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Il giardino incantato e la fata dell’Uva
Questa favola è dedicata a tutte le persone che muiono pur vivendo, che
nell’apatia nell’assenza di emozioni, hanno creduto di trovare la
panacea di una vita felice, senza rendersi conto d’aver solo anticipato
la morte.
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“Nel giardino incantato non ti addentrare
solo la morte lì puoi trovare,
in quel dipinto il viver è finto,
scegli di andare e nella vita inizia a seminare,
è nel mondo che muta la vita.”
C’è un giardino incantato in cui non dovrai mai accedere! Hai compreso creatura?
Disse l’antica quercia alla Fata dell’Uva.
Quercia ma in questo luogo ci sono alberi di olive, alberi di mele e pere, alberi di pesche, querce, frassini, ma non ho visto neppure una vite…ed io ricordatelo sono la fata dell’uva, come posso dare realizzo al mio essere, senza una vite e i suoi frutti?
Fata dell’uva il giardino è tanto grande sei sicura di aver cercato in ogni luogo?
Ma per cercare in ogni luogo consumerei tutto il mio tempo, ed io non possiedo tempo infinito.
Disse la fata con occhi lacrimevoli.
Secondo te, se ci do una sbirciatina? Non voglio davvero entrarci, solo per escludere il giardino incantato?
NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!
Urlò la quercia.
Di tutti i luoghi calpesta terra, ma di quel giardino non far neppur favella.
La Fata dell’Uva aveva compreso. Il giardino incantato era proprio li dinnanzi ai suoi occhi, un grande portone in legno antico ne racchiudeva il segreto. La fata vi passò vicino sfiorando la porta con un dito e la porta disse:
Fata dell’Uva gradisci entrare?
La fata fece un salto indietro, impaurita.
Cosa ti succede?
Disse la porta.
Hai paura? Ti ho sentito sai? Poco fa mentre parlavi con la vecchia quercia.
Improvvisamente la terra sotto i piedi della fata prese a sussurrare.
Non dargli ascolto e chiedigli prima chi era?
La fata ascoltò il suggerimento della terra, forte anche dell’ammonimento della quercia.
Porta antica, mi chiedo e ti chiedo, ma prima d’esser porta tu cosa eri?
La porta che sino a quell’istante aveva avuto un tono di voce gentile e pacato, prese a parlare come irrigidita:
Perché lo chiedi impertinente creatura?
E la fata dell’uva disse, insospettita:
E tu perché non rispondi?
Poi come se la porta avesse immediatamente riacquistato il controllo disse:
Cara creatura la mia natura era altra ma in tempi remoti.
Appunto cosa eri?
Insistette la fata.
La tua graziosa testolina, non ti suggerisce niente fata dell’uva? Se oggi sono un portone di legno, cosa potrei essere stato?
Eri un albero!
Disse la fata dell’uva.
Brava e perspicace! Ed ero anche un albero importante!
Che albero eri?
Disse la fata.
Io ero una Quercia.
Rispose il portone con orgoglio e una malcelata tristezza.
E la terra sotto ai piedi della fata continuò a suggerirle:
Cara chiedigli come si fa a mutare la propria natura senza morire?
Come hai fatto a cambiare la tua natura da albero a portone.
Disse la fata dietro il suggerimento della terra. Il portone non seppe nascondere la sua irritazione e con voce ispida rispose:
La natura cambia per scelta mia cara, io scelsi di vedere il giardino incantato e da allora ne divenni specchio!
Non capisco!
Disse la fata, e spostando lo sguardo dal portone alle mura che giravano tutte intorno al giardino, disse:
E voi mura che sostenete tale portone, voi che fate da confine tra il vivere comune e il giardino incantato, cosa eravate prima?
Fata dell’uva noi eravamo montagne, e nel cercar rimedio al tormento del vento, scegliemmo di non sentire più lo sgomento, e nell’ incantato giardino fermammo il momento.
Montagna perché sei mutata in muraglia, non era più bello essere montagna che ha per manto il prato e per cappello il cielo? Cosa conta la tempesta se poi ti asciuga il sole, cosa conta l’inverno, se poi ti rapisce la primavera con i suoi profumi e i suoi colori, cosa conta la morte se nella vita ti sarai avvolta ogni volta.
