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La Ballerina
C'era una volta...
In un antico borgo, proprio là dove sembra esserci un confine tra la realtà e il sogno, una casetta di pietra e mattoni, circondata da pini, banani, mandarini, limoni, chinotti, aranci...
La casetta era su due piani e vi abitavano due sorelle, sposate ma senza prole: la prima si chiamava Miranda e stava al primo piano, la seconda che era anche la minore, stava al secondo piano e si chiamava Esterlita; al pian terreno c'era un bell'ampio forno, un tavolo di legno di quercia, quattro sedie, una vetrina a due ante, con tanti vasetti e boccettine che sembrava quella dello speziale. La stanza del forno era proprietà di entrambe le donne.
Miranda era molto laboriosa, orgoglio e vanto del marito: ella oltre a cucinare, spazzare la casa, fare i letti, amava principalmente spolverare e riassettare: non c'era angolo della casa in cui ella non ravvisasse un peluzzo, che, naturalmente, veniva buttato nella spazzatura.
A mezzogiorno, si svolgeva poi, il rito dei maccheroni. E appena l'orologio della torre scandiva il mezzodì, Miranda lasciava ogni cosa lì, ogni conversazione, ogni altra occupazione e accorreva in cucina per versare la pasta nell'acqua in ebollizione.
Esterlita, amava anch'essa cucinare, spolverare, lavare, riassettare, però non prolungava i suoi lavori domestici, oltre il necessario e lasciava che una buona parte di tempo fosse da lei dedicato a incoraggiare le proprie propensioni artistiche: per questa ragione dipingeva e amava, in particolare, modellare l'argilla o altre paste modellanti: se non aveva a disposizione, il materiale più idoneo, ella ricorreva a farina, acqua, sale, zucchero, cera. Per il fatto che le cure di casa, trovavano concorrenza in altre occupazioni, Esterlita, si era guadagnata dal parentado, il titolo onorifico di: "Signora Scansafatiche".
Un bel giorno i genitori delle due sorelle, che avevano una casa vicina a quelle delle figlie, così parlarono alle proprie creature: «Figliole noi partiamo per festeggiare il nostro anniversario di nozze, e abbiamo come meta Veracruz. Cosa volete portato in dono?» Miranda con l'indice fra le labbra, sembrava incerta, ma dopo qualche secondo esclamò: «Ho trovato! Portatemi possibilmente da un negozio di artigianato, una scopa di saggina, così posso pulire meglio la cucinina!» E nel dir ciò, le brillarono gli occhi.
«E tu?» Chiesero i genitori ad Esterlita e la figlia così si espresse: «Io, cari genitori, vorrei una conchiglia per appoggiarla all'orecchio e sentire il mare, ma sopratutto vorrei un quadretto che riproduca una bimba perché io la ammiri, la accarezzi con lo sguardo e plachi in certo qual modo, il dolore di non aver avuto figli.»
«Sarete accontentate, ragazze.» Risposero mamma e papà.
E così avvenne, al loro ritorno le figliole ebbero i doni desiderati. Esterlita guardò con un oh, di meraviglia, la bimba riprodotta: ella era una piccola ballerina, di circa cinque anni, i lineamenti delicati e bellissimi mettevano in risalto due occhi di un puro azzurro; i capelli color dell'oro antico erano raccolti in un chignon. Il corpicino della bimba aveva bel tutù e gambe proprio da ballerina. La ballerina danzava su una pista da ballo all'aperto, sotto la volta stellata. Dalla ringhiera era possibile ammirare la bella spiaggia di Veracruz e, sopratutto, il mare punteggiato di luci provenienti dal lungomare e dalle navi. Esterlita amava il mare, anche se questo non era molto distante dalla propria abitazione, ma sopratutto, cominciò ad amare quella figurina delicata che danzava sotto le stelle.
Un bel mattino Esterlita si disse: "voglio riprodurre, la mia bambina".
