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L'INSETTO
Stava lottando contro le larve.
Un insetto aveva proliferato dentro l’armadietto in cui teneva gli alimenti per la co-lazione e così, non senza riluttanza, si stava dando da fare ad aprire barattoli e sac-chetti nella speranza di trovare il nido. Con la faccia contratta in una smorfia, osser-vava i minuscoli vermetti bianchi strisciare lungo le lisce pareti di legno alla ricerca vana di una via di fuga. Non potevano essere sbucati dal nulla, eppure non riusciva ad individuare la fonte del loro sostentamento. Biscotti, caffè e zucchero parevano in buono stato, ed anche il miele non era stato intaccato.
Poi la sua attenzione cadde su una confezione di barrette di crusca abbandonate lì da chissà quanto tempo. Le tolse dall’involucro e notò che la plastica che le contene-va, in alcuni punti, era come lacerata, corrosa. Non riuscendo a spiegarsene il motivo, scosse la testa e cominciò ad esaminarle una ad una. All’apparenza sembravano intatte, ma quando spezzettò la prima si accorse che conteneva un inaspettato ripieno.
Una manciata di vermetti bianchi comparve sul tavolo tra le briciole e prese ad e-spandersi a vista d’occhio. Le larve si districavano le une dalle altre e si davano alla fuga in ordine sparso, come se fossero consce del pericolo incombente su di loro. Per un istante rimase ad osservarle, affascinato dal loro istinto di sopravvivenza, poi corse in ripostiglio e fece ritorno con una spugna ed il flacone dell’alcol etilico.
Dopo aver riempito d’acqua il lavello, cominciò a raccogliere gli insetti con fare meticoloso. Passò la spugna sul tavolo, sui ripiani e lungo le pareti dell’armadietto. Quando la sua mano incombeva su di loro, i vermetti si raggomitolavano su sé stessi in un estremo tentativo di difesa. Era stupefacente guardarli. Per quanto fossero piccoli?" degli esseri che racchiudevano forse una manciata di cellule?" sembravano perfettamente consapevoli della morte e facevano di tutto per sfuggirla.
Affogò l’intera nidiata nel lavello, poi tornò ad esaminare i barattoli e i sacchetti che contenevano gli alimenti. La battaglia sembrava vinta, ma quando alzò gli occhi al soffitto vide alcuni superstiti che strisciavano rapidi lungo il muro. Prese una sedia, ci salì sopra e li catturò con un ampio colpo di spugna. Poi si guardò attorno, con la sua arma stretta in pugno, esaminando la sommità della vetrina alla ricerca di altri fuggiaschi. Senza dubbio erano avversari ostinati, ma contro di lui non avevano scampo. Li avrebbe sterminati tutti, anche a costo di rivoltare la cucina.
Quando suonò il telefono, stava disinfettando i barattoli. L’esame approfondito de-gli alimenti non aveva rivelato altri intrusi indesiderati. Le larve sembravano essersi insediate solo dentro le barrette di crusca, che evidentemente rappresentavano l’ambiente a loro più congeniale.
Si asciugò rapidamente le mani ed afferrò la cornetta.
La voce di Nora risuonò dall’altro capo del filo, venata da una nota di strisciante agitazione.
“Devi venire subito qui,” gli disse. “E non dirmi che hai da fare, perché ho assoluto bisogno del tuo aiuto. Subito. Non accetto scuse.”
Si chiese se anche la casa di Nora fosse stata invasa dalle larve. Forse il suo non era un caso isolato. Forse l’intera città era stata infestata. Si immaginò di uscire e di trovare le strade ricoperte da miliardi di minuscoli vermi, in uno scenario da film catastrofico di serie Z, poi tornò a concentrarsi sulla sua interlocutrice.
“Che succede?” le chiese.
“Ho un problema. Devi venire subito, te l’ho detto.”
“Che genere di problema?”
“È meglio se vieni qui e lo vedi di persona.”
“Senti, se ha a che fare con gli insetti, io non…”
Dall’altro capo del filo provenne un gemito, subito seguito da una sequela di frasi tese, concitate.
