Il quartiere d’allora era povero ma infelice e, come si sa, è d’obbligo che miseria e ignoranza si diano il braccetto. Oggi, certo, non è più così: intelligenza e cultura impreziosiscono Palermo per tutte le sue classi.
Gnurantino lo chiamavamo, perché era l’unico fra noi che andava a scuola e quindi ignorante era, ma meno degli altri. A casa la mattina lo svegliavano e lui faceva: “O mammà, lassam’a lettu”; mammà allora lo chiappava per la recchia, gli assestava cauci e pizziconi e non passava il tempo di rossore e lividore che quello già stava nel banco.
Quando Gnurantino s’accasò, la moglie, morendo nel frattempo, gli dette tre gemelle belle come il sole. Quand’ebbero l’età del marito vollero una il principe del Noto, la mezzana il marchese del Demone e la terza il re di Mazara. Gnurantino non vedeva che per i loro occhi e, tanto fece e sfece, che glieli diede.
Così restò solo, visto che le belle come il sole se n’andarono lontane.
Se passava per le vie la gente, tanto per sfruculiare, gli chiedeva: “Che dice la principessa di Noto? Sta bene signora la marchesa? La reginella figliò? ” dato che lo sapevano che quando le andava a trovare quelle scappavano per cacce e festine e lui restava come un cane a muffire in una stanzetta sotto tetto.
Venne tempo di restituire a Dio il suo.
Gnurantino prese le robbe e se ne tornò alla casa, nel suo quartiere, dove pure se lo buffoniavano gli restavano le cose più belle. Sistemò il vecchio lettino di fanciullo, socchiuse le imposte, tolse gli occhiali dal naso e, sereno come aveva cominciato, si mise a morire.
Anch’io, che mi ero stato accanto per vedere come finiva, lo salutai per l’ultima e volsi per andarmene.
Ma prima di chiudere la porta, con una voce a filo che pareva di lunario, lo sentii che diceva:
”O mammà, lassam’a lettu”.