E, presa la pasta modellante, la depose sul tavolo e con il matterello, cominciò a stirarla; dopo un'ora di lavoro, venne fuori una creaturina bellissima che somigliava molto alla bimba del quadro: aveva un faccino da angelo e un bellissimo tutù; nel vederla nascere dalle proprie mani, Esterlita ebbe un moto di gioia indicibile; per la grazia che quell'esserino dimostrava e per quegli occhi che avrebbero brillato come gemme, non appena fosse stato dato il colore, Esterlita volle chiamare la sua creatura Grace Joux-Joux. La demiurga stava per porre quindi, la propria statuina che, incarnava benissimo il suo materno desiderio, nel forno affinché l'argilla asciugasse, quando scese saltando i gradini a due a due, la invidiosa Miranda, la quale rivolta alla sorella: «Eh no, cara sorella, il forno serve a me che ho preparato una torta: bisogna pur vivere a questo mondo! E se non si mangia, si dimagrisce e si muore! E poi questo è un dolce e i dolci piacciono anche a te.»
Timidamente, Esterlita rispose: «Hai ben ragione sorellina, i dolci mi piacciono molto, ma la mia creatura, vale molto di più di una torta!»
Le due donne litigarono, si accapigliarono, se le diedero di santa ragione... Alla fine, prevalse Miranda che prese l'innocente Grace Joux-Joux e la chiuse fuori in veranda. Esterlita andò a piangere nella sua stanza: «Povera bimba» diceva singhiozzando, menomale che non sei vera, altrimenti, avrei sofferto ancora di più.
Ma ci pensò il Signore dei Cieli, a dare un'anima a quell'esserino; il sole benefico, intanto, asciugava bene l'argilla e la brocca Celestina, che serviva a raccogliere l'acqua piovana, lasciò cadere alcune gocce di liquido negli occhi della bimba che divennero azzurri. Una volta asciutta, ma leggermente impaurita, Grace Joux-Joux scese i gradini della veranda girò tutto il giardino, poi trovò uno slargo attorniato da papiri, e là cominciò a danzare; nel mentre che danzava, diventava sempre più sicura di sé. Il sole guardava Grace, ammirato...
Poi vennero a guardare anche i coniglietti, i gattini, la pecorella Maghy; tutti si complimentavano con la piccola ballerina, ma quando le chiedevano come si chiamasse, ella rispondeva timidamente; «So di chiamarmi Grace Joux-Joux perché me lo ha detto il sole, il quale mi ha raccontato una storia, riguardante me.» «Quale storia? Dicci.» Chiesero in coro i coniglietti, i gattini e Maghy la pecorella, nonché le coccinelle sulle foglie di lattuga, nonché la tartaruga Suellen, arrivata per ultima.
«Dunque,» racconta Grace «dovete sapere che all'interno della casa, la mia mamma, sta piangendo perché non sa più nulla di me ed io non posso entrare perché la porta è chiusa a chiave... È stata la mia cattiva zia Miranda a buttarmi fuori...» «Oh, fecero tutti gli astanti. Non demordere, vedrai che troverai la tua mamma.» Verso le ore quindici del pomeriggio, tutti gli animaletti non c'erano più, perché erano andati a fare il riposino. Grace si sentì sola e verso le sedici, con il suo abitino da ballerina, cominciò ad accusare brividi di freddo... Infine verso le diciotto, pensò di scendere nella cantina, chissà che non ci fosse della paglia per riscaldarsi e riposare! L'intuito non la tradì: ella scese e trovò la paglia, proprio sotto un vecchio tavolo. Si adagiò sul giaciglio e pensò che aveva anche un po' di languore, allora, si rialzò e andò a sbirciare sugli scaffali con i barattoli delle conserve, e trovò le albicocche sotto spirito: ne assaggiò una, ma subito dopo la sputò e cominciò a tossire e a fare bla-bla-bla: «Che schifo, questa roba bucia!» Sentì improvvisamente un vocione ed una risata: «Certo che brucia, bambina ci sono io, lo Spirito!» Grace infastidita, esclama: «Non voglio robe con i fantasmi! Vorrei un po' di latte, ma visto che non ne vedo, prenderò questa che mi sembra marmellata di arance.» Questa volta, Grace aveva visto giusto e, rifocillato il pancino, andò sul suo giaciglio. Ora dormiva la bimba, mentre dalle inferriate dello scantinato entrava un po' di vento caldo, che accarezzava dolcemente i bei capelli della dormiente. Quando Grace si svegliò il vento caldo c'era ancora: la bimba gli chiese: «Chi sei tu che culli le mie chiome?» E quello: «Sono lo zio Scirocco e ti ho portato, direttamente dall'Africa, la cipria rossa del deserto; con la quale ho spolverizzato anche quel bacile, molto vicino alla finestra: è una polvere magica ed ogni volta che ne metterai un po' sulle guance, se per caso ti troverai nei guai, questi svaniranno.» «Oh, grazie zio Sciroppo, penso che ne avrò bisogno.» «Oh cara la mia bimba, qui tra sciroppi e conserve, ti sei confusa, comunque, ti basti sapere che sono un vento e vengo dal Sud.»