E tu portone non saresti stato più felice ad essere albero nel dar rifugio agli uccelli con la tua chioma, a far da ombra ai passanti, ad essere specchio delle stagioni. Cosa importa se un giorno sarai spoglio quando in un soffio sarai di nuovo adorno? Vivere e morire, morire e vivere, l’alternanza è della vita la sola danza.
Ma cara parli proprio tu, che di alternanza hai cucito la tua esistenza, quante volte ti ho scoperta a camminar nuda nel ripudiar quel vivere, vedi di questa alternanza noi eravamo stanchi, cercavamo la pace, quella che mai ci abbandona, anelavamo all’orizzonte immutato, a cieli sempre tersi, dove i fiori non appassiscono, dove il vento non soffia, dove il dolore non ha voce.
Ma portone tu mi hai appena descritto la morte? Quel tipo di pace esiste solo in assenza di vita, non è mille volte meglio vivere l’alternanza, fatta di pioggia e sole, fatta di notte e giorno? Voi siete morti, anche se vivi.
Fata dell’Uva…la vita è dolore, è perdere le persone care, la vita è vincere per essere di nuovo sconfitti, è raggiungersi per poi riperdersi, immagina un dipinto perfetto dal cielo limpido e terso, immagina un lago dalle acque cristalline, immagina frutti rigogliosi e sempre maturi, è questo il giardino incantato, non conoscerai più il dolore, la sconfitta, la paura, il giardino incantato sarà la tua pace, quel silenzio bacerà il tuo silenzio, varca la mia soglia e diventa anche tu specchio di questo esistere.
Portone ma un dipinto è solo una copia senza anima della vita, non puoi imprimere su una tela il fruscio del vento che incrina le acque del lago, il profumo intenso delle pratoline appena schiuse, la danza delle nuvole nel cielo.
Fata dell’Uva, in quel dipinto non troverai neppure le guerre che straziano corpi, l’ipocrisia che fa girare il mondo, l’insensatezza umana, la malattia e la morte e pensi sia poco?
Disse il portone.
E’vero quel che dici, ma non è meglio aspettare la morte vivendo la vita? Anziché scegliere di morire continuando a vivere? Tanto la morte quella che un giorno porterà via me, prenderà anche te, con una differenza io avrò vissuto, tu sarai già morto da tempo.
La fata dell’uva si allontanò da quel portone tornando alla vecchia quercia:
Cara quercia quel che non trova nella vita cercherà nel giardino incantato, mutando la sua natura, da vita in morte.
Lo hai capito cara, tu sei la fata dell’uva e se in questo giardino non trovi la tua vite, forse è perché di quei semi sei tu il messo, cerca nel tuo cuore e semina, a te è stato dato un ruolo.
E la terra sotto i piedi della fata disse:
Cara vieni con me, ti accompagnerò a seminare.
La fata dell’uva prese a seguire la terra spargendo i suoi semi, e ovunque passava delle bellissime e rigogliose viti sorgevano, e quando la fata ebbe finito di spargere semi si girò per guardare il suo seminato, e vide l’intero giardino vendemmiare con i frutti nati dalla sua semina.
La fata dell’uva quel giorno pianse di gioia vera, e tornò al giardino incantato, dove il portone la riconobbe subito.
Fata dell’uva gradisci entrare?
Feci bene quel lontano giorno a non accettare il tuo invito, la vita ha nell’alternanza la sua sola danza e i frutti raccolti ne sono la prova.
Nel giardino incantato non ti addentrare
solo la morte lì puoi trovare,
in quel dipinto il viver è finto,
scegli di andare e nella vita inizia a seminare,
è nel mondo che muta la vita.
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- Vedi l'emozione nata dalle tue parole che strano effetto che mi ha fatto, perdonami UGO ti ho chiamato Giovanni, devi aver davvero toccato corde profonde. Spero perdonerai... la mia defiance.
- Sei gentilissimo Giovanni, sono lusingata dal tuo interesse...
- Fantasia, etica, interesse, tre cose che fanno leggere un brano fino alla fine.
- complimenti in questo racconto c'è una bella fantasia ed è legata a una morale interessante. Mi piace
- Grazie Lavinia
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