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Il passato ritorna
Dodici anni prima
Era un tiepido pomeriggio di fine estate. Il sole s'apprestava a nascondersi dietro i tetti spioventi delle case mentre l'afa irrespirabile, che durante il giorno aveva soffocato l'intera città, allentava la sua morsa, lasciando filtrare qualche lieve folata di aria più fresca attraverso la sua cappa opprimente.
Mancavano pochi minuti alle sette di sera e la cena non sarebbe stata pronta prima di un ora.
Alba spense la televisione, dove fino a poco prima aveva assistito ad una puntata dei suoi cartoni preferiti, e raggiunse la mamma in cucina.
Stava mondando le foglie dell'insalata che avrebbero consumato per cena assieme ad una fettina di carne.
“Mamma, posso scendere giù in cortile a giocare a palla assieme a Martina? ”, le domandò rivolgendole uno sguardo furbetto, infilandosi ai piedi le sue scarpe da ginnastica, certa che lei non le avrebbe negato il permesso di raggiungere la sua amichetta.
“Va bene, ma non fare più tardi delle otto... e mi raccomando, cerca di non sudare troppo, altrimenti rischi d'ammalarti”, si raccomandò come tutte le volte in cui scendeva giù nel cortile del palazzo per trascorrere un oretta di gioco assieme a Martina, la bambina che abitava nell'appartamento accanto al loro e che frequentava la sua stessa classe di seconda media.
“Non preoccuparti, mamma. Non tarderò nemmeno un secondo e ti prometto che non prenderò freddo”, la rassicurò anche se fuori c'erano più di ventisette gradi e si sudava anche solo stando fermi, mentre si chiudeva la porta dell'appartamento alle spalle e correva giù per le scale dell'androne andando incontro a Martina.
“Allora, Alba, ti decidi o no a passarmi quella palla? ”. Alba sbirciò l'orologio che indossava al polso destro, rendendosi conto che mancavano meno di cinque minuti all'ora che aveva concordato con la madre per il rientro.
“Va bene, però facciamo solo un altro paio di tiri. Tra poco devo salire a casa”, rispose a Martina, lanciando la palla nella sua direzione.
Martina la mancò e la palla rotolò fuori dal cortile dirigendosi nel mezzo della strada.
“L'hai lanciata troppo lontana ed ora vai tu a recuperarla”, le disse Alba con aria indisponente, voltandole le spalle, fuggendo verso il portone del palazzo.
“Devo andare a cena anche io. I miei genitori mi stanno aspettando. Ciao Alba”, concluse dileguandosi nel buio dell'androne.
Alba uscì fuori dal cortiletto, ed anche se sua madre si era raccomandata spesso con lei di non farlo, attraversò la strada per andare a riprendersi la palla.
Il riverbero del sole che stava apprestandosi a tramontare le abbagliò la vista ed Alba non si rese conto della moto che transitava a tutta velocità nella sua direzione se non quando udì il disperato stridore dei freni che inchiodavano sull'asfalto caldo.
Chiuse gli occhi, certa che la moto l'avrebbe investita, ma quando li riaprì ciò che vide, fu quel bolide d'acciaio schivarla per miracolo ed il ragazzo che si trovava alla guida schizzare in alto verso il cielo, per poi ricadere pesantemente sulla schiena come un fantoccio di stoffa inanimato.
Alba, appena le gambe le smisero di tremare, gli si avvicinò cercando di scuoterlo, ma quel ragazzo non si mosse e lei temette che fosse morto.
La paura la fece fuggire via, mentre sulla strada già si assiepava un capannello di gente che accorreva verso il luogo dell'incidente...
Oggi
Alba sedeva su una panchina, sotto i rami di una rigogliosa quercia, accogliendo sul viso i tiepidi raggi del sole primaverile.
Il parco era gremito di gente. Era una domenica mattina insolitamente calda per il periodo e già si respirava nell'aria un anticipo d'estate.
Alba aveva portato con se un libro, ma non riusciva a concentrarsi sulla lettura.
Quella notte non aveva riposato bene. Era tornato a farle visita lo stesso incubo che disturbava il suo sonno da dodici anni.
Benché fosse trascorso molto tempo dal giorno dell'incidente, Alba, nei suoi incubi continuava a viverlo frequentemente ed ogni volta che ciò le succedeva si svegliava con una sensazione d'angoscia che le rendeva difficile anche respirare.
“E tu da dove sbuchi? ”. Uno splendido esemplare di Golden Retriever le si avvicinò scodinzolando felice e la scrutò con i suoi occhi timidi ma nello stesso tempo curiosi.
Alba tese fiduciosa una mano verso di lui ed il cane si lasciò accarezzare come se l'avesse conosciuta da sempre.
“Vedo che ti piacciono le carezze. Sei proprio un coccolone”.
