, dopo aver acceso i monitor colorati che spiccavano nello stanzone poco illuminato, si toglieva la giacca e la cravatta. Sin dal primo giorno si era fermata ad osservarlo in quel suo gesto liberatorio, ne aveva sorriso senza nasconderlo, lui semplicemente aveva ricambiato il sorriso dandole il buongiorno. Lavorarono insieme in quello studio per 10 ore al giorno, in sintonia anche quando discutevano, furono complementari nella realizzazione del progetto, lei lo seguì prendendosi notevoli rischi: ogni volta in cui lui voleva intraprendere una strada inconsueta, adottare una soluzione estrema, mettere in pratica idee folli ed anticonvenzionali. L’immediata simpatia che lui le aveva ispirato era diventata attrazione, ogni giorno più forte, ogni giorno più profonda e disarmante. Lei sapeva che anche lui non ne era immune, si accorgeva da come la guardava e da come abbassava gli occhi, dai cambi improvvisi nel tono della voce quando si sfioravano davanti lo stesso monitor, dal respiro leggermente affannato che spesso intercalava le loro conversazioni. Nessuno dei due disse mai nulla a tale proposito anche se la tensione che li sprofondava in quel vortice di sensazioni aveva raggiunto livelli quasi dolorosi.
Il progetto venne portato a termine con grande successo, piovvero complimenti dalla direzione e dai clienti invitati a quella lussuosa cena a conclusione della presentazione del progetto, la loro ultima cena, l’ultima volta insieme. Quella sera il titolare la volle accanto e non potè rifiutare anche se la rabbia per non averlo vicino le chiuse la bocca dello stomaco per tutta la serata. Riuscì solo a bere, a bere quel delizioso vino che nasce sulle dolci colline di quella zona riuscendo ad allentare un po’ la tensione, aumentando però, ancora di più, la temperatura corporea in quella calda serata di fine luglio, resa ancora più afosa da una coltre di nubi.
Al momento dei saluti, fuori dal ristorante, lui le si avvicinò: “Vieni con me stanotte?”
Aveva spesso immaginato la richiesta ed il suo rifiuto sofferto ma non andò così, senza pensare rispose un asciuttissimo e deciso”Sì”.
Velocemente raggiunsero un belvedere, la città da lì sopra era splendida ma rimase abbastanza delusa alla vista delle macchine affiancate nei cui abitacoli le copie amoreggiavano. Ma ormai aveva deciso e si sarebbe accontentata.
Parcheggiò, la invitò a scendere dall’auto, la prese per mano, senza parlare, guidandola sotto una coltre di alberi dove un sentiero risaliva la collina. Il leggero vestito di cotone era bagnato di sudore sulla schiena e sotto i seni, non se ne vergognava anzi le piaceva mostrare a lui la reazione del suo corpo a quel caldo insopportabile. Lui si accorse dei sandali alti, le disse di togliersi. Lei obbiettò: “Non si vede nulla, mi posso far male”. Le chiese per l’ennesima volta di fidarsi di lui. “Toglitele anche tu”. Lui sorrise, mentre si toglieva le proprie e la guardò compiaciuto: ”Ti adoro”. Queste parole, le prime che mostravano il suo coinvolgimento, le diedero un brivido ma furono le uniche, durante il resto della salita nessuno dei due parlò, lui la guidava, lei, al buio, si limitava a stringergli la mano più forte quando lo scuro ed il bosco si facevano più fitti, il suolo era morbido, di una strana consistenza. Al culmine della collina una piccolissima radura formava un cerchio senza alberi, l’erba era alta, la luna a tratti usciva dalle nuvole illuminando i loro volti in bianco e nero, madidi di sudore. Un tuono rimbombò lontano, lei sussultò. Lui sorrise tra sé e grandi goccioloni cominciarono a scendere. Le scostò i capelli dal viso che si stava lentamente bagnando, lo diresse verso il cielo e poi verso la sua bocca: piano cominciò a leccare una ad una ogni goccia che cadeva ora sugli occhi, ora sul naso, ora ai lati della bocca, mentre la pioggia aumentava d’intensità. Le sfilò il vestito continuando ad assaporare le gocce di pioggia che le macchiavano il corpo con brillanti cerchi; le sfilò gli slip, era eccitata ed un po’ smarrita. Se ne accorse, l’ accompagnò a terra con dolcezza, l’erba era morbida, il suolo appena bagnato emanava un forte odore di terra, la natura ringraziava, la pioggia batteva sulle foglie e sui loro corpi riempiendo la notte di suoni e di piacere. Le accavallò leggermente le gambe, “Stai ferma, respira, chiudi gli occhi e ascolta” le disse, poi si allontanò, lei li chiuse, istintivamente aprì la bocca, l’acqua scendeva nella gola fresca, pura, ristoratrice dell’ arsura provocata dal caldo e dal respiro affannato, sentiva ora il cielo sopra di lei, il profumo del bosco era intenso e gentile, le gocce battevano piacevolmente sul suo ventre, sulle cosce, sul suo seno indurendone i capezzoli. Con cautela lui ritornò, consapevole di non essere l’unico partner, mise le mani sui suoi fianchi e cominciò a bere, prima dal suo ombelico che l’acqua aveva riempito, poi dall’incavo del pube dove altra acqua si era fermata fra le cosce, lui beveva e il piccolo pozzetto si riempiva di nuovo, si immergeva avido in quel piccolo lago cercando con la lingua tesori sommersi. Il succo di lei si diluiva nell’acqua “Sei buona…”. Lei si sdraiò sul corpo di lui, l’acqua si riscaldava fra i due corpi bagnati, la allontanò un poco da sé e due ruscelli cominciarono a sgorgare copiosi dai suoi capezzoli, spalancò la bocca, li assaporò, li bevve, li succhiò, mentre l’acqua scendeva sul suo viso. Poi fu lei a godere della fontana di lui, mentre la pioggia rimbalzava con forza sui loro corpi. Annegarono e si salvarono a vicenda, più volte emersero e più volte si immersero in se stessi e nel tutto che li circondava, furono uno dell’altra e del cielo stesso per ritrovarsi al fine abbracciati, ansimando sotto il cielo che lentamente ora placava la sua forza …
Spiovve sui due abbracciati nell’erba bagnata, un vento caldo asciugò la loro pelle mentre stretti dissero addio a quel luogo e a loro stessi, pregando in silenzio Dio perché prima o poi il tempo cambiasse di nuovo.
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- Molto coinvolgente. Fa sentire con forza il desiderio dei due protagonisti.

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