“Ti prego, vieni subito qui,” gli disse alla fine Nora, quasi ansimando.
“E va bene,” sospirò. “Sarò lì il prima possibile…”
Quando varcò la soglia dell’appartamento, il corpo di Nora giaceva esanime sul pavimento. Gli occhi erano fuori dalle orbite, le mandibole contratte, la bocca spalancata e circondata da rivoli di saliva ormai secca. Era morta soffocata. Il suo volto pallido ed immobile esprimeva ancora lo sforzo di respirare, la ricerca spasmodica di un soffio d’aria.
Si guardò attorno senza riuscire a muoversi.
Un gigantesco insetto si aggirava sul pavimento, accanto al cadavere. Era privo di zampe, lungo e liscio come un’enorme sanguisuga, e si muoveva strisciando piano, lasciandosi dietro una scia di liquido rossastro.
Lo seguì con gli occhi, incerto sul da farsi. Avrebbe voluto ammazzarlo subito, af-ferrare un coltello e farlo a pezzi, ma qualcosa gli impediva di scuotersi.
L’insetto procedette lento verso la cucina, si arrampicò sulla vetrina e si infilò nel contenitore in cui Nora teneva il pane. Poi si raggomitolò su se stesso e restò immobile tra le sue larve.
Dopo essere tornato a casa, cominciò ad aggirarsi per le stanze con fare guardingo. L’istinto gli diceva di cercare, di ispezionare ogni angolo della sua dimora per scovare l’immonda creatura che la infestava. Era un impulso irrazionale, certo, eppure lo sentiva accompagnarsi, nella sua mente, alla consapevolezza che alcune larve erano sopravvissute allo sterminio e si stavano rapidamente moltiplicando. Doveva trovarle ed annientarle, se non voleva fare la fine di Nora.
Perlustrò la cucina, il corridoio, il bagno e le camere da letto senza rilevare alcuna traccia dei minuscoli insetti. Poi, quando entrò nel soggiorno, sentì che la tensione nel suo corpo cominciava ad allentarsi.
Si sedette sul divano, chiuse gli occhi e si abbandonò ad un lungo sospiro. Si era lasciato prendere dalla paura. La scena a cui aveva assistito nell’appartamento di Nora lo aveva impressionato a tal punto da incutergli un timore infondato. Le larve con le quali aveva lottato poco prima erano tutte morte, le aveva sterminate dalla prima all’ultima.
Mentre quella nuova consapevolezza si faceva strada dentro di lui, riaprì gli occhi e guardò il soggiorno immerso nella luce opaca del giorno. Scrutò la superficie del divano, del tappeto e del tavolino alla ricerca di altri eventuali intrusi, poi si alzò e si accostò alla grande libreria. Osservò i volumi disposti ordinatamente sugli scaffali e per un attimo pensò di prendere l’enciclopedia per scoprire a quale specie appartenevano quelle larve. Allungò un braccio, ma quasi subito desistette e lo lasciò ricadere lungo il fianco. Non doveva farsene una fissazione, altrimenti avrebbe finito per vedere gli insetti anche dove non c’erano.
Si era ormai tranquillizzato, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Alzò gli occhi e per un attimo non riuscì più a muoversi. Il respiro gli si fermò nei polmoni e dalla gola gli uscì un rantolo strozzato.
Sopra alla porta del soggiorno c’erano alcuni vermetti bianchi che si muovevano rapidi sulla parete, strisciando verso la libreria come se fossero perfettamente consci della loro meta. Rimase a guardarli esterrefatto, finchè un grumo di saliva gli riempì la bocca. Deglutendo, si rese conto di non sapere cosa fare. L’istinto gli diceva di levarsi uno dei sandali che aveva ai piedi e spiaccicarli contro il muro, ma la ragione gli suggeriva di seguirli per scoprire dove andavano a nascondersi.
Dopo un attimo di penosa esitazione, decise di osservare i loro movimenti. Fece qualche passo e vide le larve strisciare lungo la parete e poi scomparire alle spalle della grande libreria. Subito si accostò alla parete e spiò nell’intercapedine che la separava dal pesante mobile. Era una fessura di pochi millimetri, troppo angusta per poter ospitare una creatura delle dimensioni di quella che aveva visto nell’appartamento di Nora, ma nel punto in cui il muro formava un angolo retto si apriva un vano in cui il gigantesco insetto avrebbe potuto trovare rifugio. Quando si allungò per guardare meglio, notò che sul pavimento c’erano delle tracce di liquido rossastro che formavano una lunga strisciolina.
Senza esitare, si mosse verso gli scaffali e vide che sulla superficie di una mensola c’erano dei vermetti bianchi che prima non aveva notato. Erano avvinghiati tra loro e formavano una specie di palla che pulsava accanto alla copia di un romanzo. Li ignorò e si accostò al basso armadietto che fiancheggiava la libreria, poi si chinò e tirò con cautela il pomello che apriva l’anta.
Sul ripiano di legno liscio comparve un piatto da portata colmo di dolci, specialità che qualcuno gli aveva inviato per Natale e che erano rimaste rinchiuse al buio per più di sei mesi. La superficie liscia delle scatole, in alcuni punti, era stata intaccata dalle larve che si accalcavano le une sulle altre in una brulicante distesa. Allungando lentamente un braccio, afferrò una confezione di Panforte e la scrollò, poi la tirò verso di sé e si mise ad esaminarla. Il cartone, a tratti, era stato come disciolto, e la stessa sorte era toccata alla sottile pellicola di nailon che avvolgeva il dolce. La carta e la plastica erano talmente corrose che sembrava che qualcuno ci avesse versato sopra gli spruzzi di un potente acido.
Quando ebbe il coraggio di tornare a guardare nell’armadietto, lo vide. Il gigante-sco insetto era immobile, raggomitolato sopra alla massa brulicante delle larve. Il suo corpo era liscio e pulsante, cosparso da un liquido denso e rossastro che colava sui vermetti e sulla superficie del piatto da portata.
Suo malgrado non riuscì a muoversi. Osservò la creatura spostarsi impercettibil-mente sul vassoio ed ebbe l’impulso di gridare. L’insetto ruotò lentamente su sé stesso e si voltò verso di lui. Era privo di occhi, ma nell’istante in cui lo osservò girarsi capì che poteva vederlo, che lo stava fissando.
Ricambiò il suo sguardo con fare inebetito, poi si scosse e cercò inutilmente di sol-levarsi. Tentò più volte di muovere le gambe, finchè si rese conto che erano come paralizzate. Non sapendo che altro fare, si lasciò cadere sulla schiena e rimase fermo sul pavimento, con gli occhi fissi sul soffitto ed il respiro che gli rimbombava nello sterno.
Poi lo sentì. Strinse i denti fino a farseli dolere e percepì il peso dell’insetto che strisciava lento sul suo corpo. Lo vide avanzare fino al suo petto, poi dovette desistere e distolse lo sguardo. In un estremo di difesa, chiuse gli occhi e restò immobile in attesa della morte.
Il suo cadavere fu trovato qualche giorno dopo, disteso sul pavimento del soggior-no. Aveva gli occhi sbarrati, le mandibole contratte in una smorfia inerte e la bocca spalancata nel vano tentativo di respirare.
Il portinaio, che era entrato nell’appartamento per vedere cosa fosse successo, si fermò ad osservarlo, poi alzò lo sguardo e notò che da una delle finestre penetrava un sottile fascio di luce dorata.
Quando si voltò, trasalì e non potè più muoversi.
L’insetto era lì, davanti a lui, e stava immobile tra le sue larve.
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0 recensioni:
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- Bel racconto, complimenti. L'idea dei vermi è azzeccata, del resto, quei piccoli animali innoqui ci richiamo alla mente l'idea della morte, inoltre il loro comportamento è detato dall'istinto e sanno fare solo due cose: mangiare e fuggire. Anzi tre: lasciare escrementi.
Però c'è un però... secondo me avresti dovuto ampliare lo stato di chock del protagonista quando trova l'amica morta e il vermone gigante, creare più suspence psicologica. Comunque è un ottimo racconto.
- Bellissimo!!!! Ti prende davvero!! Bravo!!!
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