“Holly, lascia in pace la signorina. Su, da bravo vieni qui e fatti mettere il guinzaglio che si torna a casa”.
Alba udì, la voce di un uomo provenire da dietro la panchina dove si trovava seduta.
“Non si preoccupi. Il suo cane non mi sta dando alcun fastidio... anzi. Lo sa che è proprio un bell'animale? Come fa a mantenere il suo pelo così liscio e morbido? ”, replicò volgendosi verso di lui.
Rimase sgomenta, quando il suo sguardo verde giada, s'incontrò con gli occhi dell'uomo, grigi e profondi come due gocce di mare in tempesta.
Era seduto su una sedia a rotelle ed avanzava verso di lei spingendola con le braccia.
“Il segreto sta nell'aggiungere mezzo cubetto di lievito di birra al suo pasto”, le spiegò sorridendole, avvicinando il guinzaglio al collare di Holly, ma prima che potesse riuscire nel suo intento, Holly fuggì via di nuovo.
“Ma dove vai! Holly! Torna indietro! ”, gridò, invano mentre Holly si allontanava.
“Quel cane uno di questi giorni mi farà diventare matto”, aggiunse rivolgendo uno sguardo rassegnato ad Alba.
“Ma no. Deve solo imparare a farsi ubbidire da lui e fargli capire che è lei che comanda e non il contrario”, ribattè lei alzandosi dalla panchina andando incontro ad Holly.
“Holly, Holly, dai, da bravo. Vieni qui”. Alba si piegò sulle ginocchia e lo chiamò più volte facendogli cenno con la mano destra di avvicinarsi.
Holly, dopo un attimo di esitazione, si decise a correre nella sua direzione, lasciandosi andare a delle manifestazioni d'affetto che non aveva mai riservato al suo padrone.
“Ma.. ma come ha fatto? ”, si meravigliò lui rimanendo a bocca aperta.
“Con me non è mai stato così docile. Mi fa sudare le classiche sette camicie ogni volta che devo condurlo al parco per una semplice passeggiata”.
“Sono un addestratrice di cani”, gli spiegò lei, mentre Holly le riempiva il viso di leccate affettuose. “Sono abituata a trattare con gli animali. È il mio mestiere”, aggiunse, tirando fuori dalla tasca un bigliettino con il suo nome e l'indirizzo del centro d'addestramento dove lavorava.
“Mi chiamo Alba”, si presentò stringendo nella sua la mano dell'uomo. “Se vuole, uno di questi giorni, può portare Holly da me e vedremo di metterlo in riga”, scherzò, mentre l'uomo ricambiava il suo timido sorriso.
“La ringrazio. Stia certa che la verrò a trovare molto presto. Io sono Vittorio”, si presentò a sua volta lui, mentre agganciava il guinzaglio al collare di Holly.
“Visto che è stata così gentile con me, il minimo che posso fare è offrirle un caffè al bar”, le propose lui rivolgendole un sorriso affascinante ma un po' imperfetto.
“Accetto volentieri il suo invito”, replicò Alba avvertendo, stranamente, il cuore farle una capriola nel petto, mentre Vittorio tornava a posare su di lei i suoi tempestosi occhi grigi.
Si accomodarono al tavolino di un bar che si trovava poco distante dalla spiaggia e da dove, in lontananza, si poteva scorgere il mare, sulla cui superficie azzurra e placida, riverberavano i tiepidi raggi del primo sole primaverile.
“Vieni spesso al parco? ”, chiese Vittorio ad Alba, sorseggiando il suo caffè, rivolgendosi a lei con un più confidenziale tu.
“Solo la domenica. Gli altri giorni sono impegnata con il mio lavoro e difficilmente riesco a trovare qualche ora libera tutta per me”, replicò lei, versando una bustina di zucchero nel suo cappuccino.
“Io ed Holly, invece, ci rechiamo al parco tutte le mattine. A questo birbantone piace scorazzare nel verde”, replicò Vittorio, cedendo una carezza affettuosa ad Holly.
“Mi fermo spesso in questo bar a fare colazione prima di tornare a casa. Fanno degli ottimi cornetti al cioccolato”, aggiunse sorridendo, mentre un sottile reticolato di rughe d'espressione gli si disegnava attorno agli occhi.
“E tu che lavoro fai, Vittorio? ”, gli domandò Alba, curiosa di sapere qualcosa di più sul suo conto, cercando di spiegarsi il motivo per il quale la sua vicinanza le facesse vibrare il cuore e girare la testa come se fosse vittima di un improvviso terremoto.
“Sono impiegato in un ufficio comunale. Mi occupo d'informatica da circa nove anni. Non è un impiego che amo molto, ma è pur sempre un lavoro che mi permette di guadagnare il denaro che mi occorre per pagare l'affitto della mia casa e le inevitabili spese”.
“Vivi da solo? ”, continuò ad indagare Alba.