I giorni passarono, si susseguivano, senza alcuna piacevole novità: Grace Joux-Joux, diventava sempre più malinconica, la sua carnagione diafana, e gli occhi, come perduti, lasciavano trasparire un grande dolore. Ma ciò nonostante, la bimba, che non era più d'argilla, come, avrete intuito, decise di fare una danza in quel piccolo slargo del giardino che ella soleva chiamare "la mia pista". Nel mentre che danzava, la piccola Grace, cantava. Vi riportiamo il suo canto:
«Sono adesso una bimba in carne ed ossa, mamma,
ma tu non mi vedi, ma tu non mi senti,
ma tu non lo sai...
Nella tua stanza, senza alcun conforto,
starai piangendo.
Non posso arrivare a Te, alle verdi persiane;
se oso farlo,
io divento invisibile,
la voce non esce,
la voce resta in gola...
Per un crudel incantamento,
forse di zia Miranda.
Poi, quando mi allontano,
l'immagine mia ritorna chiara,
il nodo in gola si dipana...
È triste non vederci,
non abbracciarci, mamma...
Sono qui:
io danzo nello slargo,
fatto di sabbia d'oro,
tra papiri fluenti...
Lo sguardo volge sempre alle tue mura
e agli zampilli freschi
di una fontana
che mi è qui vicina.
Oh com'è triste madre,
non lungi esser dall'acqua
e non potere bere!
E non potere dire: mamma ti voglio bene.»
Erano le undici di sera ed Esterlita nel suo letto antico, non riusciva a dormire, malgrado il materasso fosse morbido, soffice il guanciale, calda la coperta. Accanto a lei dormiva il marito, stanco delle fatiche diurne: il pover'uomo aveva falciato l'erba, aveva tagliato la legna per il camino, aveva raccolto i frutti dell'orto, aveva distribuito carezze a tutti gli animaletti, ma non era questo certo un lavoro, poiché le carezze sono espressione d'amore e appagano chi le dona e chi le riceve. (Cogliamo l'occasione per dire che i coniugi erano vegetariani).
Esterlita, nonostante fosse circondata da graziose bestiole, soffriva molto, per la mancanza della sua creatura che pensava fosse ancora di argilla.
Qualche volta, però, i miracoli su questo nostro pianeta, avvengono. Grace ricordò di avere ancora la polvere magica che lo zio Scirocco le aveva regalato: in un tentativo estremo di cacciar tutti i malanni, ossia tutti i sortilegi, di far svanire tutti i problemi, mise un po' della polvere sulle sue guance e cosparse di quella anche, il suo petto. Improvvisamente, Esterlita poté udire nel colmo della notte una vocina dolcissima, simile ad un miagolio dapprima, poi sempre più vicina alla voce di una bimba la quale col suo chinon legato da un nastrino con i fiori d'arancio, con il suo stupendo tutù color glicine, ma sopratutto con il suo meraviglioso sorriso, aveva chiamato la mamma per ben tre volte, volando fin sul davanzale della camera per una magia... E la mamma si era levata, si era alzata, come ci si alza all'alba di una giornata estiva, ma c'erano ancora le stelle era ancora notte, una notte splendida. Esterlita aprì la finestra: la bimba le sorrideva e le tendeva le braccine dicendo: «Grace Joux-Joux, mammina...» «Lo so, lo so bambina» rispondeva Esterlita, cogliendo tra le sue braccia, quella creatura! Mai una felicità più intensa, colse il cuore di quella madre.
E non fu un sogno. Il mattino seguente, la cattiva Miranda, che stava sempre a spiare non riusciva a capire le risatine gioiose che provenivano dalla camera della sorella, ne quella voce d'uomo, che anch'egli felice diceva: «Un bacio alla mamma e un bacio a papà, così siam felici per l'eternità!»
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