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La guerra fredda
Giovanna era stata la prima inquilina degli alloggi protetti in quella palazzina gialla con le imposte di legno scuro, per questo era stata lei a tagliare il nastro all’inaugurazione della “Residenza Girasole”, sotto lo sguardo soddisfatto del Sindaco e delle Autorità locali.
Pietro era arrivato qualche settimana dopo, annunciato dai mobilieri rumorosi che arredavano il suo appartamento al piano di sotto. E quell’arrivo tardivo lo aveva irritato non poco: lui che un decennio addietro aveva servito la comunità come consigliere comunale prima e come Assessore poi, non meritava certo un trattamento simile.
No, quella non gliela dovevano proprio fare.
Non a lui che alle sedute del Consiglio aveva firmato decine di interpellanze e interrogazioni sulle politiche sociali a favore degli anziani.
Perché, se quel che è giusto è giusto, a lui spettava il ruolo di primo inquilino e inauguratore ufficiale, non a quella Giovanna, ex-consigliera dell’opposizione, tanto brava a esprimere voto contrario quando le proposte di Pietro arrivavano sul tavolo del Sindaco.
Pietro gliel’aveva detto in faccia a quell’usurpatrice di gloria che non si faceva così. Senza peli sulla lingua, perché senza le sue battaglie Giovanna se lo sarebbe sognato l’appartamento alla “Residenza Girasole” dove tutto era talmente nuovo da sembrare finto.
E la “Guerra Fredda” interrotta anni prima era ripresa con nuove modalità.
Giovanna aveva appeso i portavasi in ferro battuto all’esterno del balcone e i gerani parigini crescevano rigogliosi dentro le vaschette in coccio. E a chi le chiedeva come mai i suoi fiori fossero i più belli di tutto il circondario rispondeva “bisogna evitare il ristagno d’acqua”. Non specificava, però, che dei sottovasi non c’era neanche l’ombra e l’acqua cadeva a fiotti sul balcone di Pietro, innaffiando la biancheria appesa allo stendino.
Lui saliva infuriato al piano di sopra ma, siccome non si parlavano, non suonava il campanello per cantargliene quattro; appiccicava alla porta un foglio che inneggiava alla maleducazione di Giovanna e si preparava a sferrare l’attacco.
Lui era nottambulo, lei andava a dormire con le galline. Quando le imposte di legno scuro dell’appartamento di Giovanna si chiudevano lui alzava al massimo il volume della televisione e lei sobbalzava nel letto, pensando che le annaffiature del giorno dopo sarebbero state ancora più copiose.
Ma gli altri inquilini cominciavano ad averne le tasche piene di quella “Guerra Fredda”. Si rivolsero all’Amministratore che costrinse Pietro e Giovanna a chiarire le loro posizioni davanti al Giudice di Pace. Nemmeno lì i due si rivolsero la parola. Nemmeno lì riuscirono a scambiarsi una stretta di mano come il Giudice aveva auspicato, dopo aver spiegato loro che, così come l’appartamento era stato dato, poteva anche essere tolto.
Lo scambio di gentilezze durò ancora qualche mese poi Giovanna cominciò con le stramberie.
Un giorno la “Residenza Girasole” venne invasa da un forte odore di gas. I Vigili del Fuoco, arrivati sul posto, accertarono che il gas arrivava dall’appartamento di Giovanna, sfondarono la porta e trovarono due pomoli del fornello aperti. Lei si arrabbiò moltissimo: chi le avrebbe ripagato la porta?
Lo disse anche alla riunione condominiale, dove seguitò a chiamare l’Amministratore “Dottore” e a sostenere che lei di fiori sul balcone non ne aveva mai avuti.
Pietro cominciava a preoccuparsi: voleva combatterla ancora la “Guerra Fredda”, non c’era gusto a vincerla così, a tavolino. Ma quel giorno di novembre quando la vide uscire di casa con i sandali e un abito di lino capì che Giovanna la sua guerra l’avrebbe combattuta con un avversario subdolo e strisciante e, per la prima volta nella sua vita, pianse.
Giovanna lasciò quella che per lei, ormai, era la “Residenza Tornasole” per passare da un appartamento protetto a una residenza “blindata”: una casa di riposo per i malati di Alzheimer.
Là trascorreva le sue giornate con lo sguardo perso nel vuoto e la memoria che si accendeva e spegneva come le intermittenze dell’albero di Natale.
E Pietro era lì, al suo fianco: ora riusciva a parlarle, ad accarezzarle la mano, a conoscere ogni piega delle sue dita, ogni ruga del suo palmo.
Ora che la malattia le aveva rubato l’anima, ora che la “Guerra Fredda” era finalmente finita.
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0 recensioni:
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- Grazie, bella la storia dell'elastico! Chissà...
La malatttia ha catalizzato tutte le emozioni positive che non sembravano esistere e che sono uscite allo scoperto con la sofferenza.
L'animo umano è capace di grandi cose!
- Carino questo corto! Lo tirerei come un elastico per farne un film. La storia si presta, c'è una evoluzione non da poco dei sentimenti! Mi ha fatto venire in mente le protagoniste di "Pranzo di ferragosto", un film dove succede molto di meno!
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