“Certo... solo insieme ad Holly. Non potrei avere un compagno più fedele di lui”, scherzo, posando la tazzina sul tavolo.
“Nonostante il mio.. il mio problema, riesco a cavarmela abbastanza bene anche senza l'aiuto di nessuno”, disse alludendo alla sedia a rotelle sulla quale era seduto.
“Sai, ormai sono dodici anni che ho perso l'uso delle gambe ed ho imparato a convivere con questa mia condizione”.
“Come.. come è successo? ”, gli domandò Alba, temendo però che la sua domanda fosse inopportuna.
“Un incidente di moto. Allora avevo appena diciotto anni ed avevo da poco imparato a condurne una. Sono caduto per evitare d'investire una ragazzina che attraversò la strada all'improvviso per andare a recuperare la sua palla”.
Alba, ascoltando il suo racconto, si sentì ghiacciare il sangue nelle vene. Vittorio non poteva essere lo stesso ragazzo che dodici anni prima era caduto dalla moto per non investirla. Il destino non poteva giocarle un tiro così crudele.
“Ti senti bene, Alba? ”, le domandò lui, accorgendosi dell'improvviso pallore del suo viso.
“Si, Vittorio, non preoccuparti. Sto bene, ma si è fatto tardi. È ora che ritorni a casa”, disse alzandosi in piedi, cercando il modo più breve per defilarsi da lui.
“Allora ti verrò a trovare presto al tuo centro d'addestramento. Ciao, Alba”, la salutò lui, stringendole la mano prima che lei si allontanasse scomparendo dietro l'ombra dei palazzi, nascondendogli le lacrime che le bagnavano il viso.
Come le aveva promesso, Vittorio, condusse Holly nel suo centro d'addestramento dopo appena due giorni dal loro incontro.
Nonostante Alba avesse giurato a se stessa di non frequentarlo, non era riuscita a restare lontano da lui.
Quel sentimento timido, che aveva provato il giorno in cui si erano conosciuti, si era tramutato in qualcosa di più serio e ricambiato anche da Vittorio.
Alba era consapevole dell'ombra che grava sul loro legame e che aveva l'obbligo ed il dovere di dissipare anche se facendo ciò, temeva che avrebbe rischiato di perderlo per sempre.
“Vittorio... io.. io debbo confidarti una cosa molto importante”, trovò il coraggio di dirgli un pomeriggio in cui lui l'aveva invitata a casa sua per guardare assieme un film alla tv.
“Ho il sospetto che.. che dodici anni fa fui proprio io a causare il tuo incidente”, gli rivelò senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi.
“Quel pomeriggio stavo giocando con la mia amica Martina nel cortile della mio palazzo e la palla mi sfuggi di mano. Uscii in strada per recuperarla e per poco non venni investita da una moto, ma fortunatamente non mi feci nemmeno un graffio. Fu il ragazzo che la guidava ad avere la peggio e temo che quel ragazzo sia proprio tu”, gli spiegò, tremando per lo sconvolgimento che creavano ancora in lei quei ricordi.
Vittorio rimase per un attimo ad ascoltarla in silenzio, poi la strinse a se più forte.
“Alba, io ti amo e tu lo sai. Lasciamo in pace il passato. Se anche fossi realmente responsabile del mio incidente, quel che mi è accaduto è stata solo una tragica fatalità del destino. Non potrei mai avercela con te. Se quella ragazzina che ho evitato d'investire con la moto eri veramente tu, non potrei sentirmi che sollevato di.. di essere stato io a rimanere ferito.
Non sarei mai stato in grado di perdonarmi se ti avessi fatto del male”, le rivelò, posandole un bacio leggero sulle labbra mentre gli occhi di lei si riempivano di lacrime ed Holly saltava sul divano, sedendosi tra loro due.
“Volevo chiedertelo già da un po'”, le domandò Vittorio accarezzando le orecchie di Holly.
“In questa casa io ed Holly iniziamo a sentirci piuttosto soli. Che ne diresti di trasferiti a vivere qui assieme a noi? ”, domandò ad Alba, prendendole la mano tra la sua, rivolgendole uno dei suoi sorrisi imperfetti, mentre Holly abbaiava come se avesse voluto farle capire di essere d'accordo con il suo padrone.
“Direi che le mie valige sono già pronte”, concluse Alba abbracciando a se sia Holly che Vittorio, certa che il destino aveva, finalmente, concluso il suo gioco. Lei è Vittorio avevano davanti a loro un futuro di felicità da vivere insieme. Il passato era solo un ombra scura da lasciarsi alle spalle...
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- Grazie.. sono felice che vi sia piaciuto
- Anche questo racconto è davvero toccante.. Bello davvero. Dovrò andarmi a leggere anche gli altri che hai scritto. Sono certa che non saranno da meno